Gli ultimi giorni di Cuba di Mimmo Candito

L'ISOLA ALLA FAME Castro lancia l'allarme: «Noi stessi stiamo distruggendo quello che abbiamo creato» Gli ultimi giorni di Cuba Crolla l'economia, è la resa dei conti L'ISOLA ALLA FAME Ache accade, dunque, a Cuba? Lanciato sulla strada di un imbarazzante socialcapitalismo, ora Fidel introduce anche le tasse, quelle dirette e le indirette; il salario è già costruito come funzione della produttività; e si parla perfino di disoccupazione. Il vecchio sogno socialista del lavoro per tutti e dell'equa remunerazione della forza-lavoro, un sogno ormai che ha trovato nell'isola del caimano barbuto una delle sue ultime spiagge felici, va sfumando lentamente dentro le ombre ambigue del Caribe. E su quelle stesse spiagge, dove - indifferente l'antica liturgia rivoluzionaria recita ancora i rituali di ieri, la bella faccia del «Che» è stata in realtà sostituita oggi con la pelata morbida di Franklin nell'oblò verde del 100 dollari. La storia va via velocemente, non tollera malinconie: e ora che i Muri crollano dentro le onde hertziane di una televisione che salta le cortine di ferro, una Rivoluzione sudamericana può morire anche di fame. Letteralmente, di fame. Castro l'altro ieri ha evocato una tragedia: «La stiamo distruggendo noi stessi, la Rivoluzione. Il raccolto della canna da zucchero quest'anno non toccherà nemmeno i 4 milioni di tonnellate: dove troveremo ora i soldi per comprare tutto il petrolio che serve alla nostra economia?». Quanto sono lontani, e quanto irreali, gli anni in cui tanti giovani europei, anche chi qui scrive, partivano per l'Avana a dare una mano alla Revolución, perché si superasse la vetta dei 10 milioni di tonnellate e si aprisse perciò la strada all'ambizione concreta di un'uscita dai doveri del mercato; la vetta mitica di quella «zafra», però, non fu mai toccata, nemmeno sfiorata, e la crisi di un prò- getto politico troppo irreale cominciò a trasparire dietro i veli di una nuova dipendenza obbligata dalla monocoltura dello zucchero. In un libro che ho preso alcune settimane fa a New York («Soviet-Cuban Alliance», Transaction Publishers), Yuri Pavlov, che fu responsabile dell'Ufficio latinoamericano dell'antica Urss, rivela che Mosca aiutò Cuba alla media folle di 500 mila dollari l'ora, mandandole aiuti per 5 miliardi di dollari l'anno per il decennio dei Settanta, e tra 5 e 7 miliardi l'anno per tutti gli anni Ottanta. Questo aiuto era fatto, sostanzialmente, di un sovrapprezzo pagato nell'acquisto dello zucchero cubano, e di un sussidio indiretto che veniva trasferito vendendo all'Avana a prezzi più bassi del mercato una decina di milioni di tonnellate di petrolio. Con il surplus del guadagno dalla vendita dello zucchero, e con il ricavato netto che l'Avana traeva rioffrendo a prezzi ufficiali sul mercato internazionale una parte del petrolio ricevuto sotto- costo, l'isola di Fidel poteva permettersi di acquistare beni e prodotti per 8 miliardi di dollari l'anno. E, con difficoltà comunque non fortissime, i suoi 11 milioni di abitanti potevano così mangiare due discreti pasti al giorno, essere curati gratuitamente, avere un'istruzione pubblica gratuita e generalizzata. La fine della manna sovietica, e il blocco improvviso dei mercati dell'Est, hanno messo in una panne irreversibile il meccanismo drogato dell'economia cubana: dagli 8 miliardi di dollari, ch'era la media annuale delle importazioni, Cuba è passata lo scorso anno a poter acquistare sul mercato manufatti e materie prime per appena 1,7 miliardi. Oggi a Cuba le industrie vanno al 25-30 per cento della loro capacità e in un ciclo infernale la «zafra» precipita a meno di 4 milioni di tonnellate, «cioè - dice Castro - quanto non ci basterà nemmeno a pagare il minimo vitale di petrolio». Dai 13 milioni di tonnellate d'idrocarburi, l'Avana aveva ridotto ora il proprio fabbi¬ sogno a poco più di 5 milioni, e questo significava già mettere a riposo gran parte delle fabbriche: oggi a Cuba si va a piedi o in bicicletta. Castro lo ha definito «periodo speciale in tempo di pace», che è un modo balzano di nascondere una vera economia di guerra, quando la gente mangia una sola volta al giorno, non c'è luce elettrica e manca tutto, perfino i fagioli. Tanto che ieri Raul Castro ha detto: «Oggi per noi i fagioli sono più importanti dei cannoni». Come ha potuto reggere, finora, l'isola questo terribile tormento quotidiano? Lo ha fatto perché non ha trovato ancora alternative praticabili alla Revolución. Intendiamoci: la Rivoluzione-progetto era già finita con gli anni Sessanta. Sopravviveva invece la Rivoluzione-sistema, che pilotava l'isola in una difficile ma possibile routine quotidiana, ripagando con un'offerta reale di buoni servizi sociali l'adesione della società agli slogan, ma anche ai contenuti, di un program¬ ma politico solidaristico, terzomondista, orgogliosamente nazionalista. Oggi gli ospedali non hanno nemmeno le aspirine o il filo per le suture chirurgiche. La dollarizzazione dell'economia ha creato una forte banda di neoricchi ma anche un forte malcontento sociale. Castro ora mette in campo le tasse, e mostra malumore verso le scelte economiche fatte appena lo scorso anno; non le cancella ancora, ma appare critico verso quello che ha concesso ai riformatori di Lage: sette alti dirigenti del pc sono stati sostituiti. Se gli Usa levassero finalmente l'embargo che strozza Cuba da più di 30 anni, Castro sarebbe finalmente nudo. Il vecchio comandante perderebbe ogni alibi, il sentimento della giustizia guadagnerebbe un traguardo importante: e la storia di Cuba si allontanerebbe dai fantasmi della paura, per cercarsi un'uscita dignitosa dalla storia del nostro tempo. Mimmo Candito Il regime costretto a infrangere l'ultima illusione: d'ora in poi i cubani dovranno pagare le tasse Castro e magine della vecchia Avana

Persone citate: Castro, Lage, Raul Castro, Yuri Pavlov