Gli incroci sull'Atlantico di Michele Fenu
Gli incroci sull'Atlantico Gli incroci sull'Atlantico Detroit ora pensa all'Europa Bmw e Mercedes negli States America, terra promessa dell'auto. Un grande Paese che si è sviluppato in armonia con la motorizzazione, un grande mercato che fa gola a quasi tutti i costruttori e in cui nascono a getto continuo nuove iniziative in campo commerciale, mode e tendenze spesso destinate a essere riprese in Europa. Dagli mediti sistemi di vendita al successo dei monovolunie. Un punto di riferimento per l'industria dell'auto, un terreno di caccia e di confronto, in un china di spietata concorrenza. Negli Usa valori che da noi hanno un peso notevole (si pensi al nome del marchio, alla tradizione) contano relativamente. Il consumatore medio, quello che crea i volumi, guarda soprattutto ai prezzi, alla qualità, al servizio. E così i giapponesi hanno potuto sferrare negli scorsi anni la loro offensiva, aprendo impianti, invadendo il mercato, costringendo le Case americane a rinnovarsi in modo radicale per sopravvivere. E dopo gli anni della crisi Detroit è tornata a brillare. Oggi i tre Big. dopo essersi completamente ristrutturati attraverso un processo radicale e spesso doloroso, che ha portato alla chiusura di numerosi stabilimenti obsoleti, formano il complesso più internazionalizzato e produttivo del mondo. General Motors, Ford e Chrysler sono tornate a pensare in grande. Guardano all'Europa, immaginano di poter finalmente realizzare la world car. Non più, come una volta, un'auto buona per tutti i Paesi, ma una classe di vetture studiate e progettate per avere una base e componenti comuni, con versioni differenziate in relazione ai vari mercati. I tre Big perseguono politiche differenti. Mentre Chrysler, che si appresta al lancio della piccola Neon nella Cee, tende a produrre negli Usa e in Canada la maggior parte dei propri veicoli, esportandoli nel mondo (36 mila unità vendute in Europa, dove esiste una fabbrica di Voyager a Graz, in Austria, con una crescita del 25% sul primo trimestre '93), General Motors e Ford si affidano alle filiazioni locali. Prima di tutto in Europa, ma anche in Sud America, Australia e Sud Africa. E presto in pure in Cina. Quest'autunno sarà particolarmente importante per le strategie General Motors. Su alcuni mercati europei il marchio GM viene portato in secondo piano per lasciare spazio alla controllata europea, la Opel, che in questi anni ha saputo cambiare la propria immagine. Ecco allora la Opel Italia (al posto di General Motors Italia) e l'Opel France: meno America e più Germania. E negli Usa la nuova berlina Omega verrà commercializzata con il prestigioso emblema della Cadillac. Intrecci sempre più complessi attraverso l'Atlantico. Nei prossimi mesi, seguendo l'esempio dei giapponesi, anche la Bmw (a Spartanburg, nella Carolina del Sud) e, più avanti, la Mercedes, in Alabama, cominceranno a costruire sotto la bandiera a stelle e strisce. La berlina Serie 3 e un nuovo pimpante roadster per Monaco, un fuoristrada di lusso per Stoccarda. Stabilimenti modernissimi, manodopera e componenti in maggoranza locali. I tedeschi, che negli States sono con la Volvo i costruttori europei più forti, hanno fatto i conti e scoperto che l'operazione conviene. Decentrare per risparmiare (i dipendenti americani costano di meno e non c'è il costo del trasporto dalla Germania). Una politica che la Bmw applicherà anche in Messico. Gli Usa, se così si può dire, sono sempre più vicini all'Europa. E la loro sfida nel mondo cresce. L'industria europea dovrà tenerne conto e non pensare solo al Sol Levante. Michele Fenu
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