«Sinistra non fare come i serbi» di Maurizio Tropeano

Plllilili «Sinistra, non fare come i serbi» Pannella: per rinascere deve autodistruggersi IL LEADER RIFORMATORE ELLA sede dei Riformatori, in una Roma semideserta, Marco Pannella rilancia quel suo tormentato «amore» per la sinistra che ormai dura da alcuni decenni. Le premesse non sono certo rosee. Frase numero 1 : «Sono un uomo della sinistra liberale e radicale che oggi vive l'apparente paradosso di trovare in Berlusconi più sensibilità e più capacità di raccogliere le potenzialità rivoluzionarie di quel nostro immenso progetto di riforma dello Stato e della società che la sinistra ha continuato a rifiutare per vent'anni». Frase numero 2: «Non chiedo lasciapassare a nessuno». Ma poi arriva la dichiarazione: «Chiedo, e con me i radicali prima e i riformatori poi, perennemente e ossessivamente alla sinistra di sedersi con me intorno ad un tavolo per dialogare. L'ho fatto per oltre 30 anni e continuerò a farlo con grande passione». Onorevole Pannella con quale titolo lei parla alla sinistra visto che ha scelto di allearsi con Berlusconi che è sceso in campo proprio per sbarrarne la strada? «Boh, che domanda. Come un europeo liberale può e deve parlare ai serbi, anche se i serbi lo considerano un serbo traditore». E in questo caso i serbi sarebbero i progressisti? «Sì, si comportano come un'unità etnica. E io a loro chiedo di smettere di comportarsi come una tribù, di vivere nella cultura dell'etnia e di difendere i propri averi accumulati con il passato. Lo faccio io, come nel passato, hanno tentato di farlo i Rosselli, Ernesto Rossi, Ignazio Silone, Gaetano Salvemini, Capitini o Calogero o Calosso, e tanti altri, e perché no? Gli Umberto Terraccini o i Gramsci i Colorili nei periodi delle loro scomuniche. Io sento di proseguire questa loro storia». E che cosa dovrebbe fare la sinistra per smettere di diventare una tribù? «Ad esempio, non voglio più in questa nostra società dieci milioni di tesserati sindacali alla bulgara con trattenuta come quella fiscale per il lavoro dipendente. Non c'è nessuno di voi, o di noi, non c'è nessuno di destra che abbia mai chiesto come siano state amministrate le cifro immense rappresentate da dieci milioni di tessere l'anno riscosse dallo Stato o dal padrone. Per un momento la questione l'ha posta Bertinotti poi... insomma io rivoglio grandi conflitti sociali, un'alternativa del "terzo stato"». Mi scusi Pannella, ma lei propone la distruzione del pds, delle centrali sindacali, cioè del cuore della sinistra italiana. Ma così non si può fare un dialogo? «E perché? Io propongo solamente quel che noi per primi abbiamo realizzato, continuamente "autodistruggendoci", biodegradandoci, per evitare di radicarci come fazione come coagulo di interassi e di professionisti-burocrati, mettendo al centro e a ragione di unità obiettivi programmatici ambiziosi, storici, duri, alternativi. Non compiendo l'operazione inversa: prima l'etnia, etnos come ethos, e poi - tanto per giustificarla e se possibile portarla al potere - programmi, progetti, obiettivi, ragioni di unità e di lotta. E' roba tolemaica». Che cosa serve allora? «Quel che urge è la ripetizione di quel che accadde negli Anni Venti-Trenta in Inghilterra quando i laburisti facendo propria una parte dell'ideologia liberale di Lord Beaverbrook li sostituiscono al potere e iniziano a costruire il Welfare State». Pannella ci dica allora i nomi di chi ritiene più vicino a sé nei progressisti (oltre a Rutelli, naturalmente). «Lasciamo stare. Ma gli interlocutori obbligati, necessari, opportuni sono Bertinotti, D'Alema, Scalfari con un pizzico di De Benedetti e D'Antoni. Il partito dei giudici. Penso che prescindere da questi soggetti sia illusorio». Come giudica l'idea di Prodi leader dei progressisti? «Il ricorso alla categoria degli "indipendenti", o affini, degli "esperti" è culturalmente e politicamente il più sintomatico e repellente: le fazioni, le tribù che hanno vergogna di sé, che si sentono improponibili, che hanno bisogno di mascherarsi hanno ricorso a questa categoria usualmente». Sì, ma di Prodi che cosa pensa? «E' sicuramente una degna e capacissima persona di pura storia, cultura e ideologia democratico-cristiana e quando dico pura vuol dire che Prodi è una persona che ha sempre convissuto, senza nemmeno rendersene conto, con la partitocrazia, con il regime. Non ho mai sentito da lui un'analisi critica su Cefis, su Mattei, su un certo statalismo. Poi quando è venuto di moda il tema delle privatizzazioni è parso sensibile all'argomento». Pannella ma allora c'è un'anima nera della sinistra italiana che la conduce sempre alla sconfitta? «E' quella trasformistica iniziata nel 1876 con la caduta della destra storica». E chi sono i trasformisti odierni? «Non sono persone, ma sono rappresentanti dalla tradizione togliattiana e craxiana e dalla componente di "potere borghese" tipo Scalfari e altri». Con Veltroni al posto di D'Alema sarebbe stato più facile rinnovare la sinistra? «Walter si ritiene e viene considerato "liberal" solamente perché è un consociativista convinto, un Rai-tivuista. E' "pluralista" non laico e liberale. Tranne che per le letture che propone, schizofrenicamente, a copertura di una politica tutta altra». Dunque bocciatura di D'Alema visto che non c'è un pidiessino più togliattiano di lui? «E perché? Per me lo è molto di più Veltroni». A sì? «Certo, perché è uno del tipo: "nessun nemico a destra, nessun nemico persino a sinistra"... tranne i liberali! Così lui può almeno immaginare di diventare "liberal" per occupare meglio lo spazio». Meglio D'Alema, allora? «D'Alema è uno che per la sua storia per la sua cultura potrebbe anche immaginare un grande compromesso storico con la tradizione liberale di ispirazione anglosassone, e classica; e non la solita solfa, oggi pipiista». Maurizio Tropeano «Prodi il leader? E' una degna persona ma sempre un de» Il leader riformatore Marco Pannella rilancia il dialogo con la sinistra Qui a fianco il segretario del pds Massimo D'Alema

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