Morto Majano, re del teleromanzo

Colpito da ictus: aveva 82 anni, viveva a Roma e da tempo non lavorava più Colpito da ictus: aveva 82 anni, viveva a Roma e da tempo non lavorava più Morto Ma jano, re del teleromanzo Inventò lo sceneggiato agli albori della tv ROMA. E' morto Anton Giulio Majano, il padre del teleromanzo a puntate. Il regista aveva 82 anni. In coma, dopo essere stato colpito da un ictus, si è spento all'ospedale di Marino, vicino a Roma, dove era in vacanza. Lascia una moglie, Maresa Gallo, dalla quale viveva separato e due figlie: Barbara e Paola. Fu l'interprete fedele della televisione delle origini. Il suo sogno fu di trasformare quel nuovo elettrodomestico in una specie di biblioteca illustrata. Lui, divoratore di libri com'era, volle coinvolgere il telespettatore in questa sua «fame», portandogli via cavo le firme dei più grandi scrittori della letteratura mondiale. Con la passione per il feuilleton seppe appassionare il pubblico anche se i suoi «cuore, passione e morte» spesso lasciarono freddi i critici più severi. Tutto finì quando la televisione cambiò politica culturale sostituendo il teleromanzo a puntate con il varietà. Però il regista ebbe una rivincita il giorno in cui dalle Americhe arrivarono tanti generi fotocopia dei suoi film: la soap opera, le telenovelas, la fiction. Anton Giulio Majano, nacque a Chieti il 5 luglio Ì912. Era appassionato di letteratura, ma anche di cavalli. Ufficiale effettivo di Cavalleria (uscì dall'Accademia di Modena) fu comandante partigiano, giornalista nelle redazioni della «Patria» e «Il Tempo». Come scrittore pubblicò due romanzi e all'entrata in guerra dell'Italia partì per l'Africa. Rientrò in tempo per partecipare attivamente alla Resistenza comandando una brigata in Abruzzo. Dopo la Liberazione, da Bari, mandò in onda il programma radiofonico «Italia combatte». Nel '49 girò anche il suo primo film «Vento d'Africa», e a un anno dall'inizio delle trasmissioni televisive, nel 1955, portò al successo «Piccole donne». Fu un trionfo, immediato, sconvolgente. E la Rai costrinse il regista a inventarsi una quinta puntata, non prevista. Dopo il romanzo della Alcott, ogni stagione i telespettatori ebbero, puntualmente, il loro «teleromanzo alla Majano». La gente lo aspettava con impazienza, fu accontentata per oltre ventanni. Seguirono fra gli altri «L'isola del tesoro» (1959), «Una tragedia americana» (1962), «La cittadella» (1964), «David Copperfield» (1965), «La fiera della vanità» (1966), «La freccia nera» (1968). «Un romanzo sceneggiato deve essere accessibile a tutti amava ripetere Majano -. Non voglio girare per pochi intenditori, detesto le operazioni anticulturali. Lavoro per l'industria, ho il dovere e l'obbligo di fare tenere accessi i televisori». Ci riuscì. A furor di popolo improvvisò, allungò e il postoprincipe negli indici di gradimento fu suo, per lungo tempo. A chi, malignamente, gli riferiva che il padre del teleromanzo era Sandro Bolchi, Majano VdScgn rispondeva bofonchiando: «Che padre e padre, zio semmai». A chi gli rinfacciava di lusingare il lato peggiore del pubblico confezionando polpettoni che grondavano sangue, e rappresentando il mondo diviso in buoni e cattivi, rispondeva arrabbiandosi: «Che sciocchezza, io sono un professionista». Fu un pioniere, per molti ancora insuperato del genere. E il nome di Anton Giulio Majano spesso, in tempi di crisi televisiva e nelle discussioni di fiction, fu tirato fuori con nostalgia riparando ai torti patiti per l'età e l'indifferenza della tv di Stato. Majano se ne lagnava, ci soffriva. «Sono ancora in gamba, ho tante idee, ma non riesco mai a parlare con nessuno. Ho dato tutto alla Rai, ora mi giudicano un regista minore». Una speranza di tornare l'ebbe nel 1990 con «Tre addii», ma non se ne fece niente1 «Mi giudicano troppo vecchio, preferiscono il "madè in Usa"», disse. Fu travolto dal prodotto americano, ma nessun personaggio riuscì mai ad entrare nell'immaginario collettivo degli italiani, quanto Alberto Lupo ne «La cittadella» o Giancarlo Giannini in «David Copperfield». L'attrice che più amò fu Alida Valli con cui, oltre a «Piccole donne», girò «L'eredità della priora», era il 1979. «Fu un lavoro lungo, puntiglioso, estenuante - ricorda l'attrice -. Per lui la morta non era mai abbastanza morta. Sul quel letto da monaca spesso mi scatenavo in scaramantiche manifestazioni d'allegria ogni volta che la cinepresa si arrestava». Con la Valli il regista pensò di girare anche «La montagna incantata» di Mann, ma restò un sogno, l'ultima sua realizzazione fu «L'amante dell'Orsa maggiore» del 1982. Laura Carassai Voleva portare la letteratura nelle case degli spettatori Esordì nel '55 con «Piccole donne» finì con «Tre addii», mai realizzato Girò moltissimo: dalla «Cittadella» alla «Freccia nera» a «Copperfield» «H wm >J>- Sopra: Anton Giulio Majano. Sotto: «La Cittadella» Sopra: «L'amante dell'Orsa maggiore» Sotto: la Goggi con cui giro «La freccia nera»