IL CRITICO IN CELLA di Lorenzo Mondo

IL CRITICO IN CELLA IL CRITICO IN CELLA «Regina Codi», diario 1944 di Silvio d'Amico Una memoria sul fascismo impazzito e morente mesi per il regime (tra quelle mura finiscono anche Gottardi, Marinelli e Cianetti, i «traditori» del Gran Consiglio). Ma ci sono inoltre giornalisti e scrittori, da Giorgio Giubilo (suo compagno di cella) ad Achille Saitta, Paolo Monelli, Virgilio Lilli, Ercole Patti... Nessun vero oppositore o resistente, tutta gente messa dentro a scopo intimidatorio o per vendetta personale, ed è questo che conferisce una particolare venatura al diario di d'Amico e ne costituisce l'originalità. Lui sembra prenderla con molta serenità, senza rinunciare al suo bonario umorismo. D'altra parte, il sangue «amaro» lo protegge dalle cimici, ottiene presto una cella a pagamento, riceve pacchi viveri e promesse di aiuti, confida insomma di uscirne presto. Legge, dalla biblioteca del carcere, l'Odissea di Pindemonte, «La storia del giansenismo» di Jemolo, i «Karamazov»: «Un singolare romanzo; ma ci vuol altro per considerarli, com'è uso fra i Russi, un capolavoro», è molto meglio Manzoni. E' un benpensante, capace però di autoironia e portato da una convinta fede religiosa all'esercizio della pietà: soprattutto nei confronti dei detenuti comuni, ladruncoli in attesa di cinquant'anni di distanza viene stampato per la prima volta, con il titolo di Regina Coeli, il diario dal carcere di Silvio d'Amico, critico e studioso di teatro, fondatore dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica e personaggio di punta della cultura italiana tra le due guerre. Il campanello suonò nella notte del 5 ottobre 1944, quando fu prelevato a casa sua, senza mandato d'arresto né imputazione, da alcuni poliziotti. Rimase diciotto giorni a «er Coeli» (come detta il romanesco dei bulli) e dopo la scarcerazione stese, forse sulla base di appunti precari, le sue note. Il libro non ha pretese letterarie, è quello che doveva essere, ma è bello così, come nuda testimonianza a futura memoria di un intellettuale che prova sulla sua pelle un assaggio del fascismo morente e impazzito. E racconta di sé, di quelli che sono con lui e delle voci straziate che si sentono da «fuori» e dagli altri più dolorosi bracci del carcere. Come arriva, mette la firma sul registro dei detenuti, subito dopo quella del maresciallo De Bono. Capisce allora che è già in atto, come una metastasi, la ne¬ giudizio o colpevoli di reati annonari. Disegna con mano sicura scene e ritratti. I prigionieri che si sporgono dagli sportelli, gli sembrano «tanti candidati alla decapitazione, con la testa già infilata nella ghigliottina». Ercole Patti, punito perché avrebbe sparlato di Doris Duranti, l'amica di Pavolini, non smentisce se stesso: con grandi lettere tracciate su fogli di carta, comunica con una ragazza che si affaccia da una casa sul Gianicolo. L'ex capo della polizia fascista Chierici esibisce «certe stimmate di negriero e avventuriero, che contrassegnavan... la baldanza "simpatica" di Italo Balbo». Sorprendiamo il conte Volpi mentre divora libri per bambini («strani aspetti dell'alta finanza italiana scoperta nell'intimità») mentre il gerarca Gottardi, inconsapevole della fucilazione che lo aspetta a Verona, racconta la strana, ancora incredibile notte in cui fu deposto il Duce. E poi la misteriosa «medaglia d'oro» che si aggira in tuta bianca da aviatore, il conte polacco che si presenta sulla porta come fosse sulla soglia del suo castello, De Bono che piange forte tutta la notte, come un bambino... Non mancano, naturalmente, la commozione per gli affetti domestici, la nostalgia per Roma che dorme accovacciata oltre le sbarre, il turbamento e la pena per i rumori e le voci che arrivano dai gironi più perduti del carcere: la rivolta dei criminali comuni, la cantilena dei bambini ebrei razziati dai tedeschi nel ghetto. Con accorate considerazioni sull'abisso in cui è precipitata l'Italia, sulla fatica di un riscatto civile, sulle diffuse compromissioni con il regime («E' stato così che il governo del giornalista Mussolini ha moralmente liquidato il giornalismo italiano»). Poi, gratuita, incomprensibile come è stata la cattura, per Silvio d'Amico arriva la libertà. Ed è proprio la relativa irrilevanza della colpa e della pena (le bruciature appena avvertite dall'anticamera dell'inferno) che svela la crudeltà dell'arbitrio, le sue infinite, precipiti gradazioni. E' un diario che fa bene a chi non c'era, a chi non sa, come avrebbe voluto quel galantuomo di Silvio d'Amico. t Lorenzo Mondo Silvio d'Amico Regina Coeli Sellerio pp. 132. L. 12.000

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