Un ghetto nella vecchia fabbrica

Il palazzo liberty dell'ex Westinghouse occupato da decine di immigrati Il palazzo liberty dell'ex Westinghouse occupato da decine di immigrati Un ghetto nella vecchia fabbrica Abitano nei tre piani, 30 mila metri quadrati Divette le porte per scaldarsi, rifiuti ovunque Non c'è un vetro intatto, all'ex Westinghouse. Il palazzo Liberty, nel cuore di Torino, odora di cenere e di urina. E' grande quasi quanto l'isolato compreso tra corso Ferrucci, via Bixio, via Boggio e via Vochieri: trentamila metri quadri di desolazione. Decine di disperati, ogni notte, si ritrovano qui per dormire. Ognuno in un angolo diverso: lo spazio è tanto, non c'è bisogno di ammassarsi. La fabbrica abbandonata è diventata un condominio di disgraziati. Benvenuti nell'inferno di via Boggio. Per entrare basta infilarsi in un buco a un metro e mezzo d'altezza, dove c'è una finestra divelta. Si accede alle officine abbandonate. Una volta, qui, si producevano freni per convogli ferroviari e veicoli industriali, componenti elettrici e di automazione. Ora negli enormi spazi vuoti ci sono soltanto rifiuti. Le erbacce invadono i cortili. Qua e là sono cresciuti cespugli e piante alti due, tre metri. I pavimenti sono allagati: dalle pompe dell'impianto antincendio dell'ex fabbrica, inattiva dal 1988, esce continuamente acqua. Serve al popolo di disperati che vive qui per lavarsi. Abitano al primo, al secondo e al terzo piano. Hanno divelto tutte le porte, usate per scaldarsi: qua e là ci sono le tracce dei fuochi accesi per cucinare. Pentole, stoviglie, avanzi di cibo, lattine e bottiglie vuote, cartacce e polvere, vetri rotti e arredi sfondati si ammucchiano ovunque. Ogni gruppo vive in un paio di stanze degli ex uffici. In altre zone ciascuno ha ritagliato il suo spazio, nei saloni sterminati, creando piccole trincee con mucchi di arredi distrutti: nelle nicchie ricavate alla bell'e meglio ci sono le brandine, i sacchi con qualche vestito. Qua e là, su fili di corda, panni stesi ad asciugare. Una decina i «gabinetti»: altrettante stanze in cui il popolo di inquilini defeca per terra. L'altro giorno i vigili del Pronto intervento si sono infilati nella finestra distrutta. Nell'ala nord dell'ex palazzina degli uffici, dove c'erano la «sala consiglio» e il «servizio legale», dormivano dodici extracomunitari. Con loro c'era anche una tossicodipendente, che poco prima si era concessa ai clandestini in cambio di un paio di dosi. Gli agenti hanno accompagnato in ufficio sei extracomunitari. Quattro sono stati espulsi; due tunisini, Adel Maroeni Ben Dala di 22 anni, e Ridha Avari di 31, sono stati arrestati per inottemperanza a un precedente decreto di espulsione. Ieri pomeriggio i vigili, coordinati dall'ufficiale Mario Rinaldi, hanno fatto un nuovo sopralluogo. Si può incontrare chi vive qui solo la notte o la mattina presto: nelle altre ore della giornata ci sono soltanto le tracce lasciate dagli abusivi. Sul lato Est, nelle stanze che si affacciano su via Boggio, si ritrovano i tossicodipendenti. Lo si capisce perché la concentrazione di siringhe gettate a terra è più alta che altrove, e per le fiale di Novocaina. Dietro dev'esserci il rifugio di un barbone: accanto alla brandina ci sono una fotografia della Roma e alcuni vecchi dischi, 45 giri della Callas e di Beniamino Gigli. Palazzo di giustizia, nuovo di zecca, è a due passi. Ma qui sembra un altro mondo. Al terzo piano, vicino agli ex archivi, cinque brandine. Qui abita Moussa. I vigili spaccano il lucchetto che protegge le sue cose: ci sono i documenti, è nato in Costa d'Avorio. Si capisce che mestiere fa dalla presenza di un tergi-vetri. Ha una chitarra e un paio di guantoni da boxe. Sulla sua brandina c'è una lettera, firmata «maman». Sua madre gli scrive in francese: «Devi pensare al tuo avvenire, hai 26 anni». E: «Mi spiece di non averti potuto accogliere, l'ultima volta. Non ho ancora ricevuto i soldi che mi avevi promesso. Mandami una valigia di cuoio, qui con la svalutazione non si può comprare niente». Accanto c'è la brutta copia della risposta. Moussa le scrive di aver pazienza, che tutto si sistemerà: «molte cose devono cambiare». Ha cancellato alcune parole. Dicevano «maman, c'est un déséspoir total», una disperazione totale. Giovanna Favro Gli uffici usati come gabinetti La «sala del consiglio» trasformata in dormitorio Gli arredi diventano giacigli Il tetto che si affaccia sui cortile dell'ex fabbrica, e un'immagine di degrado all'interno dell'edificio

Persone citate: Adel Maroeni, Beniamino Gigli, Callas, Giovanna Favro, Mario Rinaldi, Ridha Avari

Luoghi citati: Costa D'avorio, Torino