«Borghesi d'Italia, gli incapaci»

«Borghesi d'Italia, gli incapaci» Lo scrittore: «Un intellettuale vero dovrebbe giocarsi la vita, non una comparsata in tv» «Borghesi d'Italia, gli incapaci» «Berlusconi? Bravo come un Gino Cervi» ALBERTO ICIAMO due metri di tavolo, sopra al tavolo centocinquanta libri (ultimo arrivato: Celine), accanto ai libri un bicchiere Ferrarelle, le bozze di «Mekong», reportage di viaggio cambogiano in uscita a settembre, poi una camicia a righe bianche e lampone. Dentro alla camicia, Alberto Arbasino. E' stato a San Pietroburgo, poi a Salisburgo, per un giorno e mezzo fermo a Roma, in partenza per la Grecia. Seduto, ma di passaggio, l'idea che dà è: ovunque meno che in Italia. Quindi: parliamo dell'Italia. E dei fratelli italiani, con questo Berlusconi che va ripetendo: «Non partirò; io resto e così il mio governo». «Ero in aereo quando ha parlato in Parlamento. Ho letto il giorno dopo. Impressioni? Nessuna, direi». Fine. Proviamo da un'altra parte. Scusi, ma la politica, che pure lei ha frequentato per quattro anni, indipendente repubblicano... Lui interrompe: «Oh, tempo perduto, il Transatlantico, i cavilli, le dilazioni... Non credo che oggi sia cambiato, Roma non cambia, non sente questo caldo che soffoca, il tempo atmosferico è sempre quello, il tempo burocratico anche... Barocco, scirocco. Diceva?». Il suo punto di vista sulla politica. Eccolo: «In nessun Paese al mondo governato dal maggioritario esiste il fondato sospetto che il mandato a termine si possa trasformare in un regime». Prego? «Un regime. Andreotti è rimasto quarant'anni. Berlusconi ha più tecnica comunicativa, e, sul piano dei media, ancora più potere. Questo fa temere il peggio». Spiega: «E' arrivato al potere di corsa, in base a una campagna tutta affabilità, sorriso, consenso, promesse, strategia da venditore di fustini. E se non farà l'errore di sgridare il suo pubblico, durerà...». Secondo lei come è stato possibile? «C'era un vuoto enorme e lui lo ha occupato. Il primo è stato Bossi, sembra passata una enormità di tempo, ma in realtà era solo l'altro ieri. Per capire quello che è successo bisognerebbe parlare della borghesia milanese che è il blocco di potere responsabile, anzi protagonista, di questo cambiamento». Parliamo della borghesia. «Vede, negli scorsi decenni, e intendo anche quelli del fascismo, la borghesia milanese aveva creato delle grandi dinastie che dovevano gestire e ampliare i patrimoni fatti di industrie, banche, poteri finanziari. Tutto quello che era pubblico - l'amministrazione dello Stato, la pubblica sicurezza, insomma le intelaiature burocratiche del Paese - veniva delegato. Per una serie di circostanze delegato al Sud, agli eredi della buona amministrazione borbonica, che poi è diventata massa di burocrazia in mano alla de, eccetera. C'era questa separazione di compiti. Una parte del Paese si occupava della produzione. Un'altra dell'amministrazione». «Negli ultimi anni c'è stata prima l'occupazione socialista di tutto ciò che era pubblico, la conseguente distruzione di tutto quello che è pubblico, poi il grande scandalo della corruzione. Con le inchieste giudiziarie, i referenti politici di quel mondo sono stati spazzati o forse solo spiazzati, ma il risentimento della gente è diventato immediatamente visibile e politicamente decisivo. Il vuoto era così ampio che chiunque si fosse presentato sulla scena politica avrebbe avuto successo. Prima Bossi, poi Berlusconi, che in fondo sono molto simili». Lei li trova simili? Uno smandrappato, e l'altro in amido da sera. Uno irruente, e l'altro imploso, uno che grida: «Ohe!», e l'altro che sussurra: «Mi consenta». Arbasino non si sposta: «Li guardi da lontano e li immagini seduti in un ristorante di Venezia o di Bari, tutti si accorgerebbero che sono milanesi. Va bene, sono diversi nei modi, nel lessico, nell'autopresentazione, ma sono in definitiva la medesima cosa». Però nemici-amici. «Ma votati più o meno dalla stessa gente. Ho tanti amici industriali e professionisti e facoltosi, che prima votavano Lega poi Berlusconi, così, da un mese all'altro. Di questo si è detto e scritto molto...». Riprendiamo il discorso sulla borghesia. «Benissimo. Prenda Milano. E' diventata una città orrenda. Nessuno che sia in grado di governarla, nessuno che si ponga il problema estetico di una città che era bella, affascinante, ed è diventata insopportabile... Ecco, quella della borghesia non è una responsabilità morale, come diceva Gadda, ma proprio incapacità, perché gli eredi della grande borghesia non sanno gestire la città, non sanno organizzarla... Guardi dove abitano, in strade deserte, senza vita, via del Gesù, corso Venezia. O niente negozi o negozi finti. Se devono riparare un rubinetto, gli tocca chiamare un idraulico da Saranno, da Busto Arsizio...». E dunque? «Quel vuoto è la spia della défaillance di una classe intera e lo dico con un po' di retorica mariateresiana...». E adesso da quella sconfitta è nato Berlusconi, quintessenza della fattività, uno che promette soluzioni a qualunque problema. «Promette, sì. Anche se non mi pare che tutta questa efficienza sia troppo rassicurante. Prima di tutto si sono occupati di conquistare la Rai e poi di interferire e bloccare le inchieste giudiziarie...». Decreto Biondi. «Certo. Era sbagliato nei modi, e sospetto nelle finalità, di questo si sono accorti tutti, magari con sbalordimento». E con grande strepito dell'opinione pubblica, moltiplicato dai mezzi di comunicazione. A proposito, cosa ne pensa dell'ossessione di Berlusconi per l'immagine? «Per la verità riguarda tutti i politici, Pannella addirittura ne soffre da vent'anni... Berlusconi deve all'immagine la velocità con cui ha conquistato il potere. In questo è molto americano, è un buon attore. Come lo era Reagan, e come in un certo senso lo è Clinton, che non so quante idee abbia in testa, ma sopra ha dei bei capelli e davanti un bel sorriso. Sarebbe un ottimo testimonial per le magliette». Capelli a parte, anche Berlusconi? «No, temo che sia troppo vecchio. Lui oggi funziona sulla scena politica per quella sua aria rassicurante... Ma a questo punto credo che anche un buon attore funzionerebbe, uno di quelli invecchiati con carisma». Per esempio? «Se fossero vivi, Gino Cervi, Sergio Tofano, gente così». Scusi, ma in tutto questo stagno, gli intellettuali? «Permette se rido, vede, sono trent'anni...». Prego, prego. «Grazie. Sa qual è il ruolo degli intellettuali veri? Di farsi massacrare». Prende le bozze del suo «Mekong», cartellina blu, cento pagine, dice: «In Cambogia ci sono stati un milione di morti su sette milioni di abitanti. Tempo: un anno e mezzo». Parlavamo degli intellettuali italiani. «Lo so, le ho detto una cosa seria a proposito di un problema ridicolo... In Italia gli intellettuali hanno passato la vita a firmare appelli, prima firma Moravia, rischiando di giocarsi non la vita, ma una comparsata in Rai. Per questo non mi occupo di intellettuali». E di cosa allora? «Di viaggi e libri. Sono stato in Iran, perché volevo vedere da vicino una teocrazia, sono stato nella nuova Russia perché non ci andavo da trent'anni. Torno da Salisburgo dopo aver visto il Pirandello di Ronconi e ascoltato Shostakovic, uno che ha vissuto gli anni della normalizzazione di Stalin e Zdanov, cioè il massacro dei Gulag... Tutto questo mi sembra di una grandiosità e tragicità così alta rispetto al tepore della nostra Italia, dei nostri intellettuali e artisti o letterati o registi che sfornano storie di infelice amore... Nel dopoguerra, per una stagione, dentro ai libri e ai film italiani, vivevano personaggi che, per quanto giovani, avevano pensieri e passioni adulte. Oggi è tutto così tardo-infantile, così da pianerottolo e cameretta adolescenziale...». Perciò? «Voglio solo viaggiare e scrivere. Ho più di sessantanni e s'è fatto tardi». Bella frase per chiudere l'intervista. «Quale?». «S'è fatto tardi» «Ah, no! Che magari porta male Scriva. Arbasino dice: per tanti anni ancora». Scritto. Pino Corrìas «I massacri del Gulag, un milione di morti in Cambogia... tragedie alte, grandiose Da noi storielle da pianerottolo: non ci sto» A sinistra, Alberto Arbasino. A lato, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e lo scrittore Carlo Emilio Gadda