Traduci il poeta migliorerà di Masolino D'amico

Browning, paradosso italiano Browning, paradosso italiano Traduci il poeta migliorerà SISTONO scrittori che, tradotti in un'altra lingua, migliorano? L'altro giorno a Salisburgo ascoltando I giganti e/ella montagna in tedesco mi sono sorpreso a pensare che il testo di Pirandello guadagnava dalla veste inconsueta, purificandosi di certe idiosincrasie linguistiche che con la consuetudine perdono la loro carica anticonformista e finiscono per sembrare vezzi irritanti. Lì entrava in gioco la stanchezza delle mie orecchie di critico drammatico esposto a dosi massicce dell'autore. Ma adesso ho davanti a me un altro caso più lampante, ossia la traduzione dell'Anello e il libro di Robert Browning a opera di Simone Saglia (Zanetti editore). Fino a ieri, lo confesso, L'anello e il libro era uno dei capolavori della letteratura inglese che non ero mai riuscito a digerire, e questo per via del suo stile. Grande narratore di storie, grande descrittore di caratteri, Browning se fosse nato in epoca elisabettiana sarebbe stato un drammaturgo; ma essendo vittoriano e avendo respinto la forma del romanzo per rimanere fedele a quella del poema, violentò tanto il vocabolario quanto la consueta ricerca di concisione della poesia per bandire ogni tentazione di «facilità», ossia di scorrevolezza, armonia, eleganza, nella deliberata ricerca di un dettato aspro e tortuoso che sgomentò i suoi primi lettori (qualcosa di simile aveva fatto, molti decenni prima, il nostro Alfieri). Di conseguenza la sua pagina appare spesso dissonante e difficile quando non addirittura sgradevole fino all'oscurità. All'epoca un altro innovatore, George Meredith, introduceva nel romanzo squisitezze e virtuosismi da sonettista; Browning invece produceva poemi narrativi in un «blank verse» ispido e scabro, nemico di ogni belluria. Di qui la lapidaria definizione di Oscar Wilde: «Meredith è un Browning in prosa; e lo è anche Browning». Ora, memore di un altro saggio assioma di Wilde, il quale diceva che per sapere com'è il vino non c'è bisogno di bere tutta la botte, per quanto riguarda le composizioni più massicce di Browning mi ero sempre contentato di qualche assaggio. Il fatto è che anche ai suoi compatrioti Browning chiede sforzi che oggi, in tempi di pigrizia televisiva, possono sembrare eccessivi. Ma se gli assaggi mi avevano dato qualche idea della maniera del Browning affabulatore, la sua materia mi era rimasta quasi oscura. Grazie a Saglia adesso so quello che mi perdevo. Il testo della sua versione, oltretutto coronato di utili note, è poco browninghianamente, ma assai gradevolmente, limpidissimo. La sintassi vi diventa semplice e chiara; il ritmo è agevolato dal verso adottato, che non è lo sciolto, ossia l'equivalente della pentapodia giambica postshakespeariana o meglio antishakespeariana dell'originale, bensì un metro libero, pariabile, di misura disuguale, tale da conservare l'andamento Luigi Pirandello non realistico del modello, ma risultando, a differenza di quello, invitante. Ecco dunque venir fuori la vicenda genialmente recuperata e interpretata dall'autore: il quale trovò per caso su una bancarella, a Firenze, gli atti di un processo e altri documenti relativi a un fattaccio avvenuto a Roma nel 1698, se ne compenetrò, e alla fine di un lavoro durato diversi anni li articolò in una serie di lunghi monologhi alla Rasciomon, in cui i vari personaggi danno ciascuno la sua versione. Si tratta dell'omicidio commesso da un certo squattrinato conte Guido Franceschini di Arezzo nei confronti della moglie Pompilia diciassettenne e degli anziani suoceri. Questi ultimi, agiati plebei capitolini, gli avevano ceduto tutto quanto possedevano compresa la figlia tredicenne avuta in tarda età in cambio dell'ospitalità nel suo palazzo in provincia, dove si ripromettevano di trascorrere una comoda vecchiaia. Ben presto però Franceschini aveva scoperto che i suoceri non erano poi così ricchi, e dal canto loro questi ultimi ad Arezzo si erano trovati assai male, snobbati e tenuti a stecchetto. Così i vecchi erano tornati a Roma, e qui la madre di Pompilia, approfittando di un giubileo promulgato da papa Innocenzo XII, aveva confessato di avere ingannato il marito etutti gli altri di chiarandosimadre di Pompilia, che in realtà aveva comprato neonata da una prostituta: la ragazza pertanto non era loro erede, e Franceschini perdeva il diritto alla dote. Furioso, il conte portò in tribunale i suoceri e intanto sottopose a vessazioni la moglie. Temendo per la sua stessa vita, la giovane tentò la fuga, aiutata da un prete galante e mondano, che se n'era innamorato platonicamente. Giunti quasi alle porte di Roma, i due fuggiaschi furono però raggiunti da Franceschini, che li fece arrestare... Ma non voglio continuare il riassunto a costo di privare qualcuno del piacere di rivolgersi al libro. Nel quale, è vero, quasi tutto è già accaduto - resta in forse solo il destino del conte assassino, arrestato e torturato - ma il racconto, continuamente rielaborato secondo i vari monologanti (che sono personaggi del popolo, favorevoli a questo o quel partito, ovvero neutri: gli avvocati dell'accusa e della difesa; l'omicida, il prete cavalleresco, la vittima Pompilia, e infine il vecchissimo Papa, che pronuncia la sentenza definitiva), è inesauribilmente avvincente per l'energia e la penetrazione con cui Browning continua a rimescolarlo entrando nella psicologia ed esponendo le ragioni di tutti. Insomma: a chi volesse una lettura veramente sostanziosa per quel che resta dell'estate non saprei raccomandare di meglio di questo strano poema in quattro volumi uscito in origine fra il 1868 e il '69, ora meritoriamente conquistato alla narrativa nel nostro idioma. Masolino d'Amico Luigi Pirandello

Luoghi citati: Arezzo, Firenze, Roma, Salisburgo