La storia dietro la porta di Sergio Romano

I verbali del governo Badoglio I verbali del governo Badoglio La storia dietro la porta vi L piccolo tavolo rettangolaI re di Palazzo Braschi intarli no al quale Giovanni GiolitI ti riuniva i ministri del suo _*l governo è diventato, a Palazzo Chigi, un enorme anello rotondo attrezzato con microfoni, telefoni e altri congegni elettronici. Al Viminale, il 27 luglio 1943, quando Badoglio presiedette la prima riunione del suo governo, il tavolo era rettangolare e i presenti, compreso il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, erano diciotto. Vorremmo sapere di che cosa parlarono, con quali sguardi si strinsero la mano, come commentarono la situazione italiana dopo il messaggio («la guerra continua») di Badoglio al Paese. Ma di quell'incontro abbiamo soltanto uno striminzito verbale, redatto in splendida calhgrafia da un amanuense del Viminale, in cui sono indicati i primi trenta provvedimenti presi dal governo italiano nelle ore immediatamente successive all'arresto di Mussolini. La lista comincia con uno «schema di r. decreto-legge relativo alla soppressione del Partito Nazionale Fascista» e finisce con un altro schema di d.l. per «l'assegnazione straordinaria di 130 milioni occorrenti per l'estensione della rete telefonica nazionale». La seconda riunione si tenne il 5 agosto, ma della terza, prevista per il 9 settembre, rimane soltanto un elenco di provvedimenti preceduti da un preambolo: «S.E. il Capo del Governo, prima di iniziare l'esame dei provvedimenti iscritti all'ordine del giorno, ha riferito lungamente circa la situazione politica e militare conseguente alla fine dell'armistizio». La riunione, com'è noto, non ebbe luogo. All'ora prevista per l'incontro Badoglio e il re erano a Pescara dove stavano per imbarcarsi sul Baionetta per Brindisi. Queste e altre vicende di ordinaria burocrazia emergono dalla lettura dei due volumi in cui Aldo G. Ricci ha raccolto tutti i verbali del governo Badoglio dal luglio 1943 al maggio 1948. Pubblicati dall'Archivio dello Stato e dalla Presidenza del Consiglio (dipartimento per l'Informazione e l'Editoria) questi verbali sono un documento curioso e sconcertante. Qui i tuoni e i lampi della storia diventano decreti, circolari, direttive, nomine, il tutto redatto in perfetto linguaggio giuridico-amministrativo. Ogni tanto la porta del Consiglio dei ministri si apre con fragore per lasciar passare un messaggio di Roosevelt, un passo sovietico, un discorso di Churchill alla Camera dei Comuni, una controversa intervista di Umberto al Times, le notizie dal fronte, l'elenco degli ufficiali italiani fucilati e decapitati dai tedeschi dopo l'8 settembre. Ma dopo essersi appena increspate, le acque di questo tranquillo laghetto burocratico ridiventano rapidamente piatte e grigie. La maggior parte del tempo è spesa a snocciolare decreti di amministrazione ordinaria e straordinaria. Occorre apportare «miglioramenti economici di carattere temporaneo a favore del personale statale e dei dipendenti degli enti ausiliari dello Stato e di diritto pubblico». Occorre provvedere all'«istituzione in Lucerà di una sezione temporanea distaccata di corte d'appello». Occorre definire il «trattamento economico degli equipaggi delle navi catturate dal nemico». E occorre istituire «un nuovo tipo di contrassegno di Stato per i recipienti contenenti liquori». Esauriti da tempo quelli che venivano fabbricati dalla Regia Zecca è stato deciso di sostituirli con una «fascetta statale da applicare alla bocca del recipiente», ma l'esperienza dimostra che «qualunque sia l'adesivo impiegato, è sempre facile sotto l'azione combinata dell'umidità e del calore, distaccarla dal recipiente senza romperla» per sostituire il liquore originale con un prodotto da frodo. Impassibile e indistruttibile l'amministrazione continua a redigere decreti, emanare disposizioni, nominare prefetti, alternare questori, deliberare deroghe e moratorie. Ma se il lettore paziente riuscirà a decodificare il linguaggio dei verbali scoprirà che dietro questa fitta ragnatela burocratica vi sono tutti i problemi che angosciavano l'Italia di allora. Ecco un esempio. Il 9 marzo del 1944 il Consiglio dei ministri si riunì nel palazzo municipale di Salerno per ascoltare tra l'altro una relazione del ministro delle Comunicazioni sul «sinistro ferroviario della linea di Potenza». Il treno era partito da Battipaglia nel tardo pomeriggio del 2 marzo e si componeva di 47 vagoni di cui sei carichi di merce e 41 vuoti. Si fermò per «accudienza locomotive» alla stazione di Balvano e scomparve di lì a poco nella galleria delle Armi. Quando ne uscii, all'alba del giorno dopo, conteneva 501 cadaveri, «per lo più contrabbandieri, come devesi ritenere dal genere di colli e di merci raccolte nei carri e depositati nella stazione di Balvano». Le cause del sinistro? Il pessimo carbone fornito dal comando militare alleato sprigionava ossido di carbonio. Ma il carbone non sarebbe bastato da solo a uccidere i 500 clandestini del treno per Potenza se il convoglio, troppo lungo e pesante, non si fosse bloccato sulla linea in salita che attraversava la galleria delle Armi. Mentre in Lucania si moriva di carbone in Sicilia si ricominciava a morire di mafia. La nomina del commissario governativo per la Sicilia dette luogo a un interessante intervento di Guido Jung sui rapporti tra mafia e separatismo. Palermitano, volontario nella prima guerra mondiale e più volte ministro delle Finanze, Jung sostenne che i separatisti avevano stretto un patto con i mafiosi: i primi per impadronirsi dell'isola, i secondi per trarre vantaggio dal suo isolamento politico. Spiegò quale influenza negativa la mafia avesse avuto sullo sviluppo dell'economia siciliana, ricordò la decisiva azione del prefetto Mori, dichiarò che la situazione era quella del 1925, anzi peggio. Aveva torto quando sosteneva che una Sicilia fortemente inserita nello Stato unitario sarebbe stata meno vulnerabile di una Sicilia separata; ragione, quando affermava mafia era ormai «questione di vita o di morte per la SicUia e per i suoi abitanti». Dopo il rimpasto dell'aprile 1944 e l'ingresso di ministri politici - fra cui Croce, Omodeo, Sforza, Tarchiani e Togliatti - il governo cambia agenda e tono. Vengono in discussione o acquistano maggiore rilievo i grandi problemi politici e costituzionali del momento: epurazione, monarchia, collocazione internazionale del Paese, rapporto tra i partiti. Gli studiosi troveranno in queste pagine e nelle ottime introduzioni di Ricci ai due volumi qualche utile tassello per la ricostruzione della storia italiana dalla caduta del fascismo alla caduta di Roma. Ma il maggior fascino di questi verbali è il quadro italiano che filtra attraverso le maglie del linguaggio amministrativo. Per chi abbia fantasia questi verbali si leggono come un romanzo neorealista. Sergio Romano