L'inferno della Magliana

L'inferno della Magliana L'inferno della Magliana Mafiosi, terroristi, trafficanti di droga ROMA. Quando entrò in contatto con la banda della Magliana un gruppo criminale fatto di sequestratori, trafficanti di droga, strozzini, gestori di bische e assassini, con il quale sono entrati in contatto mafiosi, camorristi, esponenti della 'ndrangheta, terroristi, imprenditori d'assalto e servizi segreti, coinvolto in quasi tutte le vicende più misteriose d'Italia - Antonio Mancini era già latitante. Era amico di altri due boss, Edoardo Toscano e Marcello Colafigli, e proprio con Colafigli, il 16 marzo 1981, andò ad ammazzare due dei fratelli Proietti, esponenti di una banda rivale: ne uccisero uno, l'altro rimase ferito, i killer furono arrestati qualche ora dopo. Di omicidi «l'accattone» ne ha commessi altri, ha continuato a trafficare in droga, e pochi mesi fa, quando già aveva in animo di pentirsi, in un processo, per difendersi ha dichiarato: «Io sono un delinquente serio, che non va a spacciare 300 grammi di eroina». In aula aveva al fianco la sua donna, Fabiola Moretti, anche lei passata nelle file dei «pentiti», una che conosce le vicende della Magliana per essere stata insieme ad altri boss, prima dell'«accattone»; da Ferdinando Garofalo detto «er ciambellone», a Massimo Barbieri, a Danilo Abbruciati: il primo si salvò per miracolo da un attentato, gli altri due sono morti ammazzati. Proprio Abbruciati, nella vicenda dell'omicidio Pecorelli, riveste un ruolo fondamentale: è l'anima della componente «testaccina» della banda, quella che oltre agli affari in comune col resto del gruppo aveva anche rapporti con mafiosi, finanzieri ed imprenditori senza scrupoli come Domenico Balducci, uno che volava sugli aerei dei Servizi segreti, investiva i soldi di Pippo Calò e finì assassinato nell'ottobre dell'81. Secondo il pentito Claudio Sicilia - uno che ha detto tante cose confermate ora dai nuovi collaboratori, ma che all'epoca non fu ritenuto attendibile dalle Corti d'assise, ucciso anche lui una volta scarcerato -, Abbruciati era addirittura «affiliato» a Cosa Nostra. E' morto nell'aprile dell'82 a Milano, mentre sparava a Roberto Rosone, il vicepresidente del banco Ambrosiano di Roberto Calvi; ad ucciderlo fu la guardia giurata che reagì ai primi colpi di pistola. Per quell'attentato sono stati condannati come mandanti un altro uomo d'affari legato alla Magliana, Ernesto Diotallevi, e il faccendiere Flavio Carboni; un'inchiesta pende tutt'ora sulla testa del boss Pippo Calò, l'«ambasciatore» della mafia a Roma. Dopo la morte di Abbruciati, Fabiola Moretti continuò a ricevere le confidenze di Enrico De Pedis, chiamato Renatino, l'ai - tro capo dei «testaccini», killer spietato ma anche titolare di ristoranti ed imprese, indicato da molti come un referente dei servizi segreti. «Renatino» ha resistito più degli altri, ma alla line anche lui è caduto nella guerra che ha segnato la fine della ban- da, tra il gruppo originario e quelli di Testaccio: fu ammazzato il 2 febbraio del '90, mentre percorreva in motorino una via del centro di Roma. Dopo Maurizio Abbatino, il boss fuggito in Venezuela che una volta arrestato ha deciso di collaborare con la magistratura, il primo a seguirne le orme è stato Vittorio Carnovale detto «il coniglio», fratello di Giuseppe chiamato «il tronco», anche lui del gruppo «testaccino». E' l'uomo che per la prima volta ha fatto il nome di Claudio Vitalone nell'inchiesta sul delitto Pecorelli, in precednza era stato uno dei killer più fidati della banda. Abbatino ha raccontato che un trafficante di droga, Angelo De Angelis, fu ucciso nell'83 nella villa del «coniglio» dalle parti di Ostia, poi lo stesso Carnovale si occupò di portare via il cadavere, ritrovato carbonizzato quindici giorni più tardi. [gio. bia.] E' Vittorio Carnovale che chiama in causa l'ex ministro de Danilo Abbruciati

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