Albertazzi: io l'anarchico in guerra contro i mediocri di Pierangelo Sapegno

Incontro con Fattore nel giorno del suo compleanno Incontro con Fattore nel giorno del suo compleanno Alberimi: io, l'anarchico in guerra contro i mediocri BAGNI PI LUCCA DAL NOSTRO INVIATO Camicia nera e calzoni a righe. Nessuna provocazione, non fraintendete. Capelli candidi nascosti sotto il berretto. Giorgio Albertazzi dall'altro ieri ha settantanni, complimenti. Ma non è cambiato molto. Lo stesso sguardo, che punge e ammalia. La stessa voglia di attaccare. Settanta, o qualcuno di più o di meno, che importa: anche l'età può essere un mistero. Grande maestro d'arte e di teatro. La vita magari ò un'altra cosa. Ma che cosa insegna la vita? «A molti la rassegnazione. Ad altri la ribellione», dice lui. E a lei? «La rivolta. Alla convenzione. Anche alla vita stessa. Io credo che la morte arriva quando la si vuole, quando la vita non ti interessa più;>. Maestro, lei è di quelli che può confessare d'aver vissuto. Una carriera e una vita piene di successi e di polemiche. Di amori e di odi. Ma lei quale odio ha conservato a settantanni? «Nessuno, per carità. Sono incapace di odiare». Suvvia, un'antipatia... «Be', io provo grande risentimento per Quazza, il quale è un pervicace fascista travestito da partigiano che nella sua qualità di rettore dell'Ateneo di Torino mi ha impedito di andare a insegnare all'Università. Era una cosa alla quale io tenevo molto. Lo ha fatto in modo così volgare. Non mi piace Quazza. Democraticamente, avrebbe potuto fare un sondaggio fra gli studenti. Quazza la pagherà. E la pagheranno i quazzisti d'Italia, che sono tanti». Cioè? «Quelli come lui. Mi accusano d'essere stato fascista. E' vero. Dicono che devo pentirmi. Di che?». Be', lei ha scritto una autobiografia, «Il perdente di successo», nella quale prende le distanze dal suo passato di ufficiale nella Repubblica di Salò. Non è vero? «No, non è vero. Rivedo il mio passato in maniera critica. Ma pentirmi no. Mai». E adesso, fuori dal teatro, che cos'è Giorgio Albertazzi? «Un anarchico. Però oggi dovessi dare tre voti li darei tutti a Forza Italia. Anzi no. Ne darei uno a Berlusconi, uno a Fini. E uno a Veltroni. Non si sorprenda. Sono un suo ammiratore. Mi piace quello che dice. Però non mi piace l'attacco a Berlusconi. L'altro giorno gli ho scritto un bigliettino: "Non la conosco. Ma voglio dirle due cose. In questo momento resti dov'è. Gli scriba e i farisei non avranno la meglio"». Parliamo di lei. Sta scrivendo un romanzo («Il sosia», per la Newton Compton), conduce questa scuola a Bagni di Lucca, ha un mucchio di lavori da realizzare. Ma, dopo di lei? Chi è il suo erede nel mondo del teatro? «Nessuno» Davvero nessuno? «No, non lo vedo. Non esiste un attore anomalo, un teatrante come me. Vedo attrici molto brave, questo sì, come Elisabetta Pozzi o Mariangela D'Abbraccio. Ma il mio erede non esiste». Non le piaceva nemmeno Troisi, è vero? «Non ho detto questo. Ho detto che non era un attore. Non recitava, era sempre se stesso. E ha fatto solo un film bello, "Rico- mincio da tre"». Ma che cos'è la recitazione, per Albertazzi? Che cos'è il teatro? «Mi diceva Athos Ori che il teatro si fa per quelli che ascoltano. Il teatro non è parlare, significa esprimere quello che le parole non dicono. E' mistero, come ogni forma d'arte. Mi ricordo una volta mia madre, che era una donna semplice. Mio padre portava a casa dei quadretti, ritratti di marinai. Un giorno le regalai una stampa di Modigliani. Ma Giorgio, mi disse, non vedi? Non sa dipingere, non vedi il collo lungo, queste forme strane. Le dissi: tu tientelo. Un anno dopo mi chiamò: Ma lo sai Giorgio che quel pittore mi piace più di quello del babbo. Perché? E lei: il marinaio mi stucca, la donna è misteriosa. Così è l'arte. E così è il teatro». Quarant'anni di teatro, ma anche di televisione. Lei realizzò per la tv L'idiota di Dostojevski. Oggi lo rifarebbe? «Lo rifarei diverso. Lo farei meno bello, meno romantico, più ridicolo, più grottesco. Lo farei fare a Brachetti. Ma la verità è che in televisione ora non si potrebbe proprio fare. E' il trionfo della mediocrità, del basso stato». Tutta colpa di chi? «Della società. La società è clamorosamente imbarbarita. I vecchi violentano i bambini, i giovani uccidono, la tv riporta scene di sangue e crudeltà. Il fatto è che questa è la realtà. L'uomo è così. L'uomo ora mostra la sua faccia. Si era mascherato per colpa delle religioni. Le religioni sono un retaggio barbarico, la religione ghettizza, rende migliori, crea gli adepti. La religione è peggio della politica, perché agisce in nome dell'anima, della trascendenza». Ma ci sarà qualcuno che le piace nel mondo della televisione? «Ora ci sono sirene. Sì, alcune mi piacciono. Come Ferrara. Una sirena con pancia e barba». Siamo di nuovo a Forza Italia... «Ma io non sono d'accordo su tutto con loro. Detesto il garantismo, che nasce dai lombi della sinistra storica. Quando vedo quei quattro imbecilli che hanno picchiato i negri che escono dal carcere fra salti e balli pieni della loro merda, mi si accappona la pelle». Due nomi. Visconti e Gassman. Che cosa ricorda di Visconti? «Ho grandi ricordi. Be', mi ammirava. Una volta mi disse: io avevo visto solo la Duse impallidire in scena. Bravo, l'hai fatto anche tu. Io e la Duse. Gli dissi: scrivimelo. E lui mi fece la dedica sulla foto». E c'è una cosa che invidia a Gassman? «L'altezza». Poi si alza, circondato dalla sua corte. «L'ho detto tanto per dire una cosa. Non è nemmeno vero». Le mani sulle bretelle, la camicia nera aperta. Pierangelo Sapegno «Mi accusano d'essere stato fascista. E' vero. Non mi pento di nulla Ora faccio il tifo per Berlusconi» Giorgio Albertazzi ora e in un'immagine passata Sopra: Mariangela D'Abbraccio, sua ex compagna

Luoghi citati: Bagni Di Lucca, Ferrara, Italia, Lucca, Salò, Torino