LA MEMORIA IN ROSA DELL'EUROPA di Barbara Spinelli

tiffl: r:im iJ:iJJt;! .. ir LA MEMORIA IN ROSA DELL'EUROPA perché gli americani e inglesi erano vicini. Parigi avrà i suoi morti: 1500 fra i resistenti, 2 mila circa fra i tedeschi. Ma quando Varsavia sarà ridotta a una poltiglia di vie e di strade, e imboccherà la strada dell'orrore già percorsa dal suo ghetto, 63 giorni dopo la rivolta, i morti tra i civili saranno almeno 250 mila. I sovietici, che l'avevano chiamata all'insurrezione, assisteranno al suo annientamento con le mani in mano, contenti di ricevere dalle mani naziste una nazione dissanguata, spezzata. Di quello che succedeva in Polonia e nei campi di sterminio si è parlato poco, nel film autocelebrativo che è stato mostrato quest'anno in Francia e in Italia, in Inghilterra e in America. Oppure è stato mostrato in altre sale, separate: in cinema d'essai, non per turisti. Forse perché il turismo della memoria è possibile a certe condizioni, perché bisogna avere una visione positiva, romanzata della storia e anche dei valori ribaditi per l'occasione. Ma forse anche per un motivo più cogente: perché il film serve a nascondere quel che accade nel presente dei Paesi occidentali, e il presente ha molto più a che fare con l'insurrezione e la caduta di Varsavia che non con la liberazione comunista di Parigi, assistita da De Gaullc e dagli alleati occidentali. Il presente che hanno di fronte i Paesi occidentali è l'insurrezione e la lenta caduta di un'altra cittàghetto, negli ultimi anni: è Varsavia-Sarajevo, che non a caso il pontefice polacco vuol visitare per render visibile, agli occidentali, ciò di cui questi non possono andar fieri. Ha detto il cardinale Lustiger, arcivescovo di Parigi, che gli europei tendono quasi sempre a sbagliare data: nel '45 festeggiarono la Liberazione universale, e ci furono Yalta e Hiroshima, la divisione d'Europa e l'impiego della bomba atomica. Nell'89 si immaginarono la fine dei pericoli, dopo la caduta del Muro di Berlino, e tutto venne fuorché la libertà. Questa d'altronde è la funzione del cinquantenario trasformato in film: serve a creare un immaginario mondo parallelo, più vero del mondo reale. A forza di inondare lo schermo di immagini felici e consensuali, Parigi liberata apparirà più vera di Auschwitz ancora in funzione, più vera di Varsavia morente. Serve, il film, a espellere dalla nostra visuale le città rovinate della Bosnia o del Ruanda, di fronte alle quali non siamo affatto simili ai liberatori del 25 aprile italiano o del 25 agosto francese. Davanti a Sarajevo o al Ruanda siamo piuttosto simili ai generali sovietici, che guardando Varsavia dalla sua periferia permisero che la città s'incendiasse e cadesse. Con una variante, tuttavia: gli occidentali non sanno il perché delle proprie omissioni, la loro colpa è senza scopi, senza disegni reconditi. Anche per questo il film della Liberazione è pieno di ambiguità. E' un romanzo a puntate, proiettato dalle autorità dell'Occidente che grazie al film sono a loro volta proiettate nel passato e non sono più responsabili di quel che fanno, o non fanno. E' un film che anestetizza e cancella la frontiera tra responsabili e irresponsabili. Che gonfia gli animi di alti pensieri, e blocca il pensiero. Huxley non aveva pensato che nel suo Mondo Nuovo potesse succedere anche questo: l'indolenzimento delle coscienze libere, grazie alla trasmissione ripetuta di immagini edificanti sulla Liberazione. Il film post moderno, che replica il D-day, lo de-costruisce, e che ripete «mai più Auschwitz» nel preciso istante in cui favorisce gli aggressori a Sarajevo oggi, a Kigali nei mesi scorsi. Somministrato come la medicina soma del Mondo Nuovo, il film sulla Liberazione promette più souvenir che ricordi, e placebo euforizzanti nei sopravvissuti, eroismi replicati nei veterani. E' come un Woodstock della memoria politica, che rievoca grandi eventi e li rimette in ordine da scompigliati che erano, affinché i registi non debbano penare, e porre la domanda essenziale: che cosa avete fatto, della vostra Liberazione? A cinquantanni di distanza è l'unica domanda interessante, porgli occidentali. L'unica che li obblighi a chiamare i colpevoli e gli innocenti col loro nome, e a non ribattezzarli eufemisticamente attori negativi e attori positivi, come usa in Italia a proposito dell'ultimo film sulla malasanità. Barbara Spinelli

Persone citate: Huxley, Lustiger