L'horror ha perso i brividi

Arriva in Europa «The Wolf» con Nicholson: sullo schermo aumentano vampiri e lupi mannari, anche d'autore Arriva in Europa «The Wolf» con Nicholson: sullo schermo aumentano vampiri e lupi mannari, anche d'autore L'horror ha perso i brividi Così realistici, ifilm non terrorizzano più ULULATI, canini aguzzi, psicopatici crudelissimi. Gli schermi si riempiono di horror e thriller. Ma i lupi mannari fanno ancora paura? Se lo chiede il critico Tom Shone sul «Sunday Times» alla vigilia dell'uscita europea di «Wolf», l'ultima fatica di Mike Nichols con un sempre più inquietante Jack Nicholson e la biondissima Michelle Pfeiffer. Da Robert De Niro che fa la creatura di Frankenstein nel remake di Kenneth Branagh, a Coppola che ritorna sulle tracce di Dracula, Hollywood si è scoperta una irresistibile vocazione al brivido. Siamo di fronte a un piccolo paradosso: il cinema dell'orrore non ha mai assorbito tanti talenti, energie, e denari come oggi, ma ha perso la sua missione più genuina e ovvia, quella di spaventare. Un tempo l'horror era questione di serie-B. Girato con pochi mezzi, con attori poco più che caratteristi. Bela Lugosi (che costruì la sua fortuna prestando il suo accento anglo-ungherese al conte Dracula), Christopher Lee, Lon Chaney hanno trascorso la loro vita cinematografica in infinite metamorfosi, ma nessun grande studio li avrebbe mai impegnati in produzioni alte. Ora, a cimentarsi con licantropi e vampiri, ci sono attori del calibro di Jack Nicholson o De Niro. La campagna pubblicitaria di lancio è giocata sul nome, invertendo la tradizionale gerarchia personaggio/attore. Si va a vedere Nicholson, non la «creatura». Mentre nel «Mostro della laguna nera» di Jack Arnold, amato dai ragazzini (anche Marilyn Monroe se ne innamorò commossa), chi era interessato a sapere che l'uomo dentro il costume di gomma era Ricou Browning, abile nuotatore subacqueo? Persino l'accademica macchina degli Oscar strizza l'occhio al genere, certificandone in qualche modo anche la sua crescita. Jeff Goldblum ha sfiorato l'Oscar per la «Mosca». Kathy Batcs l'ha preso per «Misery non deve morire» dove era una lettrice di romanzi rosa pronta a seviziare il povero James Caan; stesso destino por Anthony Hopkins, psichiatracannibale nel «Silenzio dogli innocenti». Da quando la gloriosa Hammer rallentò la produzione di vergini e vampiri negli Anni 70, e «Un lupo mannaro americano a Londra» di John Landis dimostrò nell'81 che per l'horror era arrivata una nuova stagione, anche le major cominciarono a credere nella paura e i critici a non recensire più col naso storto. I più rispettati registi odierni, da Scorsese a Coppola, da Jonathan Demme a Spielberg, hanno passato l'infanzia nelle sale buie a tremare (in «Matinée» Joe Dante rievoca lo spirito delle antiche proiezioni), e adesso, da bravi cinefili, vogliono rivisitare i loro incubi giovanili emientandosi nel remake. Il rischio - come dice Tom Shone - è quello di rispolverare le vecchie fidanzate: non funziona quasi mai. Nuovo blasone, ma meno sostanza. Tom Shone cita Croncnberg, genio di «covate malefiche» e scanner, che ha imboccato la via del pentimento: «Non mi piacciono i film che sono tutte viscere e poco cervello», meno si fa vedere e meglio è. Ma come gli ultimi film di Cronenberg, dove la paura è interiore e nasce dall'ambiguità del mondo, l'intero universo dell'horror rischia di annegare nella cerebralità. Una volta il «cinema de' paura» pensava a regalare brividi e emozioni, giocava con scricchiolii, urla, pupille dilatate e denti insanguinati. Ora si avvita sulle metafore, gioca con i manierismi, si diverte a «compendiare una veloce storia del cinema» attraverso citazioni. E' diventato un cinema che fa più paura a sé stesso che agli altri. Un'altra ragione di questo nuovo horror senza artigli sta nel pubblico. Per tradizione, era un cinema rivolto ai bambini, agli adolescenti. Solo loro, alle prese con le metamorfosi del proprio corpo e della propria mente, potevano agghiacciarsi di fronte ai mostri dello schermo. Ma i nuovi licantropi sono impersonati da star famose che attirano soprattutto gli spettatori adulti. La vec¬ chia paura nasceva dal ritmo, dal montaggio. Val Lewton, uno dei massimi teorici del brivido, spiegava che per togliere il fiato bastavano un po' di musica e qualche inquadratura ombrosa. Ora gli effetti speciali miliardari raggiungono capolavori di verismo, indugiano sui particolari. Ma se manca la velocità, si attenua l'ansia. L'ultima ragione, forse, sta nei personaggi stessi. Quando l'«Uomo invisibile» o «La mosca» scoprivano di essere condannati a vivere da mostri, sprofondavano nel dramma. Oggi i nuovi eroi della paura sono quasi orgogliosi (effetto politically correct?) della loro diversità bestiale. Oldman, Goldblum, Branagh, sono tutti riconosciuti campioni della recitazione, scelgono il ruolo mostruoso per aggiungere una nuova tessera al puzzle del loro gigionismo. Ma quando Jack Nicholson mormora soddisfatto «mi sento bene» dopo aver passato una notte di amore bestiale, come si può ancora chiudere gli occhi per la paura? Brano Ventavoli I mostri di oggi, Oldman Goldblum e Branagh sono quasi orgogliosi della loro diversità Il critico del Sunday Times analizza la situazione: dai vecchi, cari scricchiolii alle metafore e manierismi Nelle due foto in basso, Jack Nicholson uomo-lupo nel film «The Wolf» di Mike Nichols, e Gaty Oldman «Dracula» per Coppola. Qui accanto, una terribile scena di stupro dal film di Risi «Il branco», che sarà presentato, come «The Wolf», alla Mostra di Venezia ...... . ... .. .: . ■ .:. :■; ;:.;.■

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