Eruzione erotica a Pompei

S Messaggi d'amore e oscenità nei graffiti della città distrutta dal Vesuvio nel 79 d. C. Eruzione erotica a Pompei Vizi e moia di vivere, un archeologo indaga S E qualcuno ricerca in questa città teneri amplessi, sappia che qui le ragazze sono tutte disponibili»: il messaggio, graffito su una parete interna della Basilica, pareva studiato apposta per eccitare le fantasie dei forestieri convenuti nel brulicante centro commerciale. Che non fosse una vana lusinga si poteva constatare appena usciti all'aperto. Tutt'intorno, i muri parlavano: «Marco ama Spendusa», «Cornelia Elena è amata da Rufo», «Qui Romula si intrattiene con Stafilo», «Qui Sabino con Primigenia». E poi i nomignoli allusivi: «Primigenio saluta Successa. Ciao, mio pistillo», «Tanti saluti da Fonticella al suo pesciolino». A parte l'onomastica inconsueta, sembrerebbe di trovarsi nelle strade di oggi, nei viali di un parco, nelle stazioni di una metropolitana. Invece siamo a Pompei, la città distrutta dal Vesuvio nel 79 d. C. Prima di quella catastrofica eruzione, un'altra eruzione non meno ardente si era rovesciata fra gli uomini e le donne, lasciando le sue tracce sui muri. Veneris sedes la chiamava Marziale: Pompei era città sacra alla grande dea dell'amore, il cui tempio di marmo si mostrava in lontananza ai naviganti prossimi al porto, come una implicita promessa. E l'immagine di Venere era effigiata ovunque, in quadri ricolmi di sensualità che ancora oggi si lasciano ammirare. Li ha conservati il vulcano. Così come quelle frasi d'amore, parole sussurrate e esplosioni erotiche destinate a vivere l'espace d'un matin, se la pioggia di cenere e lapilli non le avesse cristallizzate per l'eternità in uno straordinario femo-irnmagine. Anche per questo ci fanno effetto: graffite nell'intonaco con un punteruolo, o tracciate a carbone, o talvolta dipinte, le iscrizioni parietali pompeiane risalgono in gran parte agli ultimi momenti della città. Al contrario di quelle realizzate su marmo o su bronzo, dal tono ufficiale e solenne, non erano fatte per durare: e anche per questo ci restituiscono un'immagine più spontanea e immediata. Con grande accuratezza scientifica e divertita complicità divulgativa, ne ha messo insieme un sorprendente spaccato Antonio Varane in Erotica pompeiana, che esce in questi giorni presso «L'Erma» di Bretschneider. Già direttore degli scavi e ora vicesoprintendente archeologico di Pompei, Varane è il curatore degli aggiornamenti e dell'indice computerizzato al IV volume - dedicato a Pompei, Ercolano e Stabia - del Corpus inscriptionum latinorum, la monumentale raccolta epigrafica avviata nel secolo scorso da Theodor Mommsen. Gli antichi abitatori della città vesuviana, per lui, non hanno segreti. Questa volta si è divertito a curiosare nei loro affetti. E li ha trovati molto simili ai nostri. Sui muri i pompeiani scrivevano di tutto. Nelle diecimila iscrizioni recuperate finora in 44 ettari di terreno (ma ne restano da scavare altri 22) predominano i messaggi politico-elettorali. Subito dopo, quelli di contenuto erotico. Infarciti di refusi, sgrammaticature e termini del sermo rusticus. A volte l'omaggio assume toni di prezioso lirismo: «Amor mi detta mentre scrivo e Cu- pido mi guida la mano: possa io morire se scelgo di essere un dio, ma senza di te» intona un amante ispirato, echeggiando Ovidio e anticipando Dante. Altre volte si tratta di richieste esplicite: «Ti prego, signora, di amarmi», «Ti amo, fatti possedere». Proposte anche brutali, tanto che una ragazza reagisce: «Virgola al suo Terzio. Sei uno sconcio»; e un'altra, irridente: «Livia saluta Alessandro. Se stai bene non m'interessa, se muori accorro». Non sempre la profferta d'amore «gridata» in pubblico faceva effetto: «Sei crudele, Lalage, a non amarmi». Uno spasimante andato in bianco minaccia ironicamente, in distici elegiaci: «A Venere voglio spaccare le ossa a colpi di bastone, e storpiarle i fianchi. Se lei può trafiggere il mio tenero cuore, perché io non dovrei spaccarle la testa col bastone?»; mentre un altro, se¬ guendo un consiglio di Giovenale, medita di metterci una croce sopra e cambiare bandiera: «Qui sodoinizzo Rufo, piangete fanciulle: vagina altezzosa, addio». Ma quando tutto andava bene non c'erano remore a sbandierare le vittorie: «Qui mi sono scopato ifutui) molte ragazze» proclama un anonimo, mentre un altro segna le tacche: «Ninfa.^ututa; Amomo./ututa; Verenne, jututus». Due gladiatori si incalzano: «Celado il trace, sospiro delle fanciulle», «Crescente il reziario, medico delle fanciulle notturne, mattutine e delle altre». Anche le donne scendevano nell'agone: «Euplia qui si è congiunta con uomini gagliardi a volontà», «Romula, di uomini, mille, diecimila»; e davano i voti: «Stai in salute, Vittore, qui benejutuis», mentre «Giocondo male chalat» {= Jutuit). D'altra parte - come ricorda un graffito, citando Ovidio - «chi ama è in milizia». Ecco allora che i militi combattono senza esclusione di colpi: «Qui ho trafitto di brutto la signora...», «Qui Quinzione jutuit natiche sculettanti, e ha visto quanto ha fatto male», per cui si comprende la raccomandazione di una prostituta: «Spingi dentro lentamente». L'«arma» per eccellenza di questa battaglia è presente ovunque, come elemento decorativo e simbolo beneaugurante di abbondanza: un membro virile (mentula) compare quale colonnina tortile sull'insegna di una bottega, un fallo gigantesco è raffigurato sulla facciata del panificio IX 12, 6, un altro si mostra all'ingresso della casa dei Vettii, collocato sul piatto di una bilancia, mentre sul piatto opposto fa da contrappeso una copiosa razione di frutti. Gli antichi pompeiani avevano molte abitudini simili alle nostre, ma a differenza di noi non si preoccupavano troppo di dissimularle. «Goditi la cuoca, quando vuoi, come ti è comodo» ammaestrava un graffito della Basilica, e si sa che la servitù, di sesso maschile o femminile, era liberamente usata per il proprio piacere dal dominus e dalla domina, nell'indifferenza del coniuge. La bisessualità era abituale e soltanto fatta oggetto di qualche battutaccia, come quella che circolava a Roma su Cesare marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti. Lo stesso Catullo, che scambia con Lesbia «mille baci e poi cento» (carme V), non si perita di offrirne 300 mila a Iuventius (XLVUI) e, quando sorprende l'amata a letto con un ragazzino, per tutta punizione sodomizza il ragazzino (LVI). La pederastia era incoraggiata: «Se qualcuno ebbe la ventura di nascere bello e non offrì le sue natiche, quello, innamoratosi di una bella fanciulla, non abbia mai la fortuna di godersela» è scritto, in greco, nella Villa Arianna di Stabia. Concedersi in gioventù alle smanie di un maturo paedicator era pratica diffusa fin dall'antica Atene, a cui non sfuggono i rampolli-bene della società pompeiana, come testimoniano con eloquenza i muri. Ma una dura riprovazione colpisce chi mantiene da adulto le attitudini passive, e sul cinaedus recidivo si scatena una tempesta di sarcasmi e lazzi di rara oscenità. Per gli uomini in cerca di svago si allestivano nelle osterie spettacoli di strip-tease, a cui gli avventori partecipavano con incitamenti come quello graffito nella caupona I 2, 24: «Restituta, levati la tunica, forza, facci vedere pilosam connum». E poi c'erano i lupanari: ben 35, in una città che doveva oscillare dagli otto ai dodicimila abitanti (per fare un raffronto, i laboratori di abbigliamento erano 29, i panifici 35, le lavanderie 18, le cauponae 120, gli hospitia 44). La prostituzione era considerata un'attività infamante, così come il lenocinlo, che pure veniva praticato dagli uomini più nobili e benestanti, di solito per il tramite di un liberto, in un ambiente apposito della propria abitazione. In una delle case più ostentatamente signorili, quella dei ricchissimi fratelli Vettii, era stata ricavata una cella meretricia dove si legge sull'insegna graffita all'ingresso - esercitava la schiava Eutichide, «di belle maniere, per 2 assi». C'era anche la prostituzione maschile, destinata tanto agli uomini quanto alle donne: «Menandro, di belle maniere, 2 assi». Due assi era un prezzo ragionevole, corrispondente al costo della razione quotidiana di pane. Ma le tariffe potevano aumentare in ragione delle prestazioni: molto ricercata la fellatio, a cui corrispondeva per parte maschile il cunnilingus. Un certo Marittimo offriva i suoi servigi per 4 assi, e specificava: «Virgines ammittit». Ma il più esoso di tutti era un anonimo che metteva a disposizione la propria mentula per 5 sesterzi, pari a 20 assi. Anche per una società tollerante e permissiva come quella pompeiana, era troppo. «Sodoma, Gomorra!» tuona qualcuno da un muro, forse uno straniero, probabilmente un ebreo, evocando la terribile punizione ricaduta sulle bibliche città del vizio. Sodoma e Gomorra: il Vesuvio rispose, il mattino del 24 agosto di 1915 anni fa. Maurizio Assalto Uno spasimante deluso: «A Venere voglio spaccare le ossa». Iprezzi e le prestazioni delle prostitute E Marittimo «accetta le vergini» Inni al fallo, strip-tease, pederastia, bisessualità Trentacinque bordelli per dodicimila abitanti Arte pompeiana: a lato bassorilievo con scena di amplesso In alto affresco di Venere in conchiglia. Qui sotto l'apografo di un'iscrizione: si legge «Sum tua aere» (i due tratti verticali paralleli stanno per E), ossia «Sono tua per una monetina»

Persone citate: Antonio Varane, Bretschneider, Cornelia Elena, Maurizio Assalto, Theodor Mommsen, Villa Arianna

Luoghi citati: Atene, Ercolano, Iuventius, Pompei, Roma, Xlvui