Lo spigoloso narratore di «Fausto e Anna» e «La ragazza, di Bube» di Oreste Del Buono

Lo spigoloso narratore di «Fausto e Anna» e «La ragazza, di Bube» Lo spigoloso narratore di «Fausto e Anna» e «La ragazza, di Bube» zia con cui Carlo Cassola parla in questa testimonianza della sua maturazione non può farci trascurare le sue origini familiari. Nato a Roma da madre volterrana e da padre settentrionale trapiantato per lungo tempo a Volterra, militante socialista, cognato di Leonida Bissolati e redattore dell'«Avantil», con un nonno con il suo stesso nome, duumviro delle dieci giornate di Brescia, poi esule in Svizzera per evitare le condanne meritate per l'attività politica, e, alla conclusione del Risorgimento, magistrato, Carlo Cassola aveva goduto dell'esenzione da qualsiasi influenza religiosa. La famiglia Cassola non era credente. Ma, per sua naturale avversione, Carlo Cassola non aveva neppure apprezzato l'esperienza scolastica nelle manifestazioni più laiche tanto che, crescendo, avrebbe sempre più rimpianto di non essere stato costretto dalla forza degli eventi a essere autodidatta. Istintivamente più laico dei suoi genitori, Carlo Cassola avrebbe considerato la scuola laica alla stessa stregua di quella religiosa, una scuola, addirittura, di criminalità. La quell'anno che sarebbe stato l'ultimo della rivistala diretta da Vittorio Mussolini. «Già su queste colonne avemmo l'occasione di trattare dell'arte fascista e delle esasperazioni pagliaccesche cui si giunse per promuovere l'avvento di un'arte fascista fatta con l'incubatrice, artificialmente, con metodo brevettato dei reggicoda di tutte le aristocrazie. E non ci ripeteremo. Diremo semplicemente che noi la buffonata di pubblicare certe poesie intitolate: "Duce", "Vittoria", "Avanguardista", "Motori" ecc. non ci sentiamo di farla... Noi abbiamo altro concetto della poesia: per noi poesia significa spontaneità, emotività, sincerità. E, soprattutto, abbiamo altro concetto della politica... Cosi, se su "Anno XIII", ove non appaiono certe porcherie superlative di tanti giornali letterari non fatti da giovani, qualcuno vuole cercare della poesia vera, sentita, senza funambolismi e marce reali, è fatale che si rifaccia a Clara Foggi, a Nora Thiele, a Cassola, Leoni, Molajoni, Compagnone, Ferrajoli...». Sin dal 16 marzo 1933, Zangrandi aveva fondato con Vit- dal verbale della seduta del 17 ottobre 1933 che riferisce che Carlo Cassola alla proposta di due novisti che insistevano nel sostenere che l'iscrizione al fascio era obbligatoria, faceva osservare che la disputa non era pertinente o dal verbale della seduta del successivo 22 ottobre che riferisce che Carlo Cassola, alla riproposizione dell'interrogativo circa l'incompatibilità o no tra l'iscrizione al Mni e l'iscrizione al Puf, ribadiva che si trattava di due cose distinte che si svolgevano su piani diversi destinate a non incontrarsi e, quindi, a non scontrarsi mai. «Ogni novista deve risolvere il problema dell'iscrizione al fascio secondo la propria coscienza: l'importante per noi, è che chi è iscritto lo sia per fede e non perché ha paura». Ragazzate, bravate infantili, per cui lo stesso Carlo Cassola, nella sua testimonianza a «La generazione degli anni difficili», tanti anni dopo, ostenterà una certa ironia. Ma che, pur non meritando d'essere enfatizzate, non stonano come segno di un'attitudine ad andar controcorrente che sarà la grande caratteristica dell'intera vita di / un scena• La radazUni accanlo scrinarscimi/xirs[ na forirregolacome inrinsojfeverno orn torio Mussolini, che si sarebbe tuttavia ritirato presto, e altri cinque adolescenti, un movimento denominato Movimento novista italiano che nel maggio aveva concepito il suo «manifesto» tutto consacrato a un attacco al futurismo. Il settimanale «Futurismo» aveva replicato, pretendendo che gli unici depositari dell'arte nel fascismo fossero i futuristi. 1 novisti avevano reagito con forza e ambizione, presentando il Novismo come un movimento di idee esteso a tutti i campi dell'attività umana e rifiutante dogmi, schemi, pregiudizi di qualsiasi tipo. Unica regola per il suo sviluppo: l'onestà dei propositi che doveva servire come metro di giudizio anche per le polemiche interne. A queste idee aveva aderito il quindicenne Carlo Cassola, non solo partecipando alle riunioni dei novisti, ma anche ospitandole a turno india cantina della sua casa in via Clitunno nel quartiere Salario. Nessun problema filosofico o sociale era escluso dalle discussioni. Neppure quello dei rapporti con il regime, come risulta dai verbali regolarmente tenuti delle sedute. A esempio, letteratura classica gli era risultata odiosa per i modi con cui gliela avevano propinata gli insegnanti. Volentieri, prima di scoprire con l'aiuto di qualche amico gli autori contemporanei, leggeva solo i versi di Giovanni Pascoli. Il primo riconoscimento l'aveva avuto appunto come poeta sul numero del 10 gennaio 1935 di «Anno XIII», una rivistala studentesca, fondata e mantenuta dai figli del Duce, soprattutto da Vittorio Mussolini. Agli inizi la rivista si era chiamata «La Penna dei ragazzi», poi aveva cambiato titolo registrando nella testata il passare degli anni dell'era fascista. Nell'«Almanacco di Anno XIII» erano stati raccolti anche parti letterari in prosa e poesia dei giovani collaboratori, e gerarchi e critici di regime non avevano mancato di scoprirvi, scandalizzandosi, che molti di quei componimenti erano tutt'altro che in linea con i dettami del Partito nazionale fascista. Così a Ruggero Zangrandi era toccato difendere l'operazione. «E' in cattiva fede chi afferma che la poesia di "Anno XIII" è antifascista», aveva scritto in quel primo numero di / un scena del film • La radazza di liuhcUni accanla: lo scrinare ( 'aria ( 'asso/a. scimi/xirsa nel /')S7 [ na formazione irregolare, in politica come in letteratura, rinsojferenza verno orni scuola Carlo Cassola, purtroppo non sempre capita o comunque non riconosciuta dai critici che lo hanno avversato. «Avevamo sedici o diciassette anni quando un'inconscia smania di conoscere da vicino "fratelli oppressi", di legarci con loro per una "rivolta sociale" che non aveva ancora, per noi, definizione politica, ci spingeva ad andarli a cercare», ricorda ancora Zangrandi in Lungo inaggio attraverso il fascismo (Feltrinelli, 1962). «Pietro Gadola, Carlo Cassola, Enzo Molajanni e io ci vestivamo a quel tempo dei nostri abiti più malandati e, con la barba incolta e i capelli in disordine, ci avventuravamo per i quartieri popolari di Roma, a iarda sera. Entravamo nelle osterie, nei luoghi più abbietti, timorosi e schifati. Ci capitava di imbatterci con gente strana, che la nostra fantasia, nutrita di letture russe, coloriva subito di nichilismo...». «Ricordo che scartai subito l'idea di diventare comunista», afferma Carlo Cassola nella sua testimonianza a «La generazione degli anni difficili», «mi dichiarai, seminai, liberalcomusdsta. Nel '41 lessi il programma del movimento libe¬ ralsocialista, e mi sembrò rispondente alle mie idee. Fu solo dopo l'8 settembre '43 che il contatto con un gruppo di operai comunisti, e la grande simpatia umana che m'ispirarono, mi riproposero il problema. Fui incerto per alcuni mesi, poi le stesse esperienze della lotta clandestina mi convinsero che non potevo diventare comunista. Nell'agosto del '44 m'iscrissi al Partito d'Azione, dove rimasi fino al '46; nel '53 entrai a far parte di Unità popolare, e dal '58 sono iscritto al psi. La maggior parte dei miei coetanei sono arrivati alla politica dalla letteratura e dalla filosofia, all'antifascismo dal fascismo di sinistra, al comunismo o al liberalsocialismo dal liberalismo crociano. Il mio cammino è stato diverso. Anzi, non so nemmeno se si può parlare di un vero e proprio cammino, di una maturazione, cioè. La mia partecipazione al fascismo di sinistra ebbe un carattere meramente attivistico, e non credo abbia contato nulla nella mia formazione. Croce l'ho letto solo dopo che m'ero fatto una convinzione politica...». Da quando Carlo Cassola nel 1939 aveva pubblicato quei suoi raccontini su «Letteratura» che gli avevano procurato il plauso di Giansiro Ferrata su «Corrente», la rivista di Ernesto Treccani, la sua arte di narratore era andata acquistando interesse e riconoscimento da parte dei critici per la finezza e la misura delle sue pagine. Ma, quando nel 1952 pubblicò ne «I gettoni» di Elio Vittorini presso Einaudi Fausto e Anna, un grosso romanzo in gran parte ricavato dalle sue esperienze di partigiano scritto quasi di getto nel 1949, rifiutato da Mondadori e da Bompiani, per Carlo Cassola cominciarono i guai politici. Su «Rinascita», la rivista fondata e diretta da Palmiro Togliatti, il critico Giuliano Manacorda, in una recensione collettiva della collana vittoriniana, giudicò severamente sia lo stile sia l'ideologia del libro che non è certo uno dei migliori di Carlo Cassola. La guerra partigiana pareva al critico rappresentata in modo ambiguo. Carlo Cassola reagì con una «Lettera al Direttore» pubblicata nel numero successivo della rivista, respingendo il giudizio come diffamatorio e troppo sbilanciato nei confronti di un canone di letteratura propagandistica subalterna a ideologie politiche. La polemica fu breve, poiché intervenne con l'autorevolezza che si riconosceva in questioni di letteratura e arte il direttore, nonché fondatore di «Rinascita», con una nota siglata «r» corrispondente allo pseudonimo Roderigo di Castiglia che usava Palmiro Togliatti quanto trattava quisquilie e pinzillacchere culturali. «R» lamentava la stortura dilagante per cui la rappresentazione della Resistenza con i suoi caratteri storici di slancio popolare e d'entusiasmo veniva subito accusata di essere letteratura di propaganda, mentre la rappresentazione denigrante o calunniosa delle forze popolari e progressive veniva esaltata come opera d'arte. E concludeva perentoriamente che questo era proprio il caso di Cassola. Da allora, come per ripicca, Carlo Cassola s'impegnò nel raccontare la Resistenza da lui vissuta, anche se più d'uno metteva quasi in dubbio la sua partecipazione al movimento. «Il fatto apparentemente sorprendente che una personalità come quella di Cassola abbia aderito e partecipato alla Resistenza, si può spiegare solo se facciamo riferimento ai caratteri estremamente generici e "vasti" di questo movimento. A questo punto del discorso possiamo ormai dire che Cassola incarna un atteggiamento tipico di moderatismo culturale, politico, etico, ideologico. La sua smania d'isolamento e la sua contemporanea, spropositata e quasi illogica smania di giudizio esprimono bene quella dialettica oggettiva, storica che si stabilisce nel corpo di certi strati intellettuali e sociali tra difesa gelosa dell'individualismo e pretesa all'intervento culturale e politico...» spiega Alberto Asor Rosa in «Scrittori e Popolo» (Samonà e Savelli, 1965). Oreste del Buono

Luoghi citati: Brescia, Cassola, Roma, Svizzera, Volterra