Cala l'Inno di Mameli sale il Sole di Mascagni E la Loren casca giù

L'obiettività è soltanto un'utopia AL GIORNALE Cala Unno di Mameli, sale il Sole di Mascagni E la Loren casca giù «Va' pensiero» è inadatto Leggo continuamente sui giornali proposte in merito alla sostituzione dell'Inno di' Mameli che, ormai perduta la sua carica risorgimentale, non è, secondo alcuni, più consono alla nuova realtà italiana. Io non mi pronunzio al riguardo, ma resto perplesso nel leggere che lo si vorrebbe sostituire con il verdiano «Va' pensiero». Forse la canicola che arroventa questo nostro agosto ha confuso le idee anche al grande Pavarotti. Il «Va' pensiero» è un inno? O, invece, un coro tragico, da tragedia greca, come il coro delle Troiane di Euripide davanti alla loro città in rovina? Non è forse un coro di pianti sulla patria perduta e lontana? Come si può conciliare con l'inno nazionale, che deve esaltare le virtù patrie! E ancora ne abbiamo? Allora, si, piangiamo! e appendiamo le nostre cetre alle fronde dei salici. Io, invece, proporrei l'«Inno al sole» dell'iris di Mascagni, che inneggia al sole, che illumina, particolarmente, questa nostra terra desolata, detta, appunto, la terra del sole (altro bene, mi pare, oggi non abbiamo, se non eccedo nel pessimismo). Non, però, 'O sole mio, perché l'inno, certamente, scadrebbe a canzonetta, e la scelta sarebbe di pessimo gusto. Semplificato nell'orchestrazione, con parole bene adattate, 1-«Inno al sole» di Mascagni sarebbe, a mio avviso, più appropriato come inno nazionale di «Va' pensiero» e di 'O sole mio. Quanto sarebbe bello, poi, l'inno di Puccini «A Roma»! Ma se lo sono appropriato i fascisti. Che gran peccato! Riporto i versi oraziani: «Aline Sol, currum nitido diem qui / Promis et celas aliusque et idem / Nasceris, possis nihil urbe Roma / Visere maius». Sono versi eterni, che celebrano la civiltà e la grandezza di Roma imperiale; sono la voce di un poeta tra i massi¬ mi delle letterature occidentali. Orazio è un poeta solare, sommo poeta lirico, che ci ha dato il carme più bello che mai esalti la grandezza di una patria e di una civiltà. dott. Rosario Pancallo Locri (Reggio Calabria) Gli animali da pelliccia si vendicano di Sophia Chissà se Brigitte Bardot, dopo aver tanto criticato Sophia Loren che si accingeva a fare pubblicità di certe pellicce, sta constatando il risultato di quella campagna sui maggiori giornali italiani. Se lo vedesse, forse si pentirebbe un po' d'essersi agitata tanto. La nostra attrice, un tempo vantata tra i migliori prototipi di popolana bellezza italiana, campeggia a piena pagina con un'immagine più adatta a un défilé sul Viale del Tramonto. Tiri un capello, casca tutta l'impalcatura. Forse gli animali da pelliccia, oltre alla BB, hanno anche un santo in paradiso, che li ha vendicati. Michela Ferrano Varese L'onestà fiscale che danneggia lo Stato Il ministro Tromonti ha ragione: lo Stato non può continuare a imporre la «corvè contabile» a chi vorrebbe essere in regola con il fisco. Non è così che si trattano gli amici, soprattutto quando se ne hanno pochi. Mi è spiaciuto però che nell'intervista alla Stampa del 3 agosto non abbia menzionata la fattura. Imporre l'emissione di fatture alle grosse ditte dotate di uffici appositi va anche bene, ma imporla ai piccoli professionisti è demenziale. Altro che abolire gli scontrini e i registratori di cassa! Come medico che non ha nemmeno una segretaria e che è obbligato a farsi da solo le pulizie dello studio, farei salti di gioia se potessi rilascia- re ai miei pazienti uno scontrino anziché la fattura. Ma la cosa più bella è che lo Stato ha imposto la fattura ai medici pensando di essere furbo: infatti, contestualmente ha previsto che la fattura sia deducibile dal reddito dei pazienti, i quali quindi sono motivati a pretenderla. Lo Stato però non ha fatto bene i suoi conti: una fattura da 100 mila lire viene dedotta dal paziente al 27% del suo valore facciale, e quindi comporta una minor entrata per il fisco di 27 mila lire. La stessa fattura però entra nel reddito del medico insieme alla deduzione delle spese sostenute per quella prestazione, spese che generalmente si possono calcolare intorno a un quarto del reddito, per cui in realtà quelle 100 mila lire lorde diventano 75 mila lire imponibili. Ora, se il medico ha per esempio un imponibile di 80 milioni (non è poco: equivalgono a un'entrata lorda di 107 milioni), paga un'aliquota media totale Irpef di poco più del 31%. Le tasse che quindi lo Stato riceve dal medico per quella fattura da 100 mila lire ammontano al 31% di 75 mila lire, cioè 23.250 lire: meno di quanto lo Stato ha dovuto restituire al paziente! Quindi la fattura, ben lungi dal portare denaro alle casse dello Stato, ha determinato una perdita secca per il fisco. Per arrivare alla semplice «parità» fra quanto lo Stato perde sul versante del paziente e quanto guadagna sul versante del medico, bisogna che quest'ultimo paghi un'aliquota media del 36%, che corrisponde a un reddito imponibile di 140 milioni e a un reddito lordo di 187 milioni. Solo un nababbo può quindi avere l'onore di non danneggiare lo Stato con la sua onestà fiscale! dr. Antonio E. M. Attanasio Mandello del Lazio Occidente e Islam i meriti e le colpe Un sentimento misto di rabbia e di sconforto mi assale quando leggo lettere come quella del sig. Ben Salah Bekir, testimonianza di come gli uomini d'oggi diano risalto a singoli aspetti di problemi ben altrimenti complessi, e solo a quelli che servono loro a sostenere una determinata tesi. Posso dare atto al sig. Bekir di aver riconosciuto le «azioni disoneste e malvagie» dei suoi «connazionali», ma dal tono della lettera sembra che l'abbia fatto solo prò forma e come se si trattasse di casi isolati e non di metodi diffusi, con profonda convinzione di giustizia in chi li adopera. Posso (o forse devo) dargli ragione quando parla di rigenerazione etica e di un uso del torpiloquio ormai intollerabile. Ma da qui a colpevolizzare l'Occidente, reo soltanto di aver capito, a differenza del mondo islamico, che la realtà non ha un'interpretazione univoca decisa e imposta da poche persone, quelle sì salite in cattedra, mi sembra che «ce ne corra»! In più l'atteggiamento di eccesso dell'Occidente non deve giustificare, come pare credere il sig. Bekir, l'espansione dei fondamentalismi, che sono essi stessi degli eccessi e non dei modi corretti per riportare l'Occidente sulla retta via. Da ultimo vorrei esprimere il mio disappunto per la frase dello scrivente: «Occidente... dominato dalle donne», evidente indice di una mentalità a dir poco retriva. Peccato però che egli non porti alcun esempio (a parte due persone quasi sconosciute al grande pubblico, e quindi non dominatrici), perché altrimenti ne porterei molti io di dominio negativo degli uomini! Celeste De Michel Torino Niente pungolo per gli asini Sono stupefatto e indignato nel leggere oggi 18 agosto sulla pagina 10 della Stampa che a Cembra «viene impiegato un pungolo nell'ano del somaro per farlo correre più velocemente». Il fatto è grave, anche perché oggi nella rubrica televisiva Fatti e misfatti è stata riportata tale notizia. Io, fondatore della corsa degli asini, giunta quest'anno alla sua XI edizione, smentisco categoricamente quanto riportato dal vostro giornale sulla base di quanto avete preso dalla Lega italiana diritti dell'animale. Posso ribadire in tutta sincerità che la corsa si svolge regolarmente e che gli animali (sei, uno per contrada) non subiscono alcun maltrattamento. Allego fotocopia del regolamento in cui si evidenzia che è vietato maltrattare gli asini. Alessandro Savoi Cembra (Trento)

Luoghi citati: Cembra, Lazio, Reggio Calabria, Roma, Torino, Varese