La lezione di Parini per i teppisti di Cagliari, un sociologo dell'800 per Berlusconi di Lorenzo Mondo

La lezione di Patini per i teppisti di Cagliari, un sociologo dell'800per Berlusconi lettere AL GIORNALE La lezione di Patini per i teppisti di Cagliari, un sociologo dell'800per Berlusconi Come ieri i nostri emigranti Letto il fondo di Lorenzo Mondo sui teppisti di Cagliari, approviamo il testo integrale ma soprattutto la frase finale: «E noi siamo qui a scongiurare il signor Ndjang Aldhjuma a non cedere, anche se quei milioni esentasse gli faranno gola e, per metterli insieme... Glieli rigetti in faccia, come una scudisciata, per l'onore della sua pelle scura e della sua vita dannata». Il problema del Terzo Mondo non ci risulta nuovo, e siamo a conoscenza dello Studio Valletta datato 1978; siamo quindi consapevoli di non poter ospitare nell'accezione esatta del termine tutti gli extracomunitari che credono di trovare nel nostro Paese l'America di fine secolo (pure così inumana). Occorreva allora attuare quanto lo Studio proponeva: investimenti nelle terre di origine per trattenervi senza lo spauracchio della fame i nativi, nel rispetto più assoluto delle loro tradizioni e credenze, pena l'ondata di clandestini che avrebbero comunque, per dignità umana, diritto a un rispetto concreto quanto troppo oneroso e contrastante con la nostra... civiltà. Nel Biellese non sono lontani i tempi dell'emigrazione stagionale in Francia così come (essendo luogo della più massiccia immigrazione del dopoguerra) non sono sconosciute quelle in Germania delle nostre genti provenienti dal Meridione, né le umiliazioni raccontate ai figli e tramite essi ai pronipoti che pure ora possono, con onesto lavoro, vivere decorosamente a casa loro. Se la Storia non mente, ripercorre, oltre quella del Vico, la strada di un'affermazione scientifica: «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma». Ci sembra doveroso abituarsi a tali mutazioni senza scendere in ulteriori disquisizioni di politica economica ri¬ cordando solo che le specie macroscopiche sono sempre scomparse dalla faccia di codesto pianeta, e che al momento pare «macroscopica» la razza che ha troppo piena la pancia e vuoto il cervello senza volontà alcuna di equilibrare la situazione. L'oppio dei popoli non sono le religioni ma il sogno dello stomaco se non satollo almeno placato. Non guasterebbe riproporre e rileggersi in massa il Parini. Daniela, Giuseppe e Raffaello Sobbia Occhieppo Superiore (Biella) Le condanne e l'ipocrisia Ennesimo episodio di razzismo. Questa volta è la Sardegna a ospitarlo, un senegalese a subirlo. Come sempre in questi casi i giornali si scatenano, fioccano gli articoli pro-nero, abbondano alla tv le condanne al folle gesto. Tutto ok, inteso, ma quanta ipocrisia alle soglie del 2000! La controparte non la scrive mai nessuno. Vorrei solo avere l'illusione che un giorno la tv e i giornali dicano anche il resto. Rapine, saccheggi, spaccio, prostituzione, lavoro nero (forse è per questo che si chiama così!), violenza, stupri. E il rimpatrio? Vogliamo nasconderci ancora a lungo dietro il solito dito? Milo Barbieri Rocca Grimalda (Alessandria) Cinque milioni di alberi a Monza La polemica divampata sul taglio degli alberi del parco di Monza non doveva secondo me neanche iniziare, per il semplice fatto che quegli alberi non devono essere tagliati. Non parlo da nemico delle corse di Formula 1, ma la salvaguardia del patrimonio ambientale è più importante anche delle considerazioni economiche. Voglio spiegarmi meglio. Oggi nulla può essere gratuitamente concesso. Tutto rientra in una politica di scelte nelle quali il fattore ambientale gioca un ruolo primario. Per il bene di tutti non si può non tenerne conto. Difesa di foreste, boschi, campagne, parchi e verde pubblico è una faccenda in- transigibile in tutti i Paesi avanzati e non. Figurarsi poi tagliare gli alberi del parco di Monza. Questo è un Paese già orrendamente ferito e danneggiato dallo sviluppo e dalla cementificazione inarrestabile. Che dire poi del Milanese e del suo hinterland che sono diventati il luogo di una urbanizza¬ zione pazzesca? Esigui scampoli di campagna sono sopravvissuti all'interno di un reticolo edilizio immane che spinge i suoi tentacoli per quasi tutta la Lombardia. La gente di quei posti tra un po' non saprà neanche più cosa è un albero perché non ne vedrà più. Quindi gli alberi di Monza non sono alberi qualsiasi ma alberi preziosi. Bene farebbero i monzesi e le popolazioni limitrofe non solo a difendere i 500 alberi di Monza ma a esigere che cinquecentomila alberi, cinque milioni di alberi, venissero piantati tra le loro case e sulle loro strade, perché la loro vita migliorerebbe di certo. Benché molti segni lascerebbero pensare il contrario, in realtà sempre più dovremo occuparci di protezione ambientale e darci da fare per riparare ai danni vergognosi fatti in passato. Carmine Antoloci, Perugia «Abbiate qualche idea nel cervello» Il presidente Berlusconi sembra allergico a qualunque minimo rilievo critico dei suoi contemporanei, anche il più documentato e rigoroso. Chissà se lo trova meno insofferente qualche suggerimento che viene da lontano? Ecco, per esempio, queste indicazioni illuminanti, che risalgono a un secolo fa e si trovano nel volume La reazione di Guglielmo Ferrerò, pubblicato a Torino dall'editore Roux &C. nel 1895. Scriveva il sociologo e storico Ferrerò: «Non ci facciamo illusioni; sappiamo che a molti mali l'opera di un uomo, di un partito, di una scuola non può mettere rimedio, che le leggi in gran parte ancora ignote della vita sociale sono più forti di noi; ma per quanto riguarda l'azione che l'uomo può svolgere, noi vogliamo che sia guidata dalla ragione». E precisava: «Basta! Rappresentate quel partito e quella classe sociale che volete; ma siate uomini ragionevoli, intelligenti, istruiti; abbiate qualche idea nel cervello». Ogni ulteriore commento mi pare superfluo. Arturo Colombo Dipartimento di Studi politici e sociali Università di Pavia Non erano umilianti le lacrime azzurre Vorrei rispondere alla lettera di Giorgio Amprino per dirgli che sono contraria a quello che ha detto riguardante «lo spettacolo inverecondo dei nostri azzurri». I calciatori sono persone umane e come tali hanno dei sentimenti. Io penso che sia del tutto giustificato il loro pianto perché dopo tante fatiche come minimo meritavano di vincere. Stavano giocando un titolo mondiale e nella partita finale erano scesi in campo non solo con le gambe ma anche con il cuore. Hanno perso ai calci di rigore e perdere ai rigori non è tra le migliori sconfitte. Lui scrive: «E' stato davvero umiliante vedere il viso virile e contegnoso di Baresi trasformarsi in una maschera infantile intrisa di lacrime». Perché «umiliante», se si pensa che per Baresi era l'ultimo Mondiale (forse) e l'ha perso dopo tante fatiche e dopo aver giocato una partita da vero campione? E non credo che gli unici italiani ad avere pianto siano stati i nostri calciatori. E sicuramente non hanno pianto per i soldi persi. Magari in quel momento non ci pensavano neanche. Lei dice di non ricordarsi di avere mai visto piangere persone adulte se non per guerre, funerali, ecc., forse lei non ricorda bene. Patrizia M., Torino Districarsi nella Nigeria Nella Stampa del 14 agosto alla pagina 11 sotto la colonna titolata «Abiola», io ho trovato due errori: «... originario dello Stato di Ondo nel Nord». Abiola è della città Abeokuta, dello Stato di Ogun, nel Sud. Infatti, Abeokute si trova vicino al Lagos. T. S. Ibiyemi nigeriano, professore all'Università di llorin in Nigeria