QUEL GIORNO CHE BECKETT MI SORRISE

QUEL GIORNO CHE BECKETT MI SORRISE QUEL GIORNO CHE BECKETT MI SORRISE Carlo Frutterò ricorda il grande drammaturgo pirsi il miracolo»: il nulla alle loro spalle, da cui ogni evasione è impossibile. Beckett è dunque un poeta tragico, animale clamorosamente incongruo in un mondo dove sono venuti meno i miti, gli eroi, gli dei, i fiammeggianti dilemmi, le colpe immani della tragedia classica. Nella nostra terra desolata e degradata Dio stesso è ridotto a un nome da rivenditore d'auto di banlieue, Monsieur Godot, o può al massimo incarnarsi in un campanello che scandisce, invisibile, le nostre giornate o irride ai nostri conati. E Agamennone è un re degli scacchi inchiodato su una sedie a rotelle o impegnato in un finale di partita ripetibile all'infinito. Nessuna conclusione, nessuna catarsi è più possibile per queste vicende senza sviluppo, di cui ci vengono mostrati segmenti ricominciati nei secoli dei secoli. Tutti i personaggi seguono un unico vettore, verso l'afasia. Non ingannino i garruli mendichi Vladimiro o Estragone, il pomposo descrittore di tramonti Pozzo, il farneticante Lucky, la logorroica Winnie di Giorni felici, gl'impietosi e instancabili antagonisti di Finale di partita, l'amabile, pettegola, Mrs. Rooney di Tutti quelli che cadono. Sotto la volubilità quasi «mondana» di questi conversatori di maniera (magistrale campionario, en passoni, di teatro «leggero»), le voci si vanno affievolendo, le parole precipitano nell'imbuto dell'irrilevanza. «E' cosi che sarà l'inferno, - riassume l'Henry di Ceneri -, lunghe chiacchierate al mormorio del Lete rievocando i bei tempi andati, quando ci si augurava di morire presto. (Pausa). Il prezzo della margarina cinquant'anni fa». Krapp già parla (a se stesso) mediante vecchie registrazioni. La Bocca di Non io è muta: quando scopre di poter parlare, che cosa sia la parola, ne è terrorizzata. E nei brevi testi che si susseguono d'anno in anno l'afasia guadagna inesorabilmente terreno. Quando esperimcnta col cinema, Beckett (in Film) sceglie come protagonista un famoso attore del muto, Buster Keaton (all'epoca però - 1964 - caduto in dimenticanza), e non gli fa pronunciare una sola parola. Quanto ai simboli di Atti senza parole sono, appunto, senza parole, e senza parole finiscono del resto per essere tutti: se ne stanno lì, al centro o in un angolo della scena, impietriti o quasi, e qualcuno, una voce fuori campo, un testimone occasionale, un altoparlante che ne amplifica i sospiri, tenta di ricostruire la loro remota e incoerente storia. E' una sorta di distillazione sempre più avara e al tempo stesso sempre più ricca di suggestioni, risonanze, echi dolenti e dolcissimi come colti dalle labbra di un morente. Sia per liscili' da Einaudi, nella Biblioteca della Plèiade, il "Teatro completa» di Samuel lieckctl (pp. 936, L.95(KM)), presentato cannatalo da l'aula lierlinelli. tradotta e curalo da ( 'aria Frullerà. Sella prefazione, (/ni in anteprima, /'rullerò rievoca il.sua incanirà con il iurande drammaluriso. nuovo testo di Beckett, era lecito aspettarsi una busta con un foglio bianco, se non vuota. Ma le poche parole che poi effettivamente si trovavano nel magro dattiloscritto avevano un peso aureo, una densità via via più arcana e intraducibile. L'intraducibilità di Beckett non è subito evidente, poiché egli usa parole comunissime e una sintassi ormai al di là di ogni sperimentalismo. Il traduttore se ne crede padrone - gli equivalenti sono tutti lì, pronti per essere trasposti - e si mette spensieratamente all'opera. Ma una sottile scontentezza comincia a roderlo: la situazione è semplice, il plot, se così lo si può chiamare, è chiaro, i dialoghi non hanno nulla d'indecifrabile. Ma il risultato della traduzione sembra un po' piatto. Si vanno a controllare certe interiezioni, le sfumature di un'ingiuria, un hélas che di colpo sembra essenziale conservare in v.o.; e si passa a indagare come Beckett abbia tradotto se stesso dal francese in inglese e viceversa, che cosa abbia modificato emigrando da una tradizione, da una cultura all'altra, quali sfumature abbia dovuto precisare o abbandonare nel transito; e la notizia che l'autore stesso si sia bloccato per circa un anno sulla versione inglese (dal francese) di Finale di partita non è certo incoraggiante. Dietro ogni singola parola s'intravede, e poi si vede con crescente sgomento, una meticolosità ferrea, fanatica, che non lascia al caso neppure una virgola. E' come accorgersi che quello stringato capannone per rottamature è opera in realtà di Brunelleschi. Una simile scoperta ha sul traduttore un effetto paralizzante. Nulla più suona giusto, e l'unica soluzione seria che si fa luce fra tanta avvilente impotenza a volgere questi testi, questi suoni, in italiano, è di riprodurli tali e quali, di descriverli nell'originale, identici, come Pierre Menard fece col Don Chisciotte. Ci si deve poi naturalmente accontentare di compromessi, sia pure raggiunti nei casi più irti col benevolo soccorso di Beckett, un uomo di cui i ritratti rendono piena giustizia all'affascinante, scosceso profilo, allo sguardo assoluto, ma non all'elegante fluidità di modi e movimenti, tra gli spigoli del suo piccolo appartamento parigino dietro il carcere della Sante, spoglio, nitido, metallico, quasi ospedaliero. E della sua indulgente amabilità verso un giovane incosciente e ignorante conservo uno di quei ricordi che bruciano per tutta la vita. Gli chiedevo chi fosse la misteriosa Effi nominata in due dei suoi testi. Ma era Effi Briest! Non conoscevo il romanzo di Fontane? No, non lo conoscevo, dissi senza arrossire. Beckett, altissimo, fragilissimo, sorridente, mi consigliò vivamente di leggerlo, quella povera eroina gli stava a cuore più di Emma Bovary. Presi nota, pensando a una preferenza eccentrica di grande scrittore forse un po' snob. Arrossii dopo, e ancora dopo tanti anni arrossisco, con una certa indulgenza, ma irrimediabilmente, hélas. menti Negli ultimi anni, quando il suo editore o il suo agente annunciavano l'arrivo di un ano al mo; o cruubito chi di te inarcascera scortrario o, che ome a zie al tto di dunckett ante semodifil loro o inn pascome a clor così cchievestifascio a sua bbon lieckcll risia da Loredana. Il suo -l'entro completo» esre da Einaudi Carlo Frutterò