La natura? Invenzione surrealista

A Salisburgo le opere che hanno interpretato piante e animali A Salisburgo le opere che hanno interpretato piante e animali La natura? Invenzione surrealista Magie della Terra vista da una tela SALISBURGO I L titolo è felice e suggestiI vo. Die Erftndung der NaI tur, L'Invenzione della —Mi Natura: ed anche l'impegnativa mostra che, dopo Hannover e Karlsruhe raggiunge il Rupertinum di Salisburgo, ha un suo fascino originale. Il rapporto del Surrealismo con la Natura: ispirazione, plagi, imprestiti, mostruosi congiungimenti, polimorfie. Una grande mostra divisa per categorie apparentemente pedanti, «scientifiche»: Il germogliare delle forme, La Vegetazione animale, La Magia delle Piante, La Natura delle Rocce, Scienza delle Nature. Ma ci pensano gli autori stessi a scompigliare queste tassonomie d'accademia: e ci sono davvero tutti, da Klee a Wols, da Kandinskij a Bellmer, da Kubin a Max Ernst, da Brauner a Masson, da Picasso a Mirò. Una bella adunata: illuminando, nei titoli, nelle sagome, negli agglomerati viventi, nell'evolvere dell'immaginario, questo tema effettivamente centrale nella poetica del Surrealismo: la «vegetabilità» delle Forme. Basta leggere del resto qualche verso del Bestiario metamorfico e teratologico di Lautréamont - il padre putativo di tanti pittori-discepoli del Pontefice Breton - per capire quanto quel collante onirico, che pullula dal serbatoio preistorico dell'inconscio, sia decisivo per il mondo figurale surrealista. Radici di rabarbaro o di sassifraghe che si fanno totem astratti in Ernst Fuhrmann, straordinario artefice del fotografico Folkwang-Archiv. Sagome di piante rampicanti, che in Hans Arp diventano figure geometriche dal profilo in negativo. Prodigi mimetici di sugheri e di cortecce, che creano boscaglie illusorie negli interni di Magritte. Alghe e fogliame che si assottigliano nell'universo anoressico e filiforme del tedesco Wols, diventato più parigino di un parigino. E poi le metamorfosi neo-ovidiane di Masson, dove piante ed arbusti traforano immaginari profili di ominidi da Science-Fiction. E le lunari tavole anatomiche d'enciclopedia di Klee; i prodigi biologici che inquietano le superfici-provetta di Kandinskij; le foreste incantate di Kubin ed \frottage boschivi di Max Ernst, che sembra defoliare un'intiera foresta. Uno dei «capitoli» della mostra è appunto dedicato al tema nevralgico e capitale delle Metamorfosi, che coinvolgono uominipietra ed animali-piante. Ma non poteva mancare l'uso «surrealista», cioè straniante, epico, della fotografia. Che isola certi dettagli, fa incontrare oggetti inusuali sul tavolo anatomico della fantasia, permettendoci di scoprire un mondo che è perennemente sotto i nostri occhi, ma che soltanto l'immagine artificiale, «macchinica», ci consente di esplorare meglio. Ecco così le meravigliose foto-forme «inanimate» di Wols, poemetti delle cose alla maniera di Ponge, nature morte stravaganti ed inusuali: frammenti in primo piano di carne bovina che ha rilievi d'alta montagna, pomo- dori dalle strane protuberanze, funghi, larve, teste di pesci dai profili allarmanti. Ma non c'è soltanto Wols, ed il Dubuffet alle soglie dell'Art Brut e dei suoi pupazzoni come scolpiti nel sughero dell'euforia dionisiaca. Certo, avrebbero potuto figurare anche altri artisti, come Weston, con i suoi straordinari trompe l'oeil vegetali, oppure Brassai, con i suoi rivoluzionari graffiti parigini. Ma è sempre meglio scoprire artisti meno frequentati, come Fritz Bill, come Karl Blossfeld, la più nota Lotte Jacobi, come il già citato Ernst Fuhrmann, che confluiscono tutti nel Folkwang-Archiv, a metà tra le geometrie algide del Bauhaus e di Umbo e gli esperimenti dada alla Man Ray: qui rappresentati da esemplari fotografici di Haussmann e Schwitters. Divertenti anche i Roenten-autoritratti a raggi X di Moret Oppenheim, nobile teschio con ricco bocchino e monili, che rallegrano l'opacità cadaverica. Ma anche per quanto riguarda la pittura, c'è il tentativo di allar¬ gare questo Parnaso di nomi fintroppo-noti con altri, meno frequentati: come Willi Baumeister, per esempio, o Richard Oelze e soprattutto la rappresontatissima, mediocre Ella BergmannMichel. Dimenticavamo gli scultori, Moore, Zadkine, e, sempre interessante, Germaine Richier, con i suoi pipistrellacci o le gigantesche formiche-dinosauro. Picasso, che non poteva mancare, è presente con la serie naif di volti ritagliati nella materia: piume, fogliami, rocce, insomma, le illuistrazioni per Diurnes di Prévert, quasi un omaggio ai suoi collages. Forse la definizione più efficace è quella di un titolo di Eluard, illustrato da Max Ernst: A l'interieur de la vue, All'interno del vedere. La natura, in fondo, per i surrealisti, non è altro che questo: un metodo per estrarre prodigi visivi, la riserva onde trovare un volto puntuale agli spettri del proprio subconscio. Marco Vallora Da Klee a Max Ernst da Picasso a Mirò un mondo fantastico di radici-totem e formiche giganti «Der Rhein» (1982) di Anselm Kiefer: il passaggio dalla Pop Art all'arte contemporanea tedesca «Omaggio a Goya» (1885) di Odilon Redon da cui prende origine la mostra su Surrealismo e vegetazione. Sopra, «Rote Landschaft» ( 1948) di Willi Baumeister

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