Nigeria, la seconda guerra del petrolio di Domenico Quirico

La protesta contro l'incarcerazione del Presidente dietro il caro benzina in Europa La protesta contro l'incarcerazione del Presidente dietro il caro benzina in Europa Nigeria, la seconda guerra del petrolio Gli scioperanti: incendieremo i pozzi come Saddam LAGOS. Nuovi motivi di tensione si addensano sul mercato del greggio, con il rischio di ulteriori rincari per benzina e gasolio. La tempesta è legata alla difficile situazione nigeriana, dove i sindacati del settore enrgetico hanno proclamato uno sciopero a oltranza per costringere i militari a lasciare il potere. La giunta militare ha ordinato alle imprese i cui lavoratori sono in sciopero di non pagare i salari, conformemente a un decreto emanato nel 1977. «Saranno prese misure contro tutti i datori di lavoro che contravverranno al decreto» ha affermato alla radio il ministro nigeriano del lavoro Samuel Ogbemudia, facendo allusione a un testo di legge emanato dall'allora regime militare guidato dal generale Olusegun Obasanjo nel 1977. Il ministro, le cui trattative con i sindacati dei lavoratori del settore petrolifero sono fallite, ha invitato tutti i lavoratori a porre un termine alla loro protesta. Da un mese la Nigeria è paralizzata dallo sciopero del settore petrolifero che ha provocato una grave penuria di petrolio per alimentare servizi pubblici e consumi privati. I due principali sindacati chiedono con la protesta la liberazione del leader dell'opposizione Moshood Abiola, che avrebbe vinto le elezioni presidenziali del 1993 annullate dalla giunta. I lavoratori hanno risposto minacciando di distruggere gli impianti petroliferi, se il governo decretasse la soppressione del loro sindacato, il Nupeng. Un portavoce degli scioperanti ha dichiarato: «Ci vendicheremo se i militari compissero qualche tentativo di sopprimere il Nupeng: distruggeremo gli impianti petroliferi del Paese». Il governo militare nigeriano sarebbe disposto a ritirare l'accusa di alto tradimento contro Abiola, in carcere dal 23 giugno scorso. Lo ha fatto sapere un familiare di Abiola precisando che l'accusa potrebbe esser ritirata il 16 agosto, alla ripresa del processo. Una conferma è venuta dalla più importante confederazione sindacale nigeriana (Nlc), che ha negoziato con il governo il rilascio di Abiola. [Ansa-Afp] Lm ARCHITETTO Julius - Berger credeva di sognare. Abituato alla puntigliosa contabilità dei suoi clienti tedeschi, a cui doveva render conto di ogni marco fuori preventivo, non gli sembrava vero aver trovato clienti così straordinariamente disponibili. Gli avevano chiesto di disegnare una città, il sogno di qualsiasi architetto dall'epoca in cui Ippodamo disegnò Mileto e ne scrisse anche le leggi. Ai generali nigeriani, per la verità, la Costituzione non interessava, loro volevano una metropoli, ma più maestosa di Brasilia, fastosa e promettente come il futuro del loro Paese: perché avevano le tasche piene di petrodollari e si preparavano a dare un calcio alla miseria e a quelle umilianti classifiche da Terzo Mondo. «Nessun problema di costi» doveva fermare la fantasia creatrice dell'architetto. Non ebbe dubbi neppure quando gli mostrarono dove avrebbe dovuto sorgere l'ottava meraviglia, made in Africa: Abuja, un nulla segnato sulla carta geografica, una pagina bianca nascosta da foreste, montagne, fiumi minacciosi. Esattamente al centro del Paese, gli spiegarono, e soprattutto fuori dai territori ancestrali delle tre grandi tribù, Ibo, Yoruba e Haussa, che da vent'anni, da quando era stata ammainata la bandiera britannica, si massacravano per assicurarsi il potere. In centinaia di schizzi e planimetrie c'era l'identikit di un sogno: strade a sei corsie, enormi palazzi di rappresentanza per le istituzioni politiche e i partiti (peraltro inesistenti), una cinquantina di biblioteche e cinematografi, due campi da golf e per il polo, mostruosi centri commerciali. I generali volevano una città che non venisse sorpassata dallo sviluppo: bisognava prevedere le esigenze di famiglie tutte dotate di auto, e con reddito occidentale. Berger ha lavorato con teutonica efficienza per trasformare in cemento armato l'utopia. Nessuno saprà mai quanto è costato questo progetto urbanistico. Adesso Abuja è un soltanto l'imbarazzante prova di un fallimento. Vuoti i palazzi presidenziali, derelitti i falansteri dove dovevano lavorare migliaia di burocrati operosi e militanti di partiti fantasma, oggi come dieci anni fa. Il re¬ gime, senza soldi, assediato, dai debiti, ha deciso di ritrasferirsi nella calca soffocante di Lagos, paludosa eredità dell'epoca della tratta degli schiavi. La maledizione della Nigeria si chiama petrolio, dono di Dio sperperato da una classe politica e militare rapace, immolato a progetti faraonici e impossibili, azzerato dalla cultura del saccheggio che ha ucciso l'Africa indipendente. Con due milioni di barili al giorno di greggio che partivano verso l'Occidente affamato di energia, il quinto produttore mondiale si è illuso di poter vivere di rendita. Bastava incassare le royalties e so¬ gnare lo sviluppo. E invece è cominciato l'incubo: travolti dai petrodollari i prezzi hanno cominciato a galoppare, una birra costava quanto un gallone di benzina, le case avevano prezzi da Beverly Hills, una borghesia di affaristi e boiari di Stato con gusti e spese americani conviveva con squarci di miseria biblica. Accecati dall'oro nero hanno abbandonato l'agricoltura al suo destino di preistorica sopravvivenza, il progetto di diventare un gigante industriale è finito in un grottesco elenco di impianti abbandonati. I generali, da sempre al potere, salvo brevi pause di riflessione in caserma, hanno applicato la vecchia ricetta borbonica: lasciateli rubare e li avrete in pugno. La Nigeria è diventata così la terra della corruzione. La bustarella è una economia parallela, nel Paese non si ottiene nulla, neanche il più banale documento, senza versare il pizzo, piccolo o grande. Un'armata di funzionari cenciosi, inferociti da salari di venti dollari al mese, taglieggia stranieri e cittadini. Una pratica così mostruosamente universale da indurre le ambasciate a una protesta ufficiale. E dietro il falso miracolo dilaga la violenza. Quella spicciola di Lagos, giungla dove perfino il viag¬ gio dall'aeroporto al centro può trasformarsi in una anabasi letale. In cui non hanno rimesso ordine neppure le esecuzioni pubbliche decretate dal regime. E quella politica delle tribù e delle etnie, nordisti musulmani tentati dai venti dell'integralismo, e sudisti cristiani e animisti. Con un precedente cha dà i brividi: alla fine degli Anni 60 la fallita secessione del Biafra fece un milione di morti. I militari, assediati dalla bancarotta, hanno smesso di affittare pagine sui giornali occidentali per annunciare prossimi trionfi economici e si sono rassegnati alla democrazia. Ma alla loro maniera, inventandola per decreto legge. Quando si sono accorti che i partiti erano troppi e troppo indisciplinati, hanno stabilito che dovevano essere due, «come in America»: «uno un po' a sinistra», l'altro «un po' a destra del centro». Chi non era d'accordo, studenti, intellettuali, è finito in galera. I progressisti li hanno commissariati a un miliardario, Abiola, la destra a un banchiere, Bashir Tofa. Speravano nel banchiere, stava per vincere il miliardario; allora sono usciti dalle caserme. Che guaio, questa democrazia! Domenico Quirico Errori, sperperi e corruzione hanno affondato il sogno del Paese: un futuro di benessere Da sinistra il generale Abacha capo dela giunta nigeriana e il capo dell'opposizione Moshood Abiola in prigione per essersi proclamato presidente dopo le elezioni