Droga e orge in canonica

12 Nel Trevigiano: insieme alla cocaina, sequestrate riviste e foto omosessuali Droga e orge in canonica In cella sedicente vescovo ortodosso SCANDALO NELLA SETTA MONTANER (Treviso) DAL NOSTRO INVIATO Costernati a morte, felici da schiattare: ancora una volta gli abitanti di questo paesino, arroccato sulle Prealpi trevigiane, si dividono in fazioni contrapposte per una ruggente guerra di religione che dura ormai da un quarto di secolo. Una guerra nata con un vero e proprio scisma a metà degli Anni Sessanta, dipanatasi, poi, in un rosario infinito di incomprensioni e dispute, e che, oggi, vive un nuovo sussulto legato a una sporca vicenda di droga e di sesso deviato. Al centro di questo intreccio perverso «sua eccellenza don Fanurio Lino Vivan, vescovo della Chiesa ortodossa autocefala di Polonia» che i carabinieri hanno arrestato, insieme a un suo fedele, per spaccio di cocaina. Nella canonica della chiesa gli investigatori hanno trovato, oltre a 60 grammi di stupefacenti, anche parecchio «materiale» ben poco ortodosso: videocassette pornografiche a sfondo omosessuale, riviste e foto dello stesso tenore. Ed è più d'un sospetto che nelle scabre stanze a ridosso della cappella «sua eccellenza» organizzasse torridi party tra soli uomini. Attività irrequiete che sono sempre sfuggite sia alla comunità ortodossa che a quella cattolica, impegnate, come da copione, a cercare pagliuzze e a non trovare travi. Solo negli ultimi mesi qualcuno ha avuto sentore che la canonica della chiesa ortodossa odorasse più di cocaina che di incenso. E sono partiti esposti anonimi ai carabinieri. Da gennaio tutti gli spostamenti del vescovo Vivan chiamato per qualche esorcismo o in «visita pastorale» ai fedeli della sua fantomatica diocesi di Aquileia (che comprende sei parrocchie) sono stati accuratamente seguiti. Intercettazioni telefoniche, fotografie scattate da anonimi furgoni: l'uomo di Dio si è rivelato agli investigatori sempre meno in sintonia con le proprie prediche inneggianti alla morigeratezza dei costumi. Il 30 luglio, l'ultimo viaggio in Lombardia: don Vivan telefona a un suo seguace, Marco Belle, 28 anni, e gli comunica: «Vieni, ti dò la roba». Il ragazzo finisce tra le braccia dei cara- binieri e, subito dopo, un carabiniere finge di finire tra quelle del vescovo. Nel senso che un sottufficiale dell'Arma, fingendosi un giovane tossicodipendente allo sbando, va da «sua eccellenza» e riesce a farsi consegnare una dose di cocaina. Vivan toglie dalla tasca della tonaca la bustina in cellophane e la pecorella smarrita svela la sua vera identità. Manette, arresto: il rappresentante della Chiesa autocefala di Polonia viene portato in un luogo che di santo ha solo il nome: Santa Bona, il carcere di Treviso. Finisce così la miracolosa carriera ecclesiastica di quest'uomo la cui lunga veste nera non riesce ad annacquare una certa aria sulfurea che aleggia nello sguardo e che si impiglia nella stenta barbetta caprina. Pochi anni fa aveva esautorato lo «storico» vescovo ortodosso di Montaner: quel Claudio Vettorazzo che, nel 1965, era entrato con il passo sicuro del messia nella disputa che vedeva metà paese opporsi alla decisione dell'allora vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani. Fu proprio lui, il futuro «Papa del sorriso» che sedette solo poche settimane sul soglio di Pietro, a scatenare involontariamente lo «scisma» delle Prealpi trevigiane: alla morte del vecchio parroco non volle nominare come successore il sacerdote che gran parte dei 1550 abitanti di questo paesino di montagna avrebbe voluto. E fu così che il religioso scelto dalla curia quando arrivò a Montaner trovò la porta della chiesa murata e 600 parrocchiani pronti a un imprevisto braccio di ferro. Albino Luciani non sorrise. Anzi, accettò la sfida e interdi l'intera comunità. Alcuni mesi dopo, quando decise di praticare la tolleranza e revocò il provvedimen¬ to, metà gregge aveva già seguito un nuovo pastore: proprio quel Claudio Vettorazzo che iniziò allora una tumultuosa vita in cui i precetti della religione si sono spesso intricati con quelli del codice penale portandolo a processi per truffa. In gran fretta, in quei mesi caldi d'una guerra in nome di Dio che nascondeva solo l'orgoglio ferito di alcune centinaia di uomini, sorse una nuova chiesa, di fronte a quella cattolica: il solco tra gli abitanti divenne profondo, la scelta religiosa prevaleva sulle parentele, avvelenava i rapporti. Ci furono famiglie divise, matrimoni sull'orlo della crisi, amicizie bruciate. Un «muro contro muro» che ancora oggi non è cessato, anche se la comunità ortodossa si è ridotta a non più di 300 adepti. «Beh, ognuno vive come gli pare osserva qualcuno di parte cattolica ostentando un fair-play che contrasta con la gioia evidente - però c'è chi esagera con la libertà, al punto che finisce col perderla». Tacciono gli «ortodossi»: incupiti e rissosi, al punto di aggredire una giornalista e un fotografo, in cerca di notizie, a graffi e spintoni. Don Florindo Micolis, prevosto di Sarmede, da cui dipende la parrocchia di Montaner, esordisce: «Quello era una specie di manager». Poi chiosa, a bassa voce: «Diciamo: uno che sa rubare. Come quel Vettorazzo, che usava la sua chiesa a paravento delle proprie malefatte». Evangelicamente lontano dal desiderio di emettere sentenze, invece, il responsabile della parrocchia di Montaner, del paese diviso dallo scisma, don Piergiorgio Trevisan: «Non posso giudicare cose che non conosco». Eppure, don Piergiorgio, qualcuno dice che, l'altro giorno, quando si è diffusa la voce dell'arresto di Lino Vivan, lei ha suonato per ore le campane in segno di giubilo. «Tutte storie», s'infuria il sacerdote. Poi si lascia sfuggire un termine che non si trova in nessun salmo: «Balle, guardi, sonore balle». Renato Rizzo Aveva centinaia di fedeli. E in paese ora fanno festa i «rivali» cattolici A destra, il vescovo della «Chiesa ortodossa autocefala di Polonia» Fanurio Lino Vivan A sinistra, papa Luciani

Luoghi citati: Aquileia, Lombardia, Polonia, Sarmede, Treviso, Vittorio Veneto