I lunghi anni del sospetto

La cultura italiana l'ha scoperto davvero solo negli Anni 80: i perché d'un colpevole ritardo La cultura italiana l'ha scoperto davvero solo negli Anni 80: i perché d'un colpevole ritardo I lunghi anni del sospetto Aristocratico indecifrabile per la sinistra ER leggere Canetti in Italia occorre aspettare il premio Nobel nel 1981 e le edizioni Adelphi de- Igli anni seguenti. Auto da fé risale al 1935 e appare presso Garzanti nel 1967, ma conquista i lettori e i critici soltanto all'inizio degli Anni Ottanta. Massa e potere viene pubblicato nel 1960 e da noi nel 1972, ma le discussioni cominciano dieci anni dopo quando Canetti, laureato dai giudici di Stoccolma, appartiene ormai all'Olimpo della cultura occidentale. Da allora i tempi si sono accorciati. Fra l'edizione tedesca e l'edizione italiana di La lingua salvata corrono soltanto tre anni. Capricci dell'industria culturale? Semplici giochi di sponda fra grandi editori internazionali? Canetti percorre un itinerario anomalo, lontano dalle strade maestre della grande intelligeneija europea. In Bulgaria, dove è nato nel 1905, parla ladino, il vecchio patois spagnolo degli ebrei della diaspora. A Londra, dove si rifugia nel 1938, scrive i suoi libri in tedesco. Negli anni in cui tanta parte della intelligencija ebraica abbandona le grandi città di lingua tedesca - Berlino, Vienna, Praga - e impara l'inglese, Canetti cammina a ritroso verso la «germanità». Lascia Vienna, ma proclama la sua fedeltà alla lingua. «Voglio rendere alla lingua scriverà dopo la fine della guerra - quel che le devo. Voglio dare il mio contributo perché si sappia che le sono grato per quel che mi ha dato». Come von Rezzori, tedesco della Bucovina, anche Canetti gira per il mondo ostentando la sua «anacronistica» devozione al tedesco. Ma nessuna di queste considerazioni basta a giustificare la tardiva apparizione di Canetti in Italia. La ragione, probabilmente, è un'altra. Mitteleuropeo, introverso, erudito, criticamente attento all'influenza delle masse sui sistemi politici europei, Canetti è uno scrittore aristocratico. Manca per molti anni, nel grande guardaroba della cultura italiana, una casella o un cassetto in cui egli possa essere collocato, catalogato, repertoriato. Non è marxista, non è progressista, non dibatte i grandi problemi della società contemporanea, non denuncia la decadenza del mondo borghese, non firma manifesti, non è «organico»; ed è troppo attento ai miti per non suscitare il sospetto che nelle pieghe della sua formazione si nasconda una reprensibile familiarità con le correnti irrazionaliste della cultura europea. E' un oggetto misterioso, un soprammobile per stanze desuete, insomma uno «scrittore di destra». Passano gli anni e la cultura di sinistra diventa «liberal», curiosa, ricettiva, eclettica. Non rinuncia a esercitare la propria egemonia e tiene strette nelle sue mani i «nihil obstat» e gli «imprimatur», ma li distribuisce con maggiore generosità. Basterà che il prefatore o il critico formulino qualche riserva, rinviino il lettore ai grandi principi dell'ortodossia. Così facevano gli studiosi sovietici quando volevano introdurre nel regime qualche idea di contrabbando: citavano nelle prime pagine, due o tre volte, le Opere Complete di Lenin. Grazie a questo tollerante eclettismo la «Repubblica popolare delle lettere italiane» riscopre Joseph Roth, Celine, Schnitzler, Zweig, Mircea Eliade, Cioran e poi i filosofi da Nietzsche a Heidegger. La vicenda di Canetti in Italia è quindi un capitolo nella storia del regime culturale italiano dal 1945 a oggi. Il libro comincia con Politecnico, la rivista milanese di Elio Vittorini, e con la lettera che Palmiro Togliatti gli indirizzò alla fine del 1946. Vittorini voleva fare una rivista «impegnata», ma pronta a cogliere qualsiasi segnale intellettuale senza sottoporlo preventivamente al test della conformità ideologica. Togliatti lo accusò di essere enciclopedico e astrattamente alla ricerca del «nuovo, del diverso, del sorprendente». Continuando su quella strada - aggiunse - Politecnico avrebbe corso il rischio di «compiere o avallare sbagli fondamentali di indirizzo ideologico». Un anno dopo la rivista interruppe le pubblicazioni. Oggi, trent'anni dopo la sua morte, sappiamo che Togliatti ha perduto la sua battaglia culturale. Ma se gli avessero spiegato che occorreva essere tolleranti per meglio essere «egemonici» avrebbe certamente approvato. Sergio Romano «Auto da fé» (1935) è tradotto nel '67; «Massa e potere» (I960) aspetta fino al 72 Non era marxista, non era progressista, non denunciava la decadenza del mondo borghese Qui a sinistra, lo scrittore Arthur Schnitzler. Sotto, Joseph Roth Qui a sinistra, Elias Canetti. Sopra, Stefan Zweig.

Luoghi citati: Berlino, Bulgaria, Italia, Londra, Praga, Stoccolma, Vienna