«Ulrike assassinata dai compagni della Raf»

«Ulrike assassinata dai compagni della Raff» In un libro accusa i compagni di prigionia della terrorista, non fu né suicidio né omicidio di Stato «Ulrike assassinata dai compagni della Raff» // marito della Meinhof: Baader e Ensslin temevano che tradisse I MISTERI DI STAMMHEIM BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ulrike Meinhof non si uccise in una cella di Stammheim, il supercarcere dov'erano rinchiusi i capi storici della Boto Armee Fraktion. Ma la «terrorista più intelligente della Baf» - sostiene l'ex marito Klaus Rainer Boehl in un volume appena apparso che già divide la Germania - non fu neppure vittima dei servizi di sicurezza, la notte fra l'8 e il 9 maggio del '76. Furono i compagni di lotta e prigionia Gudrun Knsslin e Andreas Baader - a sopprimerla, o forse a «costringerla ad uccidersi». Per paura ci»; «il tradimento» - una dichiarazione dirompente contro la lotta armata - «frantumasse il fronte» del terrorismo tedesco. Le prove - assicura Buchi, oggi scrittoi'; ed editore ad Amburgo - sono in certi appunti scritti da Ulrike nella solitudi- ne della sua cella. E nelle lettere in cui Gudrun Enslinn, la sua «peggior nemica» a Stemmheim, la denunciava ai compagni dopo aver letto una con fessione soprattutto: «Non ne posso più». Per questo graduale e personale rifiuto del terrorismo - sostiene Roehl in «Linke Lebensluege», vita di menzo¬ gne a sinistra - la Meinhof fu eliminata in carcere. La data della morte fornisce una conferma del «complotto». Il 4 maggio, gli avvocati del gruppo si riuniscono con i loro assistiti: tutti i detenuti leggono una dichiarazione, tranne Ulrike, che pure era la maggiore personalità politica della Raf. La Meinhof non ascolta nemmeno i compagni: alle 14,24 abbandona la riunione. Tre giorni dopo viene trovata impiccata in cella. Dopo le note manoscritte, quell'ultimo segnale di distacco era la prova decisiva che «la scomoda intellettuale» sarebbe uscita allo scoperto: Baader, scrive Roehl, temeva che alla successiva riunione con gli avvocati e i rappresentanti del carcere Ulrike non avrebbe più taciuto, e avrebbe annunciato la propria abiura. Agli occhi del gruppo «sarebbe stato tradimento: e il trattamento riservato ai traditori - i terroristi della Raf lo avevano più volte dichiarato e scritto - era la morte». Uccidendo la compagna, Baader e il suo gruppo avrebbero del resto raggiunto un duplice obiettivo: sbarazzarsi di una persona diventata pericolosa per l'intero movimento arma¬ to; e farne un mito, creare un martire, un personaggio di saldo riferimento emotivo oltre che politico. Come la dichiarazione diffusa dalla Raf il giorno dopo la morte di Ulrike Meinhof, del resto, confermò. Secondo Roehl, i compagni di detenzione non ebbero alcuna difficoltà ad eseguire la sentenza: «Gudrun Ensslin poteva entrare facilmente nella sua cella», grazie a chiavi false. E, come venne accertato, l'avvocato della terrorista «poteva agilmente introdurre armi in carcere». Resta un dubbio, che il libro non può sciogliere: fu un omicidio o un «suicidio pilotato»? In quest'ultimo caso, il marito di Ulrike Meinhof non esclude neppure il ricatto: Baader e la Ensslin avrebbero costretto la «compagna traditrice» a uccidersi, minacciando ritorsioni contro i suoi due figli. [e. n.] «Le prove sono negli appunti di mia moglie Un giorno scrisse non ne posso più» Ulrike Meinhof, nel 1970, sei anni prima della morte in carcere

Luoghi citati: Amburgo, Germania