Due giorni ostaggi di un crepaccio di Giorgio Macchiavello
Courmayeur, una guida riesce a salvare dall'assideramento la moglie e il figliastro della vittima Courmayeur, una guida riesce a salvare dall'assideramento la moglie e il figliastro della vittima Due giorni ostaggi di un crepaccio Odissea sul Bianco, muore un turista inglese COURMAYEUR. Intrappolati in un crepaccio profondo 35 metri per 40 ore. Tre alpinisti inglesi, marito, moglie e il figlio di Ini, sono rimasti bloccati tra due pareti di ghiaccio sotto il Monte Bianco da domenica a ieri mattina. L'uomo è morto, stroncato dalle fratture, dalla perdita di sangue e dal freddo. La donna e il ragazzo si sono salvati grazie a un fornellino a gas, a pochi viveri e a una torcia, la cui luce, nelle prime ore di ieri mattina, è stata vista da una guida alpina. Ora i due sono ricoverati all'ospedale di Chamonix, sotto trattamento intensivo per curare il congelamento degli arti e le ferite. Stephen Alien Caswell, 37 anni, la moglie Sabine Pamela Painter, 41 anni, e Simon Painter, 17 anni, erano partiti all'alba di domenica dal rifugio francese «Des Cosmiques» per salire sul Monte Bianco. Raggiunta la vetta, avevano cominciato la discesa lungo la via normale del versante italiano. La cordata aveva poi attraversato il Col De Bionnassay, puntando verso il rifugio «Gonella». Ma sul ghiacciaio poco sotto il colle, a 3700 metri di quota, la neve ha ceduto sotto i piedi di Sabina Caswell, che guidava la cordata. Era un «ponte» di neve su un largo crepaccio che non ha retto al peso. Nella caduta la donna ha trascinato il figlio. Stephen Caswell ha cercato di resistere, ma il peso era troppo forte: lo strattone lo ha fatto precipitare a velocità maggiore rispetto agli altri. L'uomo ha battuto con violenza la testa contro il ghiaccio ed è atterrato, dopo un volo di 35 metri, rompendosi i femori. Per la donna soltanto qualche contusione, mentre il figlio si è fratturato il ginocchio sinistro. Erano le 15 di domenica. Difficile a quell'ora che passasse qualche altro alpinista in quella zona. Inoltre i tre non avevano spiegato a nessuno il programma delle loro escursioni. «Ci siamo subito resi conto che Stephen era grave - dice Simon Painter - e abbiamo cercato di fasciargli le ferite. Perdeva molto sangue. Ci siamo riscaldati con il fornellino a gas che avevamo nello zaino. Siamo anche riusciti a mangiare qualcosa di caldo e a sciogliere del ghiaccio per riempirete borracce e bere. Risalire quelle pareti di ghiaccio era impossibile. Così abbiamo aspettato che trascorresse la notte in attesa che qualcuno si accorgesse di noi». Ma il mattino dopo il tempo era brutto e nessuna cordata è partita dal rifugio «Gonella» per il Monte Bianco. «Non ci restava che continuare ad aspettare - racconta Simon - sperando che non nevicasse. Avevamo paura che la bocca del crepaccio venisse ricoperta di nuovo. Per fortuna avevamo anche qualche scatoletta di tonno, un po' di pasta, dei biscotti». Un'altra notte in fondo al crepaccio, con uno spicchio di cielo visibile sopra due muri di ghiaccio. Poi ieri mattina, Sabi- ne e Simon Painter sentono delle voci. E cominciano a urlare, a fischiare, a fare segnali con la torcia, anche se le pile ormai sono quasi scariche. Martino Moretti, guida alpina di Borgosesia, diretto al Bianco con due clienti, vede un flebile fascio di luce uscire dal ghiaccio. Si rende subito conto di quello che è successo. Torna al rifugio e dà l'allarme. Appena la luce lo consente, l'elicottero della Protezione civile valdostana arriva sul ghiacciaio. Le guide Rodolfo Borney, Lucio Trucco, Oscar Taiola, Carlo Ziggiotto e il me¬ dico Carlo Vettorato lavorano un'ora e mezza per portare in superficie i tre. «E' un crepaccio molto grande - spiega Lucio Trucco -. L'apertura è di circa due metri, ma le pareti si allargano "a campana"». Impossibile usare l'argano. Cosi Trucco viene calato nella spaccatura per imbragare gli alpinisti. «Erano proprio sul fondo del crepaccio - aggiunge Trucco -. Quando li abbiamo riportati in superficie la donna e il giovane non facevano che ringraziarci». «Madre e figlio erano sotto choc, ma coscienti - dice il collega Carlo Ziggiotto -. Il ragazzo era un po' più lucido. E' lui che ci ha spiegato com'era avvenuto l'incidente». Il medico Carlo Vettorato, dopo aver fatto una veloce visita ai due, ha deciso di farli trasportare subito all'ospedale di Chamonix, più vicino rispetto a quello di Aosta e attrezzato per curare i congelamenti. Per Stephen Caswell invece non c'era nulla da fare. Aveva perso troppo sangue e il fisico debilitato non ha resistito al freddo del crepaccio. Il suo corpo è stato portato nella camera mortuaria del cimitero di Courmayeur. Per molte ore l'identità dei tre alpinisti è rimasta sconosciuta. Nessuno degli alpinisti inglesi aveva addosso o nello zaino un documento d'identità. Soltanto Caswell aveva in tasca una carta di credito della «Royal Bank of Scotland». E i medici dell'ospedale di Chamonix non avevano il tempo di pensare alle generalità dei due inglesi. Solo nel tardo pomeriggio i nomi sono stati comunicati alle autorità italiane e al Consolato inglese. Giorgio Macchiavello Il racconto del giovane «Abbiamo resistito grazie a un fornello» La guida alpina Lucio Trucco A lato, crepacci sul Monte Bianco
Luoghi citati: Aosta, Borgosesia, Courmayeur
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