Carlos, boia usa-e-getta dei burattinai del terrore di Igor Man

Carlos, boia usa-e-getta dei burattinai del terrore Carlos, boia usa-e-getta dei burattinai del terrore GRANDEZZA E MISERIA E: LEGANTE, disinvolto, Carlos scherza col giudice istruttore francese JeanLouis Bruguière: «Eccoci qua, signor giudice, come va?»; «E lei?»; «Ancora vivo, come vede, e per parecchio». Un delinquente vero, qual è appunto Carlos, ha una sua «dignità» da salvare, non può abdicare a se stesso anche perché oramai è prigioniero del personaggio che la società (i giornali, la polizia, la palude del crimine) gli ha cucito addosso. Quando i carabinieri fanno irruzione nel suo appartamento milanese rompendo una lunga latitanza, Luciano Liggio si congratula col tenente: «Bel colpo, complimenti». La spavalderia di Carlos, il suo definire il giudice istruttore: «Una vedette», l'elegante abbigliamento: tutto secondo copione? Oppure la recita rivela la consapevolezza di farla franca, vale a dire di ritornare libero un giorno per ricominciare a vivere con connotati e identità nuovi? Carlos non è certamente l'autore né il regista di tutte le centinaia di misfatti terroristici che negli anni gli sono stati attribuiti da agenti segreti frustrati e da cronisti immaginifici, ma è senz'altro un archivio vivente. Paragonabile al mitico Erich Mielke, implacabile boss della Stasi, padre spirituale di Carlos, ovvero all'altrettanto mitico Wolfang Wolf capo dei servizi segreti della Germania Est, colui che infiltrò nella segreteria di Willy Brandt lo spione Guillaime. E' un uomo che sa tante cose, Carlos. Un uomo che conosce il risvolto di infiniti segreti. Anche di Stato. Da Damasco a Mosca, da Caracas a Belgrado, da Budapest a Tokyo passando per Cipro. Ebbene, non c'è bisogno d'esser un Le Carré per sapere che un personaggio come Carlos lo arrestano: a) perché è bruciato e quindi abbandonato alla deriva dai suoi committenti; b) perché ha trattato la resa. E tuttavia uno dei suoi avvocati, il famoso Werges, sostiene che Carlos sia stato drogato e quindi caricato a forza sull'aereo per Parigi, dai poliziotti sudanesi «incaricati della sua protezione». Il ministro dell'Interno di Francia, Charles Pasqua, ha detto: «Ci troviamo di fronte a un avvenimento importante, che va oltre la personalità di Carlos». Già, la personalità di Carlos. Da dove viene, chi è lo sappiamo (per sentito dire). Chi sia in verità e cosa esattamente abbia fatto, chi abbia servito e perché forse non lo sapremo mai. Carlos si vuole sia nato a Caracas in un giorno imprecisato del 1949. Suo padre è il più ricco avvocato del Venezuela e tuttavia si professa «marxista ortodosso». L'avvocato José Altagracia Ramirez Nava cresce suo figlio nel culto di Bolivar, di Zapata, gli inocula l'odio verso gli yanqui, sicché il giovine Ilich invece di stravedere per i Beatles, come i suoi compagni di scuola (privata), adora il Che e alle figlie slavate dei diplomatici preferisce le cubane. Il padre approva il comportamento del figlio, gli sta bene che egli scandalizzi i professori proclamando che «solo le pallottole hanno un senso», epperò lo spedisce a Londra, insieme con Dona Elba, la madre, e il fratello Wladimir (un terzo fratello si chiama Lenin) «affinché diventi un gentleman». Sennonché nel gennaio del 1969 Ilich si iscrive all'università Patri- ce Lumumba di Mosca, dalla quale appena un anno dopo viene espulso per «hooliganismo». Una messa in scena del Kgb? Verosimilmente, poiché nella tarda primavera del 1970 Carlos viene spedito ad Amman, per imparare il mestiere del guerrigliero nelle file del Fplp di George Habash. Pressappoco in quel tempo fui ad Amman per un'inchiesta approfondita sui vari movimenti di guerriglia palestinesi che avevano occupato la Giordania. I permessi stampa li dava l'Olp, erano i fedayn a dettar legge non celando il proposito di rovesciare, al momento giusto, il «Piccolo Re». (Finché Hussein non scatenò i suoi beduini e fu il massacro del Settembre Nero che costrinse i palestinesi superstiti a riparare in Libano). La sede del Fronte di Habash (che scoprii trotzkista dopo un'intervista fiume notturna) era in una palazzina anonima, ingentilita da un giardinetto ben curato. Nel giardinetto bivaccavano spesso ragazzi e ragazze venuti un po' da tutto il mondo a imparare la rivoluzione. C'era una ragazza bionda che insegnava (amorosamente) il tedesco a un aspirante guerrigliero latino-americano. Ricordo anche una marocchina dall'aria spaventata che parlava fitto con un ragazzo iraniano di Qom. Una volta irruppe nel giardino l'animosa moglie di Pussy Chauvel (del Figaro), allora agli inizi d'una eccellente carriera di fotografa internazionale e la ragazza bionda e il latino-americano, lo ricordo benissimo, rifiutarono di farsi riprendere. Con brutto muso. Nel 1989, dopo la caduta del Muro, in una Berlino Est invasa dalle Mercedes, mi raccontarono che Ulrike Meinhof aveva «studiato» ad Amman nel Fronte di Habash, dove s'era legata d'amicizia con Ilich Ramirez Sanchez detto Carlos. (E' un fatto, d'altronde, che Carlos abbia sposato Magdalena Kopp, anch'essa della Rfa, dalla quale ha avuto una bimba). Carlos, il fantasma impossibile da localizzare, la Primula Rossa del terrorismo internazionale, Carlos ovvero Adolfo José Muller; ovvero Charles Clarke; ovvero Glenn H. Gebhard, ovvero Carlos Andres Martinez-Torres eccetera eccetera. Carlos, che subito dopo la condanna, il 22 di aprile del 1982, a Parigi, di Magdalena e di Bruno Brequet, suo amico fedele, «firma» l'attentato di rue Marbeuf (un morto, 63 feriti), per il quale, ieri, il giudice lo ha incriminato. Allo sciacallo (the jackal) che spara alla tempia delle sue vittime, non alla nuca, qualcuno ha attribuito anche la strage del villaggio olimpico di Monaco. Ma proprio ieri l'israeliano Ygal Camion già consigliere del primo ministro ha detto: «La strage di Monaco fu condotta da Settembre Nero; Carlos non vi ebbe alcun ruolo». Ciò d'altra parte risulta chiaramente dalle memorie di Abu Yiad, il pianificatore di quel tragico blitz. Ma allora la terribilità di Carlos è un bluff, un miserabile serpente di mare? Niente affatto, se il signor David Ronen, ex dirigente dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interno israeliano, dichiara ai giornali che gli agenti segreti israeliani hanno stimato molto Carlos, «coraggioso, ardito, eccelso (sic) nel progettare attentati». Ma Zvi Zamir, già a capo del Mossad, dice che la fama che circonda Carlos è da ridimensionare: «Molte operazioni sono state collegate al suo nome non si sa bene perché». Il perché è semplice: faceva comodo a tutti, dichiara un pezzo grosso della Cia, la leggenda del terrorista imprendibile poiché su di lui si rovesciava la responsabilità di ogni strage della quale non si voleva o non si riusciva a scoprire il vero colpevole. «Eroe? Per carità: solo un barbone pagato a giornata dai regimi arabi di prima linea, e infine scaricato dai padroni preoccupati di rifarsi una verginità». Scaricato, dunque, da Damasco e tradito dal Sudan? Può darsi. Non è improbabile che ci sia molto di vero nel discorso della Cia e che, come dice il Mossad, Carlos sia stato sopravvalutato «perché faceva comodo a tutti». Rimane il fatto, incontrovertibile, che durante vent'anni né la Cia né il Mossad siano riusciti a catturare il maledetto sciacallo. (E' un po' la favola della volpe e l'uva). Sia come sia, Carlos la sua grande impresa l'ha compiuta. Nel 1975, quando sequestra a Vienna tutti gli 11 ministri del petrolio dell'Opep. Un'operazione da manuale, venne definita; il più grande colpo nella storia del terrorismo internazionale. Tra l'altro fruttò a Carlos un bel gruzzolo: divenne, col riscatto pagato dai padroni del petrolio, ricco. C'è una testimonianza curiosa, quella dell'autista austriaco Eric Hinterecker. Accerchiato dai tiratori scelti austriaci, Carlos distribuisce autografi ai suoi ostaggi, passa soprattutto lunghe ore ad ascoltare l'avventura di Hinterecker, sopravvissuto all'affondamento del suo sottomarino durante la seconda guerra mondiale. «Io l'anuniro, Herr Hinterecker, gli dirà Carlos, anch'io sono un soldato e vivo sotto una tenda». (Quella di Gheddafi?). A Cipro nessuno dei «vecchi ragazzi» crede che Carlos abbia dilapidato i 20 milioni di dollari del riscatto. E nessuno lo denigra. Era in sonno da tempo, questo sì, aveva perduto la protezione di Rifaat Assad (poco gradito al grande fratello Assad) sicché può darsi che i sudanesi abbiano pensato che venderlo ai francesi sarebbe stato comunque un affare, senza risvolti sgradevoli. Ma il fatto è che Carlos, fallito o non, dormiente o ubriacone, è un uomo che sa troppe cose. Che potrebbero mettere in imbarazzo troppi personaggi. Non solo mediorientali. Finisce una leggenda, comincia una storia: meschinamente umana, ma pericolosa. Torbida. Un proverbio arabo dice: «La prima volta che tu mi inganni, la colpa è tua. Ma la seconda volta la colpa è mia». Igor Man La Cia: «Un barbone pagato a giornata» che uccideva sparando alla tempia Il furgone blindato scarica Carlos davanti al tribunale Qui accanto la prima immagine del super-terrorista catturato [FOTO ANSA]