«Il giornalista progressista? Berlusconiano e non lo sa»

discussione. Giorgio Bocca accusa: siamo all'autolesionismo discussione. Giorgio Bocca accusa: siamo all'autolesionismo «Il giornalista progressista? Berlusconiano e non lo sa» SE questa è la democrazia, la democrazia demagogica e ciarlatane, io non sono democratico»: lo diceva Artu 1 ro Carlo Jemolo tanti anni fa. «Se l'informazione progressista accetta tutti i valori e i condizionamenti del berlusconismo, noi non siamo dei giornalisti progressisti»: questo invece lo dice adesso Giorgio Bocca, parafrasando il grande giurista cattolico. La sua «lettera di dimissioni» dallo schieramento professionale per cui ha profuso le energie di una vita è comparsa ieri sulla Repubblica. Titolo «La sindrome depressiva». La sindrome depressiva è quella che ha assalito il campo progressista in seguito allo smacco elettorale, inducendolo a un'opposizione inconcludente fatta di «geremiadi, vesti stracciate e capi coperti di cenere». Con un'aggravante: «Ogni giorno leviamo alti lai contro il berlusconismo e poi lo coltiviamo». Proprio così. Combattiamo il nemico con le sue stesse armi non a suo danno ma a sua ulteriore esaltazione (e a nostro corrispondente scorno). La constatazione, dolorosa, non riguarda soltanto i politici, ma ancor più dolorosamente il mondo della cultura e in particolare l'informazione: «Per tenere dietro alla cultura di massa, un giornalismo ambiguo ha tenuto il piede in due scarpe: il dies irae di Citati in prima pagina e poi le cronache "berlusconiane" del dibattito alla Camera con le classifiche dell'audience, di chi ha vinto lo share». Bocca va giù duro, riferendosi proprio al suo quotidiano. Ma il discorso si può estendere, ci spiega al telefono dalla Valle d'Aosta. «Non passa giorno che sui maggiori quotidiani non compaia un'intervista a questi àscari della tv. Liguori, Sgarbi, Funari: basta che dicano qualcosa e ci si fa un titolo. C'è un'abitudine autolesionistica a fare di certi personaggi dei maitres-à-penser, pare di assistere al cupio dissolvi di una cultura. Dopo un dibattito tutto sommato vergognoso, come quello di mercoledì sera, il primo interrogativo in tv è stato: chi vincerà la gara dell'audience? E il primo commento: Berlusconi non ha detto niente ma ha dominato il mezzo televisivo. Roba da matti: che c'entra l'audience con la politica? L'informazione è così legata all'immagine e alla pubblicità da mettere in crisi tutto ciò che pensavo dovesse essere il giornalismo». Che cosa è successo? E' successo che la televisione è diventata sempre più centrale (e dominante) nella nostra vita. Le conseguenze sul mondo dell'informazione? Prova a spiegarle un altro «grande vecchio» del mestiere, Enzo Biagi: «Nelle redazioni la prima preoccupazione è guardare che cosa dice il tg delle 7, e poi quello delle 7 e un quarto, e quello delle 7 e mezzo... Ormai la stampa va a rimorchio della tv, e tutto viene enfatizzato, esagerato. D'altra parte il problema non riguarda soltanto i giornali: condivido la tristezza di Bocca per il presente della nostra professione, ma il giornalismo è lo specchio di una realtà dominata dal look, dall'immagine, dal desiderio di fare colpo. Tutto è spettacolo, è cinema e teatro: doppio spettacolo». Amici e nemici, berlusconiani e antiberlusconiani, tutti insieme berlusconianamente. Lo ha scritto Umberto Eco, i giornali sono diventati schiavi della tv. «Ci siamo lasciati invadere» aggiunge Paolo Murialdi, deposto Professore Rai, ma soprattutto studioso di storia del giornalismo e direttore della rivista Problemi dell'informazione. «La scelta di "televisionizzarsi" testimonia - è passata prima attraverso i settimanali, poi è approdata ai grandi quotidiani. Come ha detto in un dibattito Paolo Mieli, poco dopo avere assunto la direzione del Corriere, il problema è di fare gior¬ nali competitivi con la tv. Si è riconosciuto che il piccolo schermo è seguito da milioni di persone e si è sviluppato un giornalismo di impronta televisiva. Per esempio le raccolte di brevi pareri, accompagnata dalla foto del personaggio interpellato, che ricorda molto le interviste volanti della tv. Alla "mise en page" si è sostituita la "mise en scène". E poi c'è il fatto che le nuove leve dei giornalisti sono cresciute nell'epoca televisiva: un certo modo di comunicare è per loro del tutto naturale». Berlusconismo congenito? «Beh dice Murialdi -, se la tv influenza i media, e il vero uomo-tv è Berlusconi, è evidente che oggi nei giornali c'è un grande berlusconismo». Ma allora davvero l'informazione di marca progressista è spacciata, come denuncia Bocca? Se il linguaggio dominante, volenti o nolenti, è quello televisivo, il fatto di adottarne i moduli non può essere una via per recuperare un rapporto dinamico con il Paese? In un saggio uscito di recente, Elogio del tempo nuovo, il semiologo Alberto Abruzzese in sostanza invita la sinistra, se vuole rifarsi, a diventare un po' «berlusconiana». Soddisfatto che - almeno nella stampa - lo sia sempre di più? Niente affatto. «Il linguaggio dei media non può che essere quello della tv e quindi del berlusconismo, perché una società di massa ha le sue regole comunicative e chiunque voglia rendere visibili determinati messaggi deve osservarle. Il problema è che invece di dedicarsi all'approfondimento di queste regole, per volgerle a suo favore, la cultura progressista ha preferito demonizzarle. E' facile dire che la tv è piena di scempiaggini, ma non è questo il punto. Piuttosto che nascondersi alle stupidaggini è meglio cercare che cosa le stupidaggini nascondono. La sinistra ha sostituito la conoscenza con la superstizione. E così ha perso». Maurizio Assalto Magi: a rimorchio della tv. Abruzzese: ci sono nuove regole, vanno capite e «usate» ci sono nuove regole, vanno capite e «usate» flit «il m Murialdi e, sotto, Abruzzese A destra, Giorgio Bocca Enzo Biagi: «Condivido la tristezza di Bocca, ma il problema non riguarda solo i giornali»

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