Fantasmi nei cantieri del deserto

Fantasmi nei cantieri del deserto Fantasmi nei cantieri del deserto «Non rivelate i nostri nomi, siamo tutti dei bersagli» I LAVORATORI «INFEDELI» ALGERI DAL NOSTRO INVIATO Il presidente della Repubblica Llamine Zeroual ha invitato i responsabili dei partiti politici ad un incontro, il 21 agosto, per riprendere un dialogo che permetta al governo di indire elezioni «in un quadro democratico che consenta una libera scelta da parte del popolo». Degli otto partiti invitati, soltanto il Movimento della società islamica (Hamas) fa parte del Consiglio nazionale di transizione. Al tavolo delle trattative non sono stati invitati i rappresentanti del disciolto Fronte di salvezza islamico (Fis), che nella prima tornata delle elezioni si era aggiudicato 188 dei 228 seggi, votazioni annullate e sospese dal golpe militare del gennaio 1992. Anche se in questi due anni il governo ha avviato di tanto in tanto trattative segrete con l'ala politica del Fis, il Capo dello Stato non poteva invitare un partito che è stato messo fuori legge e che ha dato vita ad una campagna terroristica, ma è fuori dubbio che ogni tentativo di trovare una soluzione al problema escludendo gli integralisti non può avere successo. La presenza di Hamas, che di recente si è proposto come intermediario fra il potere e il Fis, è un gesto politico che conferma la volontà del governo di estendere il dialogo al movimento islamico, ma è illusorio credere che i dirigenti del Fis accettino una tutela politica. Oltre tutto, l'ala politica del Fis ha perso terreno nei confronti del capi dei gruppi armati, Esercito di salvezza islamico (Ais) e Gruppo islamico armato (Già), che dirigono il movimento dalla clandestinità e sono contrari ad ogni forma di dialogo. Nelle 11 mila moschee algerine si inneggia ormai apertamente alla «guerra santa», ogni notte nei quartieri popolari di Algeri avvengono sparatorie fra gli integralisti e gli agenti delle squadre speciali antiterrorismo, i commando del Già continuano ad assassinare poliziotti, funzionari, professionisti, intellettuali, considerati eretici, e stranieri. Sessantuno sono i cittadini di altre nazioni assassinati dai «barbuti», sette gli italiani: la comunità straniera si è assottigliata, chi ha potuto se n'è andato, gli altri vivono blindati nelle case e nei cantieri. In due anni la comunità italiana è scesa da 1500 a circa 500 persone, i nostri cantieri nella zona settentrionale del Paese a Hamman Eoufhara, dove l'impresa Condotte è impegnata nella costruzione di una diga, a El Hassach, dove la Gico costruisce un collettore fognario, a Tizi Ouzou, dove l'impresa Astaldi deve realizzare una diga, a Mila, dove la Gico lavora per la costruzione di un viadotto - sono chiusi o lavorano a ritmo ridotto. Fermo anche il grande cantiere di Chiaret, dove dovrebbe sorgere la fabbrica della Fiat. In attività i sei cantieri delle regioni meridionali, dove le nostre imprese sono impegnate nella costruzione di un oleodotto e nei pozzi petroliferi, sotto la protezione dell'esercito che controlla le vie di accesso e dove i nostri operai vivono in stato d'assedio. Avevo deciso di visitarne qualcuno ma non è stato possibile: dall'Italia le direzioni delle imprese che operano in Algeria non hanno dato il permesso, giustificando il rifiuto col timore che parlandone si rischierebbe di indicarli come bersaglio ai terroristi. Il responsabile di una delle aziende nella zona meridionale del Paese, che mi ha chiesto di ri¬ spettarne l'anonimato e di non fornire indicazioni sulla localizzazione del cantiere, mi ha detto: «Sono qui da un anno e ho constatato che la situazione si aggrava col passare dei giorni. Non abbiamo ricevuto minacce dirette, comunque abbiamo dovuto prendere precauzioni, riducendo i nostri spostamenti al minimo. Il cantiere è protetto dall'esercito, per i nostri operai la vita, già non facile prima, si è fatta ancor più dura. Siamo tutti nervosi, a nessuno fa piacere sentirsi un bersaglio». I rapporti con la popolazione, con i lavoratori algerini e i fornitori non sono cambiati, sono sempre cordiali, «ma si avverte un po' di diffidenza, direi di paura: prima incontravamo molte persone, adesso vengono a trovarci quando proprio non possono farne a meno». Sono molti i giornalisti, gli scrittori e gli intellettuali assassinati dai terroristi islamici. Chi scrive rischia la vita, sotto tiro sono soprattutto giornalisti e scrittori di lingua francese. Sem¬ bra un controsenso, eppure in pieno terrorismo e repressione ad Algeri sono in vendita quotidiani che criticano il regime e rifiutano l'integralismo. Hanno vita non facile: il governo vieta di pubblicare notizie di attentati e uccisioni, si può solo parlare di quello che risulta dai comunicati ufficiali. I giornali che non rispettano questa regola rischiano di dover sospendere le pubblicazioni, i redattori di finire in prigione. Dal canto loro gli integralisti non accettano critiche: chi la pensa diversamente, mette a repentaglio la vita. Omar Belouchet lavorava a «El Moudjahid», il quotidiano del Fin. Oggi dirige «El Wattan», un giornale in lingua francese che vende più di 100 mila copie e si autofinanzia. Un anno fa è sfuggito per miracolo ad un attentato, la redazione è sorvegliata giorno e notte dalla polizia. Per gli integralisti è un covo di miscredenti, i giornalisti ricevono di continuo minacce di morte. «La stampa indipendente algerina difende le idee democra¬ tiche contro l'intransigenza dell'integralismo, denuncia il terrorismo e per questo gli integralisti credono che sostenga il potere e ci considerano nemici. Invece dobbiamo difenderci su due fronti perché il governo limita la nostra libertà d'espressione». Non porta lo hiyab, indossa abiti occidentali: Gharcia Khelifi è capo redattore del quotidiano «La Liberté». «Per una donna giornalista è ancora più difficile, deve lottare contro le idee retrograde». Quasi ogni giorno i redattori del quotidiano ricevono minacce, uno dei giornalisti è stato condannato a morte dai «barbuti». «Le minacce non arrivano direttamente: gli integralisti affiggono dei manifesti all'interno delle moschee dove indicano i nomi dei nemici del movimento islamico e le sentenze emesse contro di loro». Ha scritto il poeta Tahar Diaout: «Il silenzio è morte, e se taci muori, e se parli muori, dunque parla e muori». Francesco Fornarì

Persone citate: Hamman Eoufhara, Khelifi, Zeroual

Luoghi citati: Algeri, Algeria, El Hassach, Italia