«Noi, religiosi in bolletta» di S. B.

«Noi, religiosi in bolletta» «Noi, religiosi in bolletta» Storie di suore e preti nei guai con i conti LA MISERIA IN CANONICA ■ L grido di dolore è stato I lanciato da un anno e M mezzo. Due inchieste una della Conferenza episcopale e una dei vescovi del Triveneto - hanno documentato che i sacerdoti italiani, circa quarantamila, vivono davvero a disagio. Hanno oramai un'età media di sessant'anni, si sentono spesso soli, non riescono a far quadrare il bilancio, accusano stress e frustrazione, accumulano incomprensioni sempre più gravi con i vescovi. Come risolvere il problema? Per il momento c'è una commissione allo studio, poi si vedrà, anche se non si fa mistero che deve essere aumentato il contributo dei cattolici alle parrocchie, altrimenti la Conferenza episcopale da sola non riuscirà a tamponare la falla nei conti. Ecco tre «storie di vita» che la dicono lunga sulle difficoltà: due di sacerdoti e una di suore, categoria, quest'ultima, proprio al fondo della scala del tenore di vita. [s. b.] DON BERNARDO «Pago pure i restauri» ROMA. Don Bernardo è un caso anomalo tra i sacedoti italiani. Insegna in un'Università Pontificia a Roma al mattino, nel pomeriggio si prende cura di una piccola chiesa in centro e alla sera torna a casa propria dalla anziana madre e dalla sorella. Il suo stipendio? Circa 2,5 milioni mensili: tanto vengono pagati gli insegnanti universitari di ruolo. Poteva starsene tranquillo e vivere tra casa e Università, eppure ha scelto di avere una chiesa cui pensare. Perchè lo ha fatto? «Sono affezionato a questa zona. Prima di fare l'insegnante universitario ero parroco da queste parti; senza di me questa chiesa sarebbe stata chiusa proprio per mancanza di un sacerdote che se ne occupasse. Inoltre mi serve il contatto concreto con i fedeli: l'insegnamento a volte allontana dai problemi della gente che viene dal sacerdote per confessarsi o esporre dei problemi». Ma la sua è stata una scelta pagata cara, se non altro dal punto di vista economico. «Non mi lamento - spiega - certo devo sempre stare attento e fare economie. In più questa chiesa affidata alle mie cure ha bisogno di riparazioni continue: i fedeli contribuiscono come possono ma questo è un quartiere di anziani e così attingo alle mie tasche». I debiti insomma non mancano. L'anno scorso i 180 milioni necessari per riparare il tetto, sistemare la facciata e i muri interni sono stati racimolati ricorrendo alle offerte e a un aiuto della diocesi, che solo dopo tante insistenze ha finalmente messo mano alle tasche. «E' stata la prima volta - ammicca don Bernardo - che il vescovo ha deciso di fare la sua parte e venire in mio aiuto». Così la spesa totale è stata coperta per metà della cifra. La parte restante? «Ho chiesto un mutuo e le rate le pago attingendo direttamente dal mio stipendio e dalle nuove offerte dei fedeli», [s. b.] SUORAOMiSE «Senza medicine» ALGHERO. L'ultimo grido d'allarme per un monastero italiano di suore di clausura arriva da Monte Agnese, in provincia di Alghero. Lo ha raccolto «Jesus», il mensile dei Paolini che ha da anni un'apposita rubrica per segnalare alla generosità dei lettori le situazioni limite in cui troppo spesso le suore sono costrette a vivere. E i lettori rispondono davvero, in una gara di solidarietà che non «fa notizia» ma risulta sempre molto grande. Come sarà per questo caso difficile e toccante. L'edificio è «isolato nella campagna sarda», ha appena sedici anni di vita eppure per una «svista» del costruttore è venuto su senza un'infermeria, adesso davvero necessaria in considerazione delle precarie condizioni di salute di tutte le suore. Delle quattordici monache, quattro sono definitivamente immobilizzate a letto, nove molto anziane non hanno piena mobilità e solo una, la più giovane, suor Agnese, cerca di fare fronte come può alla situazione. Occorre dunque un'infermeria e subito, per questo si ricorre ai lettori. «La gente attorno è generosa - scrivono le suore a "Jesus" - ma può portare solo doni in natura»; vi sarebbe anche «lo spazio per l'orto ma mancano i denari per pagare qualcuno che lo coltivi. Oltretutto la casa è già indebitata per la costruzione della chiesa: anch'essa mancava, la si è dovuta costruire, ma resta ancora in parte da pagare». Contributi della Regione, neanche a parlarne, visto che le suore di clausura non ne hanno diritto al contrario dei monasteri cosiddetti «di vita attiva». E qui «Jesus» aggiunge, di suo, una rivendicazione storica, per far leva ancor di più sulle tasche dei suoi 600 mila lettori: l'aiuto pubblico vada esteso anche alle suore di clausura perchè «sarebbe un piccolo, tardivo ma significativo "risarcimento" delle confische e delle ruberie da parte delle autorità del secolo scorso», [s. b.] DON VITTORIO «Quante rinunce» BOLOGNA. «Sono parroco da venti anni e vivo come posso, sempre attento alle spese, ricorrendo alla generosità dei parrocchiani e facendo i classici salti mortali per risparmiare qualcosa, ma spesso finisco in rosso. Eppure nel complesso non mi lamento perché la salute non mi abbandona, in parrocchia non sono solo come invece capita a molti altri sacerdoti e i parrocchiani rimangono abbastanza generosi anche in tempi di crisi economica come sono questi». A parlare è un don Vittorio come tanti, che accetta di raccontare la sua condizione solo a patto di restare anonimo. «Sa, molti pensano ancora che il sacerdote abbia una vita di agi. Invece la realtà è diversa: mi alzo la mattina alle sei, poi la prima messa. Tutti i giorni a scuola per insegnare lettere ai ragazzi di terza media e al pomeriggio a seguire la parrocchia e i vari gruppi, fi- no a sera tardi perché tutti chiedono del parroco e del resto la responsabilità finale di quel che accade è mia. Mai un momento libero e soprattutto devo stare attento alle necessità degli altri». E quanto alle spese? «Non mi lamento mica, anche se vivo tra mille difficoltà e ho imparato a fare i conti, che tengo su un quaderno a quadretti tipo quelli di scuola, un po' come facevano i miei genitori a casa: annotavano tutto e discutevano sempre su come fare per arrivare a fine mese. Certo con me stesso non discuto, però a parte un aiuto che viene da un gruppo di signore per le pulizie della chiesa, tutto il resto devo farlo dividendo i compiti con gli altri due sacerdoti della parrocchia. Per quanto mi riguarda, quando son diventato prete pensavo di dovermi occupare delle anime dei miei fedeli e invece ho scoperto che proprio come un tempo a casa mia, qui bisogna rimboccarsi le maniche. Non capita così per i vescovi, distanti dai nostri problemi, riveriti e serviti di tutto punto». [s. b.]

Persone citate: Monte Agnese, Paolini

Luoghi citati: Alghero, Bologna, Roma