La Bibbia fra le censure di Alessandra Levantesi

L'egiziano Youssef Chahine trionfa a Locamo con «L'emigrato» L'egiziano Youssef Chahine trionfa a Locamo con «L'emigrato» La Bibbia fra le censure Il film proibito in 10 Paesi arabi LOC. ARNO. Come ormai tutti sanno, il presidente del Cinefestival ticinese Raimondo Rezzonico si appella per non far piovere alla Madonna del Sasso che quest'anno sembra particolarmente benevola. Ma a quale santo si vota il direttore Marco Mùller per trovare conforto nell'osare scelte supercinefile? Non ci riferiamo ai titoli in concorso, che sono per regola opere prime e seconde (eppure quanti giovani si affollano ogni giorno nell'hangar del Palazzetto Fevi a scoprire i nuovi talenti!). Pensiamo allo sterminato pubblico di piazza Grande, alle 7 mila persone che nella serata inaugurale si sono assiepate davanti al più imponente schermo di Europa, 24 metri per 16, per vedersi presentare dall'impavido Mùller «L'emigrato» di Youssef Chahine, maestro del cinema egiziano applaudito da decenni nelle rassegne internazionali e tuttavia poco conosciuto alle normali platee dell'Occidente. Per aver diritto all'ultimo successo americano, gli spettatori hanno dovuto attendere la serata seguente con il travolgente «Speed». Per il film egiziano, comunque, il misterioso protettore di Mùller ha funzionato: nessuno ha abbandonato l'immensa arena sotto le stelle anche perché «L'emigrato» si è dimostrato uno spettacolo colorato e divertente. Versione mediorientale e poveristica di un kolossal alla De Mille girato fra le vestigia di Luxor e le mistiche montagne del Sinai, il film è un riuscito connubio fra il similsfarzo hollywoodita e la lezioni rosselliniana della semplicità. Del resto Chahine, cosmopolita nato e cresciuto nel clima sincretico di Alessandria, studente di cinema in America (dove ha appreso la tecnica), influenzato dalla Nouvelle Vague francese, fa da sempre un cinema insieme popolare e sofisticato. Se non altro perché si rivolge a un pubblico eterogeneo per eccellenza come quello del suo Paese: «Al Cairo esistono tutte le contraddizioni del mondo. E' per questo che non sono tentato di lavorare altrove». A sorpresa, anche se il protagonista si chiama Ram, «L'emigrato» è la storia biblica di Giuseppe e i suoi fratelli. L'autore lo definisce un film sulla tolleranza religiosa: Giuseppe è una figura di riferimento per cristiani, ebrei e mussulmani, si parla delle radici comuni delle tre grandi fedi monoteiste. E pazienza se dieci Paesi arabi ne hanno proibito la visione, a Chahine interessa l'uomo, la sua voglia di moralità. Ed è bella la lettura che con qualche identificazione (si chiama pure lui Giuseppe) il regista fa dell'eroe. Inviso ai fratelli perché figlio di un'altra madre e perché prediletto dal padre Giacobbe, un Michel Piccoli straordinario pur travestito con tonaca e barbona e doppiato in arabo, Ram vuole trasferirsi in Egitto, culla di civiltà, per apprendere l'arte dell'agricoltura in modo da rendere verdi i deserti e non subire passivamente la sciagura della siccità. Fortunosamente, scampando alla morte per mano dei congiunti invidiosi, il giovane nomade raggiunge la terra dei Faraoni, e sono altri guai. Venduto come schiavo, invaghito della bella moglie del generale che gli ha concesso la sua protezione, coinvolto nelle lotte intestine che contrappongono i seguaci del tetro Dio Amone ai fedeli del solare Aton, Ram riesce a trasformare una plaga sabbiosa rimanendo puro di cuore e soprattutto senza abbandonare la fede nell'unico Dio che governa l'universo. Nel corso delle due ore e trenta, l'accavallarsi degli eventi rischia di farsi farraginoso e poco chiaro, ma «L'emigrato» non perde mai il suo ritmo: sono bellissime alcune scene come il balletto della semina durante un tempestoso nubifragio (niente effetti speciali, tutto preso neorealisticamente dal vero) e il protagonista, nella fervida interpretazione di Khaled El Nabaoui, rimbalza da un'avventura all'altra con intatta, contagiosa vitalità. «Ho voluto proporre un modello positivo ai giovani d'oggi, circondati solo da messaggi di negatività» ha detto Chahine. Di fronte alla violenza dilagante, all'integralismo che avanza a Oriente e al totalitarismo massmediologico che minaccia l'Occidente (e nomina Berlusconi), il consiglio è di fare come Giuseppe, trovare la forza dentro di sé. Alessandra Levantesi Una scena di «L'emigrato» un film sulla tolleranza religiosa Al centro ci sono i personaggi biblici di Giuseppe e dei suoi fratelli Protagonista è un Michel Piccoli bravissimo

Luoghi citati: Alessandria, America, Cairo, Egitto, Europa, Madonna Del Sasso