«la mia vita con Mimmo»

«la mia vita con Mimmo» «la mia vita con Mimmo» «Mi diceva: "La morte non mi fa paura"» llllill ili .\:ààSmKm IL DOLORE DELLA MOGLIE ROMA ON erano buone le luci in quello spettacolo... Mimmo non lo ha mai amato per questa ragione... il problema erano le luci...» insiste Franca Gandolfi. La voce della moglie di Domenico Modugno è alta e nitida. Arriva fin nel parco della villa sull'Appia Antica. Viene dalla camera ardente dove i profumi dei fiori si mescolano forti nell'aria caldissima che entra dalle finestre aperte. E' il primo pomeriggio: mancano due ore alla cerimonia funebre. Nel salotto, fra il camino e le tele che corrono lungo le pareti, quasi tutto lo spazio è occupato dalla bara lucente e dai cuscini di fiori che la ricoprono. Davanti alla salma del cantante scomparso si intrecciano ricordi, commenti, divagazioni. Dal giardino all'interno è un alternarsi continuo di passi e di presenze. I ricordi si affollano. Senza cedimenti emotivi. Con il Contributo di tutti a dire e parlare come se Mimmo fosse lì fra loro, non una figura persa irrimediabilmente e da relegare nel passato, nel mondo dei ricordi. Franca Gandolfi si guarda indietro con lievità. Dice: «Ci siamo conosciuti al Centro sperimentale. Era il più bravo. Non poteva non avere successo. Mi piaceva dirglielo, dirgli che puntavo su di lui. Abbiamo lavorato insieme in vari spettacoli in teatro. Era bello aiutarsi, fare progetti insieme. Poi ci siamo sposati, nel '55. Sì, nel primo anno abbiamo avuto una crisi tremenda. Fu il cambiamento della vita, il cambiamento del rapporto che sembrò spazzare via tutto quello che avevamo costruito. Ma la rottura si ricompose. Tornammo insieme. E non ci siamo più lasciati. Hanno detto che la nostra era una coppia di ferro, solida, complice. Non so. So che abbiamo fronteggiato tante situazioni difficili. No, la sua malattia non ha messo in discussione un bel niente. Anche perché Mimmo non ha mai drammatizzato la sua menomazione, ha preso tutto con naturalezza, con la vitalità e voglia di non arrendersi che gli erano proprie. Alla morte ci pensava, certo. "Ma non mi fa paura" diceva. Si preparava. Forse, così, preparava anche noi». Anche ai figli piace offrire un'immagine spavalda del padre. Raccontano, nel giardino, davanti alla piscina e a un gruppo di amiche: «Dopo l'ictus faceva tutto come prima. Fumava 80 sigarette al giorno. Guidava la macchina. Faceva viaggi lunghi e sempre da solo. Oggi una serata a Milano, domani una a Taranto. Era così, non c'era verso di fargli cambiare idea». Ridono, abbracciano i nuovi amici che vengono a portargli affetto, stringono la mano a due ragazzi - due musicisti in calzonicini corti e casco per la moto al braccio, tutti sudati e un po' impacciati - venuti a toccare la bara di una figura mitica del loro immaginario. Anche loro, i tre ragazzi Modugno, hanno progetti e sogni: «Sai, Massimo - dice Marcello - farò un passaggio a settimana a "Domenica In"». «Fantastico! Sai che questo conta molto, anche col produttore?» commenta il fratello. E tutti adesso parlano di sé, degli spettacoli della nuova stagione, della musica e di quella passione per il palcoscenico che per ciascuno di loro sembra essere la vita fin dall'infanzia. Il teatro e le canzoni sono il sottofondo di tutti i ricordi che affiorano, perché tutte le persone presenti sono personaggi dello spettacolo. Riccardo Pazzaglia dice, davanti alla bara lucente: «Ci siamo conosciuti nel '50, tutti e due della provincia, venuti a Roma a tentare la fortuna. Eravamo poverissimi. Mimmo suonava molto bene sia la fisarmonica sia la chitarra, e la domenica andava a suonare al Circolo degli artisti in via Margutta in cam¬ bio di un pasto. "No. Serve una persona sola" mi diceva, per non avere concorrenza. Abbiamo sempre litigato moltissimo. Da veri amici. Per una nota, una parola. Mai per questioni personali o di denaro. Abbiamo fatto tante cose insieme. Ci siamo sposati a pochi giorni di distanza, e abbiamo fatto festa - io e Rosy, Mimmo e Franca - con un pranzo modestissimo ài Terminillo, poi una gita al lago di Bracciano. Una grande avventura. Facemmo il bagno: un orrore quell'acqua fredda e vischiosa, un orrore per noi due amanti dei mari del Sud!». Lino Banfi interviene: «Di¬ ceva sempre che mi doveva insegnare a nuotare, ma io rispondevo: "Non posso: ho una paura terribile dell'acqua". Lui insisteva, la mia paura lo provocava!». Franca Gandolfi sorride: «Ti ricordi, Lino, come gli piaceva parlare con te in dialetto? In pugliese?». «Sì, e litigare sulla nostra età. Anche ultimamente mi ha detto: "Sei sciupatissimo, eppure hai appena sei anni più di me". Non è vero, è una gag che ci portiamo dietro da una vita. Ci fu anche una "chiarificazione", 28 anni fa, quando lui per sei mesi "comprò" un mio spettacolo di varietà. Io ero l'impresario. Ci dovemmo scambiare delle car- te. Risultò che era più vecchio di otto anni. Ma ha sempre continuato a negarlo». La casa si sta via via riempiendo. Dall'ingresso, su fino al primo piano, corrono lungo le pareti le locandine degli spettacoli che nella sua lunga carriera Modugno ha interpretato. «Di quei tre era particolarmente orgoglioso» dice uno dei suoi impresari, Carlo Molfese, indicando i titoli di «Rinaldo in campo», «Cyrano di Bergerac», «L'Opera da tre soldi». Ciascuno ha una fetta di sé in quello che Modugno ha fatto. Pazzaglia dice: «Di canzoni ne abbiamo fatte tante insieme. Ricordo una, all'inizio degli Anni Cinquanta, dedicata all'amore delle persone non più giovani. Chissà come ci venne in mente! Eravamo giovanissimi! Si intitolava 'Lo specchio'. E era bellissima». Si avvicina il momento dell'estrema separazione. E ciascuno indugia un po' come per rinviare la partenza del corteo funebre. Pazzaglia riflette: «Quanto abbiamo lavorato in questa casa, in questo salotto dove ora stiamo!». Franca Gandolfi racconta: «Siamo venuti qui nel '62. Io avevo già smesso di lavorare, per fare la moglie e la madre». Si alza e dice: «Scusate, voglio stare un po' vicino a Mimmo». E va a sedersi, sola, sul divano che sta proprio a fianco della bara. Liliana Madeo LUNA DI LAMPEDUSA Quannu si alza la tramuntana pure li muschi diventano bianchi E li jaddine sembranu gabbiani E t'innamuri cu cbista luna... Dinlra 'na notte di Luna accussì Tu può fare pazzie piggbi 'na barca e ti n'e vappe mare voghi e voghi fino c'arrivi all'Africa. Quando si alza a libiciata li gabiani paiono cigni e na petruzza sembra nu diamante Che può brillare in testa a nu regnante. Un'immagine d'epoca di Domenico Modugno insieme alla moglie Franca Gandolfi. A destra la vedova con Ciccio Ingrassia durante i funerali celebrati ieri. Sotto, alcuni brani di «Luna di Lampedusa», una canzone inedita, mai incisa su disco, che Modugno aveva scritto durante i soggiorni sull'isola e che era solito interpretare per gli amici, durante le sere d'estate, con un cantante locale, Pino di Lampedusa

Luoghi citati: Africa, Lampedusa, Milano, Modugno, Roma, Taranto