CITATI nel castello dei libri viventi

«Adolescente a Cervo Ligure, per sfuggire alle retate, ho vissuto tre anni chiuso con Byron, Omero e Ariosto» hobby. Così la lettura, scelta obbligata dalla guerra, è divenuta ragione di vita CITATI nel castello dei libri viventi RACCONTI D'ESTATI EGROSSETO ISCHIA il treno alla Castellacela. La ferrovia corre radente il grande parco dove ci sono pini, lecci, magnolie, querce americane, cedri, olivi e mimose che nell'estate avanzata hanno perso ogni profumo. Pietro Citati sente il suono dalla sua villa a poche decine di metri dai binari e si ricorda di quando il trenino, tutto dipinto con tinte brillanti, faceva tappa all'altezza del bar lì vicino, per permettere ai macchinisti una pausa a base di pane e salame. Era la gioia dei bambini, compreso il figlio dello scrittore, a cui era concesso di arrampicarsi sulla locomotiva e sui vagoni che trasportavano pietrisco. Erano gli Anni 60, poco dopo l'acquisto della grande casa nel cuore della Maremma che anche adesso ospita il saggista per molti mesi ogni anno, in genere da maggio a ottobre. I mesi e il luogo sono quelli in cui Citati ha scritto molti dei suoi libri, da Goethe a Tolstoj a Kafka. Le sue opere maturano un po' come i frutti dell'estate: nascono sotto il porticato nelle ore meno calde della mattina, vengono lette e rilette nella penombra dello studio. Adesso sulla scrivania ci sono tre cartelline rosa sbiadito. Contengono il manoscritto dell'ultima fatica, dedicata a Proust: diventerà un volume di cinquecento pagine la cui uscita è prevista da Mondadori nel settembre del prossimo anno. La campagna e i libri. Un binomio che sembra indissolubile nella storia personale di Citati. Oggi come scrittore, ieri come ragazzino lettore affamato ed enciclopedico. E i ricordi corrono: dal fischio del treno dell'altro ieri a un'altra campagna e un'altra villa molto più lontana: «Da bambino adoravo i fumetti, ed ero un appassionato lettore dell'Intrepido. Sognavo quelle avventure a occhi aperti. Non ero solo. Con un gruppo di amici - avevamo dieci anni fondammo una piccola casa editrice, che pubblicava fumetti scritti a mano, in una sola copia. Io ero insaziabile. Invece di studiare il latino, scrissi e disegnai almeno quindici album, storie western e di pirati, come se nient'altro esistesse al mondo». Ma poi vennero i libri, e l'incontro per il dodicenne fu di quelli che si possono definire storici: «Era l'estate del 1942 quando per me finì l'epoca dei giochi. Fu l'ultima estate di libertà. Nell'autunno ci furono i primi bombardamenti di Torino, e i miei genitori decisero di farmi abbandonare la città. Così, da allora e per i successivi tre anni, rimasi nella casa delle vacanze, a Cervo Ligure, tra Alassio e Imperia». Nella casa settecentesca c'erano soffitte, stalle, un frantoio. E c'era una ricca biblioteca. I libri non erano sistemati in ordine sugli scaffali perché, nella fretta del trasloco da Torino alla Liguria, erano stati ammassati alla rinfusa nei capaci armadi della grande cucina, il luogo più confortevole e accogliente della casa. La scuola non si poteva frequentare. E anche uscire per le strade, nella campagna o in riva al mare, diventava sempre più rischioso. Dopo le bombe arrivarono le perquisizioni e i rastrellamenti dei tedeschi. «Ho vissuto tre anni chiuso nella biblioteca che era stata improvvisata in cucina. Leggevo di tutto, disordinatamente. Da Byron a Omero, alla Storia di Francia di Michelet, alla Storia delle Crociate del Michaud e poi Tasso, Ariosto, romanzi rosa del Primo Novecento e perfino opere sul mesmerismo raccolte dalla nonna affascinata dalle scienze occulte. Ricordo che c'era anche Emporium, una rivista d'arte che mi fece entusiasmare per il liberty e il simbolismo». Se i volumoni sullo spiritismo - tra cui un'opera filosofica di Abelardo raccolta da un medium attraverso il classico «tavolino» e testualmente trascritta - proiettavano ombre inquietanti sulle spesse mura della cucina, i romanzetti un tempo famosissimi di Guy de Chantepleure, con le loro storie di ereditiere americane innamorate di aristocratici decadenti, aprivano un mondo completamente immaginario. E non mancava neppure qualche «testo proibito», qualche romanzo pornografico del Settecento. Tra le spesse pareti avvenne anche la scoperta di Shakespeare, sia pure nella traduzione ottocentesca di Andrea Maffei. Una scoperta che sembra lasciar tracce anche nel Goethe di Citati quando descrive l'iniziazione culturale di Wilhelm, il protagonista del Wilhelm Meister: «Chiuso nella stanza più remota di un vecchio castello, Wilhelm cominciò a leggere i drammi di Shakespeare, dove si perse completamente, come in un mare senza confini. Quando apriva Amleto, Macbeth o l'Enrico IV, non gli sembrava di guardare dei libri scritti da una mano terrestre. Davanti ai suoi occhi giovanili e desiderosi, si spalancavano gli enormi libri del destino... I personaggi si muovevano intorno a-lui, riempiendo ogni angolo e ogni cornice della sua stanza, come gli spiriti che affollano il laboratorio del negromante». Una così lunga immersione nella carta stampata da parte di un ragazzino neppure adolescente che influenza ha avuto sulla sua idea più matura del luogo-biblioteca? «Ho capito presto che la biblioteca è un cosmo, una totalità. Sfilavo dagli armadi un volume dopo l'altro, a caso, senza sapere cosa contenessero e abbandonandomi al- l'immaginazione. Ho così scoperto legami, connessioni sotterranee. Ho capito che i libri richiamano altri libri, che sono pieni di corrispondenze. E da allora, senza saperlo, ho cominciato a portare dentro di me le pareti di una biblioteca. Nella mente sorgeva un ordine, uno sguardo distante su tutte le cose. La vita, a volte, sembrava così lontana. Eppure quale desiderio di quella vita che mi sembrava di non poter raggiungere!». La galassia dei volumi non sempre aiutava a superare il dolore. Come quando furono arrestati e poi fucilati dai nazisti due dei migliori amici dello scrittore, di quindici e diciotto anni. La golosità del giovane lettore si trasformò in angoscia. Con quali autori ha avvertito subito maggiori affinità e sintonia? Qual è il segreto dei libri che hanno alimentato la sua vocazione? «Mi sono innamorato dei libri che potrei definire biblioteche viventi. Dal Faust a Guerra e Pace a Uomo senza qualità al Castello alla Recherche, tutte le opere che ho studiato in questi anni potrebbero intitolarsi, come un libro del Baron Corvo, Il desiderio e la ricerca del Tutto. In tutti questi libri non viene raccontata una storia, un frammento di vita, ma un'immagine totale dell'universo. Talvolta l'impresa si rivela impossibile, e si ferma a metà, come una cattedrale incompiuta, che rischia di cadere in rovine. Il racconto è sempre intrecciato alla riflessione filosofica, storica e scientifica. Il Faust II è una specie di storia e un "pastiche" della letteratura universale, e per scrivere il mio libro ho dovuto ripercorrere tutta l'avventura conoscitiva di Goethe e studiare le minime tracce dell'immensa biblioteca che era la sua mente». In principio la letteratura per il giovane Citati fu una scelta obbligata dalla guerra. Poi divenne una grande passione, una scelta di vita. Ma tra l'innamoramento adolescenziale per la parola scritta e l'attività del saggista-narratore degli anni più maturi, Citati vive una lun- ga stagione di giornalista-critico letterario con il gusto della stroncatura. Com'era avvenuto questo percorso? «Ho iniziato a scrivere libri piuttosto tardi, a quarant'anni. Prima ho fatto il giornalista per II Punto, per L'Illustrazione Italiana e poi sono diventato critico letterario de II Giorno. Quest'attività mi ha sempre divertito molto: la velocità di esecuzione richiesta dal giornalismo permette di fare continue scoperte, di portare alla luce intuizioni, strati inconsci che altrimenti non emergerebbero. Oggi ho perso il gusto della recensione "cattiva", la considero caratteristica di una fase della giovinezza in cui si ha particolare bisogno di affermare il proprio "Io", di consolidare la propria personalità. Ma poi ci si rende conto che ci sono tanti libri belli da descrivere, da analizzare...». Una linea di demarcazione divide in due l'attività di Citati: alla critica sui giornali sembra si addicano di più le atmosfere cittadine, i mesi invernali, lo smog. Ai libri «belli» si confà invece il termometro che sale, il verde, la campagna piena di sole. A questi ultimi lei ha dedicato anni e soprattutto i mesi estivi quando si è trattato di tirare le fila del suo lavoro di ricerca e di studio. Come mai preferisce mettersi a tavolino proprio nel periodo solitamente consacrato alle vacanze? «Mi piace scrivere all'aria aperta, niente mi aiuta di più della presenza degli alberi, della luce del sole, del vento. Nulla mi dà più idee di un gioco di raggi e ombre tra i rami. Scrivere è per me una gioia mentale ma anche un esercizio di tutto il corpo. Ho sempre avuto antipatia per Flaubert che si lamentava delle sue fatiche di stilista. Ho invece amato Stevenson per cui scrivere era felicità e leggerezza». Alla Castellacela, Citati segue ritmi scanditi e inflessibili: sveglia alle 7,30, lavoro fino all'una, bagni di mare nel pomeriggio che lo aiutano a far emergere le idee cui darà forma l'indomani. La spiaggia con la bellissima pineta alle spalle ò la stessa dove andava anche Calvino. Oggi, con Citati, si può spesso incontrare Carlo Frutterò che ne è un frequentatore abituale. Ma anche a Roma, dove trascorre il resto dell'anno, il critico ama la routine: da trent'anni gli piace camminare per Villa Borghese, nei pressi di casa sua, ripercorrendo sempre gli stessi viali. Questo amore per l'abitudine, la ripetizione, l'ordine prestabilito non è in contraddizione con l'originalità e la fantasia che fanno tutt'uno con il mestiere di critico e narratore? «Il mio essere abitudinario è forse un'eredità che viene dagli anni in cui ero prigioniero nella biblioteca di Cervo Ligure». Ma anche là uno strappo alla segregazione era concesso. C'erano le partite al pallone, le fughe nelle colline dell'entroterra ligure, nell'assoluto deserto. Qualche volta riusciva ad arrivare alla cartoleria del paese vicino dove, tra risme di carta giallina, penne e quaderni, c'era anche qualche libro. I primi acquisti furono due raccolte di poesie di Diego Valeri e di Giuseppe Ungaretti. «Per me, più l'andamento che regola le mie giornate è uniforme, più la fantasia diventa libera e vivace. Mi consolano le stupende pagine in cui Proust ha descritto la tirannia dell'abitudine, raccontandola come una divinità insieme benevola e tremenda. Benevola perché l'abitudine ci permette di proteggerci dall'assalto del mondo esterno e c'immerge in un mondo che ci assomiglia. Tremenda perché l'abitudine ci condiziona, ci rende schiavi, c'inaridisce, impedisce alle immagini di accoppiarsi sulla carta in modo sempre nuovo». Il suo libro su Proust s'intitolerà La colomba pugnalata: perché? «Proust, con gli amici, andava al Jardin d'acclimatation a vedere le "Colombes poignardées", un particolare tipo di colombe con una macchia rossa sul petto. Reynaldo Hahn, un amante di Proust, sosteneva che quegli uccelli sembravano ninfe che si erano suicidate per amore. E lo stesso Proust avrebbe voluto intitolare il secondo volume della sua Recherche, "All'ombra delle fanciulle in fiore", a questi volatili dall'aspetto tragico. Questo titolo ha anche un aspetto simbolico: lascia ai lettori il compito di rintracciarlo». Risale al lontano '46 la scoperta dello scrittore francese da parte di Citati tornato a Torino dalla Liguria dopo la fine della guerra per completare gli studi al liceo «D'Azeglio». Mediatore dell'incontro fu un amico, Ottone Visconti, morto suicida recentemente. Della Recherche conosceva interi brani a memoria ed era talmente influenzato dal suo autore da ispirarsi nella vita all'atmosfera che lo circondava: luci attenuate, molti profumi, una stanza impenetrabile ai rumori. «Dopo il primo incontro io ho continuato a leggere e a rileggere questo libro sterminato e terribile dove tutto echeggia, tutto risuona come in una foresta». E questa foresta Citati l'ha frequentata assiduamente negli ultimi cinque anni per scrivere il suo libro, scoprendo strade nuove di interpretazione di Proust e facendone un ritratto dove l'autore della Recherche è attorniato da personaggi collaterali e significativi, come lo stesso Hahn e un'altra delle sue amicizie intime giovanili, Lucien Daudet, perché, girando per la foresta, «bisogna anche fare attenzione ai piccoli arbusti». «Mi innamorai di chi non dona storie ma un'immagine totale dell'universo» «Mi consolano le pagine di Proust sulla tirannia dell'abitudine benevola e tremenda» La colomba pugnalata La biblioteca del destino «Adolescente a Cervo Ligure, per sfuggire alle retate, ho vissuto tre anni chiuso con Byron, Omero e Ariosto» ......A>, h«Adolescente a Cervo Ligure Franz Kafka, a destra Pietro Citati Sopra, uno scorcio di Maremma e un vecchio «Intrepido»: da bambino lo scrittore adorava i fumetti A Proust è dedicato «La colomba pugnalata», 50 pagine che Citati pubblicherà da Mondadori nel settembre dell'anno prossimo