Così il «questore-segugio» diventò il terrore dei boss di Giovanni Bianconi

E LA CARRIERA DEL SUPER POLIZIOTTO Così il «questore-segugio» diventò il terrore dei boss E ROMA RA la sera del 14 maggio 1993, una sera di mezza primavera, a cena in un ristorante dietro via Veneto. Il questore Gianni De Gennaro, direttore della Dia, chiacchierava e scherzava come sempre, come sempre rilutt ante a parlare di mafia e antimafia, cioè di lavoro. All'improvviso, poco prima delle 10, squillò il telefonino: «Direttore, c'è stata un'esplosione ai Parioli, abbiamo sentito il botto anche dall'ufficio». Da quel momento il telefonino non cessò di farsi sentire, arrivavano le prime informazioni, una bomba era scoppiata in via Fauro, la macchina di Maurizio Costanzo quasi distratta, il giornalista salvo pi r un soffio. Era lui l'obbiettivo? Il questore De Gennaro s'era fatto serio, da quell'apparecchio nero sempre in funzione chiedeva notizie e dava indicazioni ai suoi uomini. Di lavoro, a quel punto, si dovette parlare per forza, e a tavola molti si lanciavano in analisi e previsioni: è stata la mafia, no la mafia non sbaglia, non colpiscono fuori dalla Sicilia, ma che gliene importa di Costanzo? Lui. il direttore della Dia, più che parlare, ascoltava. E ammoniva: «Bisogna aspettare, riflettere, capire». La mattina dopo era in via Fauro, davanti al cratere ed ai palazzi sventrati, per rendersi conto di persona, riflettere, capire. Poco più di due mesi più tardi, a fine luglio, altre due bombe squarciarono le notti di Roma e Milano. E nel frattempo, a Firenze, c'era stata la strage di via dei Georgofili. L'allora presidente del Consiglio Ciampi convocò all'istante un vertice coi capi dei Servizi, di polizia, carabinieri e finanza. E con il direttore della Dia, che più che parlare, ascoltava. Ciampi chiese anche il suo parere, il poliziotto disse che ci voleva un po' per capire, e alla fine della riunione il capo del governo chiese proprio a De Gennaro un rapporto sulle bombe e la nuova strategia della tensione. Entro due settimane. Il 10 agosto il direttore della Dia consegnò il suo rapporto, dove per la prima volta si ipotizzava un'unica strategia e un'unica mente dietro le bombi' di Roma, Firenze e Milano: la mente di Cosa Nostra. Un anno più tardi, poche settimane fa, i magistrati di Roma annunciano che, soprattutto grazie al lavoro della Dia, sono i:i grado di indicare mandanti ed esecutori degli attentati di via Fauro, San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velacro. Mandanti ed esecutori mafiosi, incastrati da prove, dichiarazioni di pentiti e riscontri. Dai ragionamenti e dai tentativi di capire, che il capo della Dia cominciò a fare quella sera nel ristorante dietro via Veneto, si era arrivati iigli ordini di cattura. Un poliziotto comi- il questore De Gennaro, 46 anni, una moglie due figli e un cane, il segugio più temuto da Cosa Nostra se è vero che un pentito ha raccontato di quando Leoluca Bagarella, il cognato latitante di Riina, lo stava aspettando fuori da un ristorante; proprio quello dietro via Veneto. Per ammazzarlo. Anche solo per questo, per il semplice fatto che i mafiosi continuano ad industriarsi su come farlo fuori, qualunque scelta che portasse De Gennaro fuori dai binari della lotta alla piovra sarebbe vissuta come una vittoria dall'organizzazione mafiosa. Che l'aspettava fuori dal ristorante, e che ancora prima ci aveva provato convincendo un picciotto a spacciarsi per pentito in modo da trovarsi faccia a faccia col questore ed accoltellarlo. Tariti anni fa, De Gennaro era solo un commissario in servizio alla Mobile di Roma, altri progetti di morte erano stati messi a punto per eliminare quel poliziotto che s'era fatto conoscere dalla «mala» proprio nei locali di via Veneto, dove giravano i boss della droga: De Gennaro arrivava, controllava i documenti e raccoglieva dati. Poi, in ufficio, rifletteva, ragionava. E partivano gli ordini di cattura. Negli Anni Ottanta, aumentano i successi e la popolarità, sempre schivata da quel poliziotto tenace ma anche deciso quando serve: come quando, nel 1980, entra da solo nell'ambasciata belga in Italia dove uno squilibrato ha preso in ostaggio un diplomatico e gli tiene la pistola puntata alla tempia. De Gennaro prova a dialogare con quell'uomo, ma quando questo gira la pistola verso di lui e sta per premere il grilletto, il poliziotto riesce a sparare per primo, uccide il sequestratore e libera l'ostaggio. Passano 4 anni, e quando De Gennaro già da tempo collabora nelle indagini antimafia con Falcone arrivano il pentimento di Buscetta e il maxiprocesso imbastito insieme a Chinnici, Falcone, Borsellino e il collega Ninni Cassarà: tutti morti ammazzati, De Gennaro è l'unico superstite. L'esperienza e la fiducia che suscita nei suoi superiori (ma anche nei sottoposti che lavorano ai suoi ordini) lo portano a dirigere il nucleo centrale anticrimine della polizia, una task force di investigatori che non si occupa solo di mafia, ma risolve anche sequestri di persona come quelli di Patrizia Tacchella e di Esteranne Ricca. Neil'89 giungono gli schizzi di fango del «corvo di Palermo», diretti a lui oltre che a Falcone, ma il questore De Gennaro va avanti fino a diventare primo vicediret tore e poi capo della Dia, sempre seguito dall'aneddotica e dalle leggende sul poliziotto di strada con la sigaretta che pende da un lato della bocca. Non dice, chi lo chiama una volta Dick Tracy e un'altra Petrosino, che la sua ve ra arma è la capacità organizzati va, oltre al fatto di mettersi sempre in gioco personalmente e far nascere in questo modo rispetto e collaborazione in chi lavora al suo fianco. In poco più di due an ni la Dia è nata cesi, e così è riu scita a mettere a segno risultati come quello che mai De Gennaro avrebbe voluto inseguire: catta rare gli assassini del suo amico Falcone. Risultati raggiunti senza mai dare spazio a trionfalismi né polemiche, come quella ciclica sui pentiti. E' lui il primo a dire che devono stare in carcere finché le cose non sono chiare, che ci vo gliono le indagini per scoprire se dicono il vero o il falso, che le loro parole non vanno prese per oro colato ma, anzi, controllate una ad una. Senza enfasi, ragionando e cercando di capire. «Mafia e monopolio di Stato permettendo» sorride ironico il questore De Gennaro mentre sfila dal pacchetto l'ennesima sigaretta. Giovanni Bianconi Con Falcone, Chinnici e Cassarà collaborò alla ricerca delle prove per il maxiprocesso Accusò i clan per la strategia delle bombe A sinistra il questore Gianni De Gennaro, «candidato» alla successione di Parisi, a destra Giovanni Falcone e Vincenzo Parisi