Italiani in vetta da Compagnoni sul K2 a Baggio in America

I fondi sindacali e i versetti della Bibbia AL GIORNALE Italiani in vetta, da Compagnoni sulK2 a Baggio in America Il tricolore in Karakorum Appassionato di storia dell'alpinismo, del mondo della montagna e buon sciatore di sci di fondo, ho seguito con vivo interesse il 40° anniversario della conquista italiana del K2, avvenuta il 31 luglio 1954. In quel lontano giorno di fine luglio gli alpinisti italiani Achille Compagnoni e Lino La cedei lì piantavano il tricolore italiano sulla vetta della colossale montagna del Karakorum, Pakistan, dando all'Italia una delle sue pagine più belle e ponendola tra le prime nazioni alpinistiche del tempo. L'epica impresa del K2, nonostante le polemiche e i lati «oscuri» che ne seguirono, fu una grande vittoria, che premiò gli sforzi, le sofferenze, le tragedie della morte di Mario Puchoz, valente alpinista valdostano di Courmayeur, rimasto per sempre lassù, il valore, l'abnegazione, i sacrifici e la tenacia di quanti affrontarono le insidie e i terribili pericoli della gigantesca montagna asiatica. A quarant'anni di distanza da allora, alcuni membri della spedizione alpinistica italiana al K2 sono scomparsi, mentre per i rimasti è sempre vivo il ricordo di quella memorabile impresa che li vide protagonisti sulla seconda montagna più alta della Terra. Ricordi sempre vivi, che non moriranno mai. A loro, e a quanti li aiutarono nell'immane sforzo, le popolazioni montanare locali, i bravi portatori baiti e gli ottimi portatori d'alta quota hunza, va il nostro doveroso pensiero per aver dato all'Italia, quarantanni fa, una delle pagine senza dubbio più meravigliose, la conquista del K2. Alessant o Mesère, Aosta Pensare agli altri nella tragedia Voglio raccontarvi brevemente una storia tragica di una famiglia di Genova duramente pro¬ vata: anni fa la figlia maggiore di 20 anni morì per aneurisma cerebrale. Fu una tragedia enorme, la mamma non donò gli organi. Uno dei fratelli della ragazza, un giovane dolcissimo e fragile cominciò a bucarsi ma dopo un anno riuscì a uscire dal giro. Purtroppo un'epatite virale (forse collegata alla droga? Io non so!) gli ha rovinato irrimediabilmente il fegato e gli rimangono ormai pochi mesi di vita. In Belgio l'hanno rifiutato e poi ci vogliono tanti milioni e non tutti riescono a trovarli. I genitori sono quasi alla follia, i pensieri non danno loro tregua, non si parlano più. Vorrei che tutti si chiedessero, anche quando vengono colpiti da una simile tragedia, non avremo mai noi, gli altri nostri figli o i nostri nipoti bisogno della generosità degli altri? Pensiamoci tutti perché le tragedie di una famiglia non siano comuni a tante altre. Preciso che io sono vecchia e di dolori ne conosco tanti e so cosa vuol dire piangere un figlio. Irene Motta, Savona Fra canzone e preghiera La lettera «Grido di dolore contro le grida in chiesa» ricalca una polemica che da più parti si leva contro i mutamenti della sacra liturgia, ma le precisazioni di don Aldo Marengo non sono, a mio parere, in tono con le osservazioni di F. Manassero per i seguenti motivi. 1) E' una realtà il fatto che, durante la Messa vengono eseguiti canti che non invitano alla «partecipazione attiva» perché spesso scadenti per la musica e per l'esecuzione. 2) La musica e il canto sono arti che non tutti sono in grado di esercitare dignitosamente. Molti fedeli non si sentono (per molte ragioni) di unire la loro voce a quella di un coro, pur «partecipando attivamente» all'azione liturgica. Ridune la ce- lebrazione della S. Messa a una ripetizione, insieme all'assemblea, di preghiere e di invocazioni non costituisce una reale partecipazione e manca fortemente di «spiritualità». 3) Chi ascolta in silenzio il suono dell'organo o la schola cantorurn che esegue in canto gregoriano o polifonia i canti in latino della tradizione, si inserisce pienamente e consapevolmente nell'atto di culto espresso dall'intero corpo della Chiesa. Ne sono un esempio le celebrazioni presiedute dal Santo Padre, diffuse dalla tv in varie ricorrenze. 4) L'uso della lingua latina, nelle preghiere comuni e nei canti della nostra tradizione religiosa, è l'espressione dell'universalità della Chiesa nella quale i popoli diversi si trovano uniti da una lingua comune (ciò vale anche per chi poco conosce il latino, come tanti buoni cristiani che hanno vissuto nella Fede prima di noi). 5) Relegare le composizioni della musica sacra, proprie della tradizione cattolica, a concerti di musica sacra, quindi, al di fuori della Santa Messa è alquanto limitativo, esse infatti, hanno la capacità di donare a chi le ascolta, quel naturale collegamento con lo Spirito Divino che nessuna riflessione o eloquente dissertazione teologica può dare. Anche se l'autorevole organo Notiziae del 1972 dava tali indicazioni, da allora a oggi le esperienze fatte (nelle diverse «sperimentazioni» liturgiche) danno ragione a rivedere tale dettato, cosa d'altra parte messa in atto non solo (e per fortuna) nella chiesa della Misericordia. prof. Ilario Polati Alessandria Usa '94, vincitori anche noi Sono una ragazza di 14 anni, appassionata di calcio, juventina, fan di Roby Baggio. Vorrei parlare della nostra brava nazionale, che ha vinto i mondiali Usa 1994, insieme al Brasile. Sì, perché è così che la penso, anche se la coppa e il titolo alla fine non li abbiamo conquistati noi. Penso che non ci debba essere malinconia legata al ricordo di Usa 1994, se non alle immagini dell'espressione sui visi di Baresi, Baggio, Pagliuca e degli altri, mentre i brasiliani festeggiavano. E poi, non si può certo dire che il Brasile non si meritasse di vincere, almeno quanto noi, se non di più, non avendo mai perso una partita e avendo già sofferto abbastanza per la perdita di Ayrton Senna; a questo proposito vorrei aggiungere che sicuramente in quel triste momento di sconfitta tutti gli italiani hanno almeno un po' apprezzato il loro striscione che dedicava ad Ayrton la vittoria. Credo che gli azzurri, però, non abbiano niente da rimproverarsi e che quando parleranno o sentiranno parlare di questi mondiali potranno tenere la te¬ sta alta, senza rimpianti. Roberto Baggio in questi mondiali secondo me è stato bravissimo, perché ha saputo compiere azioni splendide, dare atto del suo talento unico, e salvare la nazionale in alcuni momenti critici, anche se, come tutti sanno, sta attraversando un momento difficile; molti lo accusano proprio per questo, ed è appunto questo che trovo assurdo: non è forse umano avere dei problemi? Ma si sa, nel mondo crudele della fama, al contrario di come è difficile guadagnarsela, basta un piccolo errore per essere giudicati dei perdenti. Maria Carola Saccoletto L'autodromo non vale un albero Sulla questione autodromo di Monza e il Bosco Bello, ecco la mia opinione: l'autodromo non vale l'abbattimento di un solo albero ed è inutile spiegare il perché a chi non capisce e a chi, per interesse, non vuol capire. Giovanni Cesaraccio, Volvera Le promozioni sospese ai tg della Rai Il mio nome è stato inserito dalla Stampa nell'elenco dei giornalisti Rai le cui promozioni sono state sospese dal direttore generale. Non so per quale strano canale ciò sia potuto avvenire, anche se lo trovo illuminante, visto il quadro e il clima politico in cui si inserisce questa sconcertante vicenda, comunque è falso. Ho il grado aziendale di vicedirettore dal 1° novembre 1990 e sono stato nominato vicedirettore al Tg2 dal Consiglio d'amministrazione 1' 11 gennaio 1994, su proposta del direttore Garimberti, senza alcuna promozione, né pertanto «affidamento provvisorio». Roberto Morrione, Roma vicedirettore Tg2