A Ballabio il grande abbraccio dei «capelloni» Poi vennero Parco Lambro e i duri Anni di piombo

 E «Re Nudo» porto' il sogno in Italia E «Re Nudo» porto' il sogno in Italia A Ballabio il grande abbraccio dei «capelloni» Poi vennero Parco Lambro e i duri Anni di piombo MILANO NNO 1971: se una notte di settembre un viaggiatore, serpeggiando sulla strada che scala le colline sopra Lecco, fosse arrivato nei valloni verdi di Ballabio avrebbe visto un popolo mai visto. Nel neroblù, tra mille luci di fuochi e sigarette, ragazzi in sacco a pelo, con chitarre e tenda, sbracciati, a piedi nudi, i capelli raccolti, arrivati qui per strade underground dalle cento città d'Italia (l'Italia di Emilio Colombo presidente del Consiglio e Franco Restivo agli Interni) grazie al tam tam della rivista che ha lanciato il segnale: Re Nudo, bibbia della controcultura, che dalle lontananze pacifiste di Woodstock, aveva colto l'onda dell'amore (libero, ma non solo quello) e della musica (rock & pop) per farne un sogno libertario che di lì a poco si sarebbe infranto tra le schiume iperpolitiche dei gruppi extraparlamentari pronte a trasformarsi (anche) in incubo di piombo e eroina e riflusso. Ballabio, dunque, quella notte ancora del tutto innocente del 25 settembre. Un palco sgangherato in fondo al vallone. E sul palco, giovanissime star, oggi dimenticate, come quegli accordi elettrici che il vento portava fino sotto le rocce nere della Grigna. Un volantino d'allora dice che c'erano i Dedalus, i Trip, Anna Jenchek, Jonatah, gli Atomic Roster in jam session con il batterista degli Spirit... Ma altri nomi hanno resistito: Claudio Rocchi, che cantava psichedelico il suo Volo Magico, e Eugenio Finardi, un ragazzino, e Franco Battiato, ostico e sognante, venuto con il suo impianto di amplificazione messo a disposizione di tutti. «Quella è stata la nostra prima volta e fu magico perché nessuno si aspettava che riuscisse davvero e che la suggestione della musica ci sciogliesse come ci ha sciolto» racconta Andrea Valcarenghi fondatore di fìe Nudo, ideatore dei festival, che oggi ha il doppio dei suoi 23 anni di allora, si fa chiamare Majid, e da 15 vive in una comunità arancione nel senese. Il ricordo è in quella notte, con i ragazzi accampati sulle due ali della valle, incuranti dell'allarme che i sindaci dei paesi spedivano ai carabinieri e i timorati di Erba, di Albavilla, di Ballabio facevano sentire la loro voce: «Genitori, tenete in casa i vostri figli», attenti all'invasio¬ ne «dei capelloni» che portano «promiscuità, nudità, droga e forse furti». Ma nessuna paranoia di assedio arrivò su quei prati, dove per la prima volta si ascoltava la musica «tutti insieme», e si mangiavano panini e insalate e latte a offerta libera («compagni, minimo 500 lire per le spese») e ci si passavano gli spini accesi e gli acidi (minuscoli coriandoli di carta assorbente) seduti in cerchio, con vicinanze tra ragazzi e ragazze, nell'estasi che era giovinezza, ma a tutti sembrava libertà. I guai iniziarono più tardi, tiepidi a Zerbo, sul Po, l'anno successivo, 16-19 giungo, 30 mila arrivati prima che i carabinieri sbarrassero le strade d'accesso a quel po' di riva pavese che ancora di più assomi¬ gliava a Woodstock per via dell'acqua e delle nudità, del fango, lo stesso, sembrava, delle sequenze cinematografiche del dopo pioggia scandite dal coro «Stop Rain! Stop Rain!». Poi venne l'Alpe del Viceré, sopra Albavilla, con polizia e carabinieri che controllavano documenti e sacchi a pelo, tasche e zaini, mentre il questore di Milano spediva per fonogramma l'allarme di «10 mila ragazzi scappati da casa» solo a Milano, e i vecchi quartieri metropolitani si riempivano di hippy e figli dei fiori, che magari non avevano mai letto Jerry Rubin [Quinto uccidi il padre e la madre), ma conoscevano tutte le strade su cui si era dato da fare Kerouac. E infine cominciò l'era del Parco Lambro, una spianata di verde ma- lato, perfieria di Milano, anno 1974, quando il raduno cambiò nome, divenne «Festa del proletariato giovanile», e iniziò la stagione degli scazzi tra i gruppi, perchè nel frattempo era arrivata l'eroina a avvelenare l'onda «peace & love» anche se Lucio Dalla stava sul palco con quelli della Premiata Forneria Marconi e indimenticabile cantava Demetrio Stratos leader degli Area, con la sua Internazionale distorta dal metallo di una Gibson. E mentre l'America dileguava davvero, sparita dentro ai suoi Vietnam, i ragazzi italiani elaboravano il loro lutto sognando la Cina di Mao, il contropotere nei quartieri e mai nessuna Woodstock sarebbe più stata possibile. L'anarchismo di Re Nudo fu inghiottito, con la sua ironia e la sua buona onda, lasciando un paio di slogan ai posteri: «La marjuana non fa niente. Si annoia», «La famiglia è ariosa e stimolante come una camera a gas» entrambi, si dice, inventati da Giorgio Gaber una notte in compagnia di Andrea Valcarenghi. L'aria dei raduni divenne solo vento di rivolta alle soglie di quel '77 quando si accese la «rivoluzione delle aspettative crescenti» che proprio al Parco Lambro mostrò di quanta insofferenza era capace, con l'assalto ai polli per «l'autoriduzione», con le sprangate «tra compagni». Una rivolta che non cantava più e che non arrivava da nessuna California, ma da certi deserti chiamati Quarto Oggiaro o Tiburtino. Pino Corrias I sindaci mettevano in guardia: «Tutti in casa, portano droga» RE NUDO comvaeno La copertina della rivista «Re Nudo», bibbia della controcultura, che lanciò il segnale per portare i giovani italiani a Ballabio Da sinistra, Franco Battiato, che mise a disposizione il suo impianto di amplificazione, e Eugenio Finardi, allora un ragazzo