«Così ho ucciso settanta persone»

Sparatoria tra la folla, 2 morti Agrigento, Giuseppe Croce Benvenuto confessa ai giudici la sua carriera di killer «Così ho ucciso settanta persone» Era il sicario preferito dai rivali di Cosa nostra «Mi pento perché non posso più fare questa vita» PROFESSIONE ASSASSINO CAGRIGENTO OSI' ho ucciso settanta persone...». L'agghiacciante racconto di Giuseppe Croce Benvenuto, il pentito di 25 anni, di Palma di Montechiaro, che ha consentito imprevedibili successi agli inquirenti antimafia, puntella il processo sulla spietata catena di crimini della «Stidda». E' l'organizzazione che si oppone a Cosa Nostra, sorta ad Agrigento e Caltanissetta con il programma di scalzare i boss delle cosche tradizionali. Ieri il giudice per le indagini preliminari Renato Grillo, dopo un'udienza preliminare protrattasi dieci giorni, ha disposto che 78 «stiddari» siano processati il 5 dicembre prossimo in un'aula-bunker appositamente realizzata, per 150 omicidi e associazione per delinquere. «Mi pento perché non posso più fare questa vita. Ho una bambina che ha bisogno di me, una moglie». Era il maggio 1993 quando Giuseppe Croce Benvenuto decise di cambiare vita. Due giorni prima aveva telefonato dal Canada dove si era rifugiato presso parenti emigrati a Montreal e dove aveva portato con sé i famigliari. Temeva di essere catturato per concorso nell'uccisione di Rosario Livatino, per la quale era stato chiamato in causa dal pentito Schembri. Un fiume di rivelazioni, quelle del giovane killer palmese, la cui posizione per il delitto Livatino è stata stralciata in attesa di giudizio. Croce Benvenuto nega di aver fatto parte del commando che eliminò Livatino, ma ammette di aver partecipato all'organizzazione dell'agguato. Per l'inchiesta sulla «Stidda», la sua posizione dovrà essere valutata dalla Corte Costituzionale alla quale il gip si è rimesso dopo che l'imputato-pentito ha chiesto il rito abbreviato non ammesso però nel caso di omicidio volontario. Con Giuseppe Croce Benvenuto si è pentito anche il fratello minore, Gioacchino, suggestionato dall'appello lanciato dal Papa proprio ad Agrigento nel maggio dell'anno scorso e indirizzato agli «uomini della mafia». Giovanni Paolo II li invitò a pentirsi. Freddo, lucido, Giuseppe Croce Benvenuto ha raccontato i suoi delitti fornendo molti particolari. Come quello di Domenico Lombardo nel Bar Bottone a Favara, dieci chilometri da Agrigento: «Mi recai all'interno del bar e lì vidi appoggiato al banco Lombardo che stava mangiando un cornetto. Lo salutai e, senza attendere risposta, estrassi la mia pistola cai. 9 ed esplosi 11 colpi mirando alla faccia e al petto». «All'interno del locale - ha aggiunto c'erano il proprietario e un ragazzo che mi videro in viso. Uscito, feci ritorno a Palma di Montechiaro e, dopo avere depositato la moto in garage, andai a casa a dormire». Ha anche riferito che il capo di Cosa Nostra, responsabile per tutto l'Agrigentino, Giuseppe Di Caro, prima di morire sotto i colpi di quattro killer, nel febbraio del 1991, «non si comportò da uomo d'onore, scoppiò a piangere e supplicò». Antonio Ravidà ■l Il luogo dell'uccisione ■l del giudice Livatino

Luoghi citati: Agrigento, Bar Bottone, Canada, Favara, Montreal, Palma Di Montechiaro