Algeri miseria e paura nel gulag di Allah

Due giorni dopo la rivolta il «Lider màximo» si fa acclamare all'Avana da mezzo milione di fedelissimi Sguardi di odio seguono lo straniero, donne velate in coda per comprare il pane sempre più caro Algeri# miseria e paura nel gulag di Allah La polizia è assediata, e la notte appartiene agli islamici UN GIORNO NELLA CITTA' ISLAMICA ALGERI DAL NOSTRO INVIATO «Il potere e il Corano sono come due gemelli inseparabili», la frase scritta in arabo sul muro di una moschea di Bab el Oued, uno dei quartieri popolari della capitale, mi viene tradotta da Mohamed Houari, l'unico conducente di taxi che dopo una lunga discussione ha accettato di accompagnarmi in questo angolo della città, pattugliato di giorno dai «Ninja», gli agenti in tuta blu e passamontagna delle squadre speciali antiterrorismo, presidiato di notte dai «soldati di Allah», i fanatici integralisti che impongono la loro legge col terrore. La propaganda dei «barbuti» continua a far presa nei sovraffollati quartieri poveri della città, fra i giovani (il 70 per cento della popolazione ha meno di 30 anni), che ciondolano per le strade, senza quattrini, senza lavoro e con un futuro di miseria e di avvilimento (i disoccupati sono più di quattro milioni), gli uomini che trascinano la loro esistenza sgobbando tutto il giorno per un salario il cui potere di acquisto diminuisce a vista d'occhio, le donne che si mettono in coda già alle 5 del mattino per comperare il pane, l'olio, la semola, lo zucchero, la farina: sei mesi fa questi prodotti scarseggiavano e anche se adesso il governo, che importa ogni anno più di quattro milioni di tonnellate di cereali, assicura l'approvvigionamento, la gente vive con l'incubo che possano mancare di nuovo. I prezzi sono saliti alle stelle, dall'inizio dell'anno il costo della vita è rincarato del 40 per cento: un chilo di pane costa 4 dinari, uno di patate 35, la carne di montone varia dai 250 ai 300 dinari al chilo mentre per comperare un chilo di merguez, salsicciotti di carne tritata e spezie, occorrono 200 dinari. Mentre l'inflazione galoppa, gli stipendi sono rimasti invariati: i più fortunati guadagnano tre, quattromila dinari al mese, ma la maggioranza deve tirare avanti con molto meno, duemila dinari, circa 90 mila lire. Guidato dal taxista, che non nasconde la sua preoccupazione, faccio qualche passo a piedi fra le bancarelle di un mercato, osservato con sospetto da uomini e donne che si affrettano a distogliere lo sguardo. Tutte le donne portano il «hidjab», il velo islamico in versione algerina: ne incontro soltanto tre a capo scoperto, due sono radazzine in pantaloni, la terza una signora in abiti occidentali, accompagnata dal marito. Entro in un caffè per bere una tazza di thè alla menta: ci sono soltanto quattro avventori anziani che rispondono al mio saluto con gentilezza. Inutile, però, cercare di attaccare discorso. «Non si trattenga a lungo, potrebbe essere pericoloso», mi dice il barista che poi si mette a parlare rapidamente in arabo col mio accompagnatore. Che cosa ha detto? «Mi ha raccontato che ieri mattina, proprio qui, sul marciapiede davanti alla sua porta, è stato ammazzato un uomo, uno che lavorava alla posta centrale». Dal golpe militare che nel gennaio 1992 mise fuori legge il Fis, che si era aggiudicato con grande maggioranza il primo scrutinio elettorale, le vittime dello scontro che oppone i gruppi terroristici, fra cui primeggia il Già, all'esercito e alla polizia sono più di quattromila, di cui 61 stranieri (sette gli italiani). Ogni giorno sono almeno 15 o venti le persone che vengono uccise dai «barbuti» oppure dai «ninja»: la violenza genera violenza, agli attentati degli integralisti gli agenti delle squadre speciali rispondono con feroci raids notturni nelle case dove sono segnalate persone sospette, sfondano le porte, malmenano le donne, arrestano e uccidono senza pensarci due volte. La popolazione sembra vivere l'emergenza con un tetro fatalismo: Mohamed Houari, il mio taxista, ha 55 anni, all'epoca della guerra d'Algeria ne aveva 23. ricorda benissimo quei giorni, i «maquisards» che si nascondevano nelle Casbah, gli attentati, le perquisizioni dei gendarmi francesi, gli scontri con i Legionari. «Adesso è la stessa cosa, soltanto che oggi ci si ammazza fra fratelli, fra mu¬ sulmani, in nome della religione. E io questo proprio non lo capisco». Decido di andare a vedere Blida, città di 400 mila abitanti a Sud della capitale: tutti mi hanno sconsigliato di farlo perché è uno dei bastioni degli integralisti, tutta la zona è totalmente in mano ai gruppi armati che ogni giorno guadagnano un po' più di terreno. Ormai gli «afgani», così ven¬ gono chiamati i «soldati di Allah» perché si dice che molti fra loro siano stati addestrati in Afganistan, dove hanno combattuto contro l'Armata Rossa, esercitano un controllo effettivo su alcu- ne località dell'Algeria centrale (Baraki, Larbaa, Dellys e, appunto, Blida), orientale (Mila, Colo, Djidjelli) e occidentale (Tiaret, Tissemlit, Sidone). In questi feudi il Già impone le proprie leggi morali, a Blida esercito e polizia, pur presenti in forze, stanno asserragliati nelle caserme e lasciano di fatto agli integralisti le gestione sociale, economica e religiosa della città. Houari, il taxista, ha accettato di accompagnarmi con una battuta: «Sinora non hanno mai sparato contro un taxi. Inchallah». Percorriamo i cinquanta chilometri che separano Blida da Algeri senza intoppi, sulla strada per le montagne, che secondo alcuni è in mano ai gruppi armati islamici, il traffico è scarso e il viaggio non riserva sorprese. Troviamo un solo posto di blocco della polizia, alle porte della città: i gendarmi controllano con cura minuziosa i nostri documenti, il mio accredito di giornalista, perquisiscono la vettura e poi, malvolentieri, ci lasciano proseguire. Percorriamo il viale principale con ville in stile coloniale un po' malandate, i muri sbrecciati soffocati dalle bouganville, raggiungiamo la piazza del municipio, affollata di uomini che chiacchierano all'ombra precaria delle palme. Quasi tutti hanno la barba, che è un po' il segno distintivo degli integralisti, molti indossano l'abbigliamento ortodosso, una corta tunica sui pantaloni. Ci sono poche donne in giro, tutte velate e con informi palandrane di tela nera sulle vesti. Ci avviamo a piedi per le strade: parrucchieri e saloni di bellezza per signore sono chiusi, le edicole non espongono pubblica¬ zioni in francese, una bottega la cui insegna indica che si noleggiavano film in video cassette, è sprangata. La promiscuità fra i sessi è vietata: non ho potuto controllarlo di persona, ma sugli autobus uomini e donne viaggia no separati, nella parte anteriore i maschi, in quella posteriore le femmine. Alle donne è sconsiglia to guidare l'auto: nei giorni scorsi una giovane al volante di una vettura è stata fermata ad un po sto di blocco di «barbuti». Per sua fortuna indossava lo «hidjab» e ha potuto dimostrare che andava a cercare un medico per il figlio malato. L'hanno lasciata andare, ma l'auto se la sono tenuta. Torniamo ad Algeri al tramonto: la larga «comiche» della capitale è intasata di vetture, tutti si affrettano a tornare a casa prima che scenda il buio. Ai posti di blocco gli agenti sistemano i ca valli di frisia e i riflettori. La ca pitale si prepara a vivere un'altra notte di stato d'assedio, control lata da quattromila uomini in as setto di guerra. Ma i commando degli integralisti sembrano farsene beffe: ogni notte sciamano per le viuzze tortuose della Casbah, nei vicoli dei quartieri popolari, ribattezzati dagli islamici Kabul, Peshawar, coprono i muri delle case e delle moschee di scritte inneggianti all'Islam. A volte sono anche più sfrontati: giovani barbuti, con una casacca o una fascia verde, armati di Kalashnikov, controllano i documenti dei rari passanti e sovente vi appongono un timbro irridente: «Djazaira, Dawla islamja», Algeria, stato islamico. Francesco Pomari Ultra stampano sui documenti un timbro: Stato islamico Donne velate sotto uno striscione del Fis nella Casbah Sopra, militari presidiano un incrocio ad Algeri [foto apj

Persone citate: Mohamed Houari

Luoghi citati: Afganistan, Algeri, Algeria, Kabul, Tiaret