La seconda battaglia di Yasmine

La seconda battaglia di Yasmine La seconda battaglia di Yasmine L'eroina della libertà contro l'oscurantismo E L'ISLAM YALGERI ASMINE Belkacem è un'eroina della guerra d'indipendenza: nel 1961, a soli 15 anni, ha combattuto fianco a fianco con i maquis contro i francesi. Come donna, come ragazzina, a lei sarebbero toccati solo compiti di collegamento, ma ha voluto essere in prima linea. Così una mattina si è recata al Commissariato centrale della Gendarmeria francese. Portava una grossa cartella, indossava un abito semplice, il sorriso innocente di una bambina che suscita simpatia, non certo sospetto. «Devo parlare con il commissario», aveva detto con voce gentile ad un gendarme. Ma il commissario era in ritardo, non era ancora arrivato. Così Yasmine è uscita e si è appoggiata al muro dell'edificio per aspettarlo. Sapeva di avere mezz'ora di tempo: l'esplosivo nascosto nella cartella era collegato ad un rudimentale congegno ad orologeria che doveva farlo esplodere dopo trenta minuti. Invece è scoppiato prima: la deflagrazione le ha spappolato le gambe molto al di sopra delle ginocchia. Yasmine, che nonostante l'atroce dolore non era svenuta, ricorda che uno dei medici francesi dell'ospedale disse: «E' inutile perdere tempo con questa p..., sta morendo, buttatela nella poubelle (pattumiera, ndr)». Ma un altro medico si era preso cura di lei, l'aveva medicata e curata e la giovane terrorista, con le gambe amputate, è sopravvissuta. Per il suo eroismo Yasmine ha ricevuto encomi e medaglie, lei e le tante sue compagne di lotta sembravano aver abbattuto, con il grande tributo di sangue versato combattendo con coraggio accanto agli uomini, il muro di pregiudizio del dominio maschile: si annunciava l'inizio di una nuova era, la fine della secolare sottomissione femminile allo strapotere maschile. Ma il sogno è svanito presto, «tutto è tornato com'era. Da eroine a serve: prima eravamo diventate un mito, adesso non possiamo neppure parlare. Ma noi abbiamo lottato per ottenere i nostri diritti e non saranno certo gli integralisti con le loro minacce a farci stare zitte». La combattiva Yasmine non ha dubbi: «Una Repubblica islamica sarebbe la catastrofe per l'Algeria, si tornerebbe all'età della pietra. Per fortuna le donne oggi hanno più coraggio, e anche se sono terrorizzate dai "barbuti" sono pronte a lottare per difendere i loro diritti. L'Algeria non è morta, come si può pensare all'estero: ogni cosa ha una fine, niente è eterno, si dovrà soffrire ancora, ma riusciremo a uscire dal tunnel del terrorismo e a sconfiggere l'ottuso integralismo. Soltanto così le donne potranno occupare quel posto accanto agli uo- mini che spetta loro di diritto. Non dietro, ma accanto, sullo stesso piano. Ci vorrà del tempo: con la Francia la guerra è durata sette anni: ma noi sappiamo aspettare». La condizione femminile in Algeria è precaria, anche se i movimenti femministi, pur limitati, sono un fatto reale, favoriti dall'esistenza di spazi solo femminili, riunioni di sole donne nella famiglia, celebrazioni separate di feste, l'hammam (il bagno pubblico) dove le donne possono parlare liberamente: ogni giorno aumenta la volontà di ribellarsi alle assurde leggi dell'Islam che discrimina il ruolo della donna nel mondo del lavoro, della politica, nella società. Anche se, afferma l'ex-rivoluziona- ria, «il problema non è nel Corano ma negli uomini che lo interpretano». Ribellarsi costa caro: a Blida, dove la popolazione diminuisce col passare dei giorni, chi può abbandona la città per sottrarsi al rigido regime islamico imposto dagli integralisti; tre giovani donne sono state uccise solo perché non portavano lo hiyab, il velo islamico. Nel quartiere di Bab El Oued, ad Algeri, una studentessa è stata lapidata perché indossava i jeans. Malgrado il suo passato, Yasmine Belkacem riceve continue minacce perché combatte contro l'integralismo e difende i diritti delle donne contro l'ottusità maschile, secondo la quale la famiglia patriarcale viene al primo posto, le tradizioni devono essere rispettate, l'idea di modernità è molto diversa che in Occidente, non si può contrapporre ai valori familiari e, soprattutto, non può riguardare le donne. Amel (che significa Speranza) Bachili, 24 anni, figlia di un alto ufficiale della gendarmeria, discendente di una famiglia di marabout, laureata in scienze politiche, giornalista free-lance, poetessa (un suo libro di poesie sarà pubblicato in autunno in Italia), rifiuta questa condizione di sottomissione anche se, per poter lavorare, porta lo hiyab. «Ma è la cosa che mi pesa di meno: è l'obbligo di rispettare dei tabù che non hanno più senso che è intollerabile. Eppure le donne devono subire queste imposizioni, altrimenti non possono più vivere nel mondo sociale». Nelle elezioni (poi annullate dal golpe militare) il Fis ha ottenuto una vittoria schiacciante grazie anche ai voti delle donne. Perché l'hanno votato pur sapendo che, applicando la legge del Corano, non avrebbe mai permesso l'emancipazione femminile? La risposta è sconcertante: «La maggioranza dei voti femminili furono dati per procura: secondo una legge algerina, che si rifa a quella coranica, gli uomini hanno diritto di votare al posto delle donne. Nella Casbah, per esempio, le donne non possono uscire di casa e per loro votano i mariti». Le associazioni femministe rifiutano questa legge ma «è pericoloso criticare gli insegnamenti del Corano, perché si viene giudicate eretiche e la condanna, in questi casi, è la morte». Per illustrare meglio fino a che punto le donne sono sottomesse, Amel mi illustra lo «zaouady el-moutaa», il matrimonio del desiderio: «E' un'eredità che ci viene dall'Iran: ogni I «ikhwaz», combattente islami¬ co, può costringere qualsiasi donna a contrarre un matrimonio coatto per appagare il proprio piacere. Un matrimonio che non ha valore: quando l'uomo si stufa, basta che dica tre volte in presenza di testimoni «io divorzio» e la donna se ne deve andare di casa. Se sono nati dei figli, deve portarli con sé». Alle 21,15, mentre si addensano le ombre della notte, dai minareti le voci dei muezzin invitano i fedeli alla «icha», l'ultima preghiera della sera. Mancano due ore al coprifuoco ma le strade sono già deserte, negli incroci più importanti, nei punti strategici prendono posizione i blindati della gendarmeria mentre giovani in uniforme si preparano all'ennesima notte di tensione e paura. Altri ragazzi, fra le mura della Casbah e i vicoli dei quartieri popolari, si apprestano a nuove, disperate imprese: chi a scrivere slogan dell'integralismo sui muri con le bombolette di vernice, chi con kalashnikov e pistole ad ingaggiare sparatorie con i gendarmi. Ogni notte ci scappa il morto da una parte e dall'altra: qualcuno, filosofo o cinico, disse che la strada della pace è lastricata di cadaveri. Inshallah. Francesco Fornati «Questo Paese non è morto come pensate Lo guariremo» Alle donne algerine l'indipendenza non ha portato i benefici sperati

Persone citate: Belkacem, Yasmine Belkacem

Luoghi citati: Algeri, Algeria, Bab El Oued, Francia, Iran, Italia