«Date all'eretico 4 fiorini»

Esce in Francia l'opera omnia del filosofo con nuovi documenti sulla sua disperata ricerca di una cattedra Esce in Francia l'opera omnia del filosofo con nuovi documenti sulla sua disperata ricerca di una cattedra «Date all'eretico 4 fiorini» Così Tubinga cacciò Giordano Bruno fi | ON la nuova edizione criI ' tica delle opere di GiorI dano Bruno, che esce I i presso Les Belles Lettres SA.Ì di Parigi, la Francia assesta uno schiaffo morale e intellettuale all'indifferente Italia. Strano: noi andiamo a rovistare nelle pattumiere della letteratura straniera, ma trascuriamo un colosso della filosofia come Giordano Bruno. Vogliamo forse rimuovere, con il silenzio, l'atroce colpa di averlo bruciato vivo? Questa superba edizione, che comprende sia le opere italiane che quelle latine, è prevista in circa venti volumi. La traduzione francese ha sempre il testo originale a fronte. Per ora sono usciti due volumi: Il candelaio, che Bruno pubblicò proprio a Parigi nel 1582 e La cabala del Cavallo Pegaseo, pubblicato a Londra nel 1585. II testo del primo volume è stato stabilito da Giovanni Aquilecchia, che vi premette anche una lunga introduzione filologica. La prefazione e le note, invece, sono di Giorgio Bàrberi Squarotti. Anche il testo del secondo volume è stato stabilito da Aquilecchia, mentre l'introduzione e le note sono di Nicola Badaloni. E' imminente l'uscita del terzo volume, che comprende La cena de le Ceneri, uno dei capolavori della filosofia occidentale, dove Bruno rivela anche la sua formidabile vena satirica. Ma già ora possiamo dire che questa edizione presenta tutti i crismi della serietà filologica. I curatori, italiani e stranieri, sono tutti studiosi di prim'ordine. Dirigono l'impresa, sotto il patronato dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, il francese Yves Hersant e Nuccio Ordine dell'Università di Cosenza. Fra sei anni ricorrerà il quattrocentesimo anniversario del martirio di Giordano Bruno e per allora, precisa una nota editoriale, saranno pubblicati quasi tutti i volumi. E poi aggiunge con forza: «Ma non si tratta tanto di commemorare una scomparsa quanto di affermare una presenza». Perché «Bruno, oggi, interessa tanto la filosofia che la poetica, tanto l'arte drammatica che la storia della scienza». Così Parigi, che già lo aveva visto muovere i primi passi come autore e avviarsi verso la sua grande avventura intellettuale, rilancia Giordano Bruno, il padre della filosofia moderna. I suoi libri non sono sempre di facile lettura, sia per l'argomento che trattano sia perché egli non ebbe mai il tempo di limarli. Perseguitato e sempre pieno di sciagure, era costretto a scrivere di getto o in fretta e furia. Per questo si legge volentieri la traduzione francese, che, pur rispettando lo spirito e i moduli sintattici dell'originale, riesce nondimeno a smussarne certe asperità. Particolarmente bravo è Yves Hersant, traduttore del Candelaio. Egli rende la com- media così attuale e appetibile che il volume è andato a ruba e se ne prepara la ristampa. Più arduo sarà tradurre, senza tradirne lo spirito e il ritmo, i poemi filosofici in latino, modellati sul De rerum natura di Lucrezio, autore prediletto da Bruno. Qui bisogna anche essere, in qualche misura, poeti. Ci sono passi di grande bellezza, come l'inizio del libro III del De immenso, dove Bruno fa una solenne e accorata rievocazione del Monte Cicala che lo vide fanciullo e del Vesuvio che si stagliava all'orizzonte. La vita di Giordano Bruno ha tutto l'andamento di una tragedia in cinque atti: infanzia, giovinezza, esilio, processo e morte sul rogo. Ma mentre sono abbastanza noti gli ultimi atti, sappiamo poco sui primi. Questo rende ancora più cupa la tragedia. Di tanto in tanto affiora qualche documento che ci permette di fissare meglio le coordinate di una vita così errabonda e tempestosa. Sull'andare a zigzag che Bruno fece in Germania dalla primavera del 1586 fino all'estate del 1591, quando gli venne la malaugurata idea di ritornare in Italia, si può dire qualche cosa di nuovo. Finora tutti i biografi hanno sempre scritto che il filosofo, nell'autunno del 1588, si recò direttamente da Praga a Helmstedt, nella cui «Academia Iulia» venne registrato il 13 gennaio dell'anno dopo. Invece non è così. Due documenti venuti alla luce in epoca recente, e ai quali da noi ha fatto accenno solo la brava studiosa Maria Rita Pagnoni Sturlese, dicono chiara¬ mente che il filosofo, prima di recarsi nella nordica Helmstedt, era andato a cercare il modo di guadagnarsi il pane nella meridionale Tubinga. Ma gli avevano dato solo un obolo. Il primo documento, scritto mezzo in latino e mezzo in tedesco, è una delibera del senato accademico di Tubinga e reca la data del 17 novembre 1588. Incomincia con le parole Quidam Italus. Traduciamo: «Un certo italiano, di nome [spazio vuoto], profugo ed esule per motivi religiosi, chiede per sé lo stato di docente universitario e il permesso di insegnare privatamente. Su parere dei domini si è deciso che al postulante sia concesso di essere accolto nel numero degli studiosi, ma gli è stato negato l'insegnamento pubblico. Gli è stato però concesso di insegnare privatamente, ma a patto che non insegni nell'ora in cui insegnano gli altri professori. Quanto all'altra questione, si è deciso di trattare cortesemente con lui affinché non si trattenga qui più a lungo, perché il senato non ha bisogno di altri professori. Se è disposto ad andarsene, gli si daranno quattro fiorini». E infatti gli furono dati quattro fiorini sotto forma di carità, come risulta da un altro documento del 24 novembre, dove il nome di Bruno è scritto a chiare lettere: «Jordano Bruno D. ex Decreto Senatus 4 f.» (al signor Giordano Bruno, per decreto del senato, 4 fiorini). In precedenza, l'università di Tubinga aveva riservato lo stesso trattamento ad Alberico Gentili, anche lui esule per motivi religiosi e più tardi amico prezioso di Giordano Bruno. Al povero Gentili, che oggi viene considerato il fondatore del diritto internazionale, fu negato il permesso di insegnare a Tubinga. La scusa fu la solita: mancanza di cattedre. Ma un rescritto ducale del 2 aprile 1580 diceva che non era opportuno lasciar entrare «simile gentaglia straniera». Il secondo documento riguardante Giordano Bruno è un'annotazione nei diari del grecista Martin Crusius, corifeo dell'università di Tubinga: «Il 21 novembre [1588] l'italiano Giorda- no Bruno Nolano (che ha insegnato privatamente a Wittenberg) mi dice che, essendosi Frischlin vantato di ricevere 300 talleri all'anno dall'imperatore, lui ci aveva creduto e si era recato a Praga con la speranza di ottenerli anche perse dall'imperatore, ma invano; lì (il mese scorso) aveva saputo da uno studioso degno di fede che Frischlin non si trovava più a Brunswick, ma che era stato licenziato; che lo stesso aveva scritto anche contro il poeta Johann Major e contro di lui (Bruno), e inoltre che tra Frischlin e Major esisteva grandissima ini¬ micizia». Questa notizia è di estrema importanza e apre un nuovo capitolo, ancora tutto da studiare, nella vita di Bruno. Ora sappiamo, finalmente, perché egli si recò a Praga. Ma ancora più importante è apprendere che egli fu in rapporto con il poeta satirico Nicodemus Frischlin. Essi si conobbero sicuramente nel 1587 a Wittenberg, dove tutti e due tenevano lezioni private. E a Wittenberg viveva anche il poeta Major, di cui il filosofo fa grandi elogi. E pare anche di capire, ora, perché Bruno, dopo il tentativo fatto da Tubinga, se ne sia andato a Brunswick: ve lo aveva preceduto Frischlin. Di tutte le persone che il filosofo italiano può aver conosciuto durante il suo lungo peregrinare attraverso l'Europa, Nicodemus Frischlin è quello che, sotto molti punti di vista, gli somiglia di più. Tutti e due ribelli e perseguitati, tutti e due versati in disgrazie, ma soprattutto tutti e due nemici mortali della cultura accademica e scannaprofessori. Tutti e due erano dotati di una temibile vena satirica, che procurò loro molti nemici. Il peggiore nemico, però, lo ebbero in se stessi, nel proprio carattere, che non seppe mai piegarsi a compromessi. E dire che fisicamente essi erano quanto di più antitetico si potesse immaginare. Bruno era mingherlino e parco. Frischlin, corpulento e forte, era capace di scolarsi in poco tempo un otre di vino. E proprio il peso del corpo fu la Càusa della sua morte. Nella notte fra il 29 e il 30 novembre 1590, cercò di fuggire dalla prigione. Si calò nel vuoto con una corda di stracci che si ruppe per il grande peso e il poeta si sfracellò sulla roccia. Per Bruno i chierici, i ministri di Dio, avevano in serbo un destino ancora più atroce: bruciarlo vivo in Campo dei Fiori a Roma la mattina del 17 febbraio 1600. Anacleto Verrecchia L'obolo fu versato dall'ateneo che in un documento affermava: non è opportuno lasciar entrare «simile gentaglia straniera» Praga, dove si recò Giordano Bruno (ritratto in due immagini, sotto e in alto a destra) nell'autunno del 1588. Nuovi documenti dimostrano che, prima, passò per Tubinga (a destra)