«Facciamo causa a tutti»

«Facciamo causa a tutti» «Facciamo causa a tutti» La voglia di rivincita delpizzardone UN GIORNO PER LE VIE DELLA CAPITALE CROMA ANICOLA da solleone al Pantheon, ore 14, snodo fra politica, granita di caffè, turismo, terrazze, clero, ristoranti in cui si è fatta e disfatta la storia. Lui è lì: alto, popolare, di baffo biondo e ferroso, panzerellone, ma prestante, autorevole, di modi alteri, del genere «non me fate aggità, sennò finisce male». E' il vigile romano, esemplare da museo. Niente nomi, lei capisce, divieto del comando. Poi leva la testa e spara un: «Dica!», alza gravemente il braccio e con movimento contorsionista fa roteare il solo indice come la lenta pala di un elicottero della centounesima aviotrasportata. Vuol dire: qui non si passa, lo so, ci hai provato, adesso torna indietro. Bisogna sapere che a Roma l'espressione «dica» non è un invito a dire, ma a desistere. Equivale ad altolà. Potrebbe essere usato in luogo del banale «arrendetevi, siete circondati». I «dica» sono sparati ai motorinisti. Quanti? Uno ogni due minuti, cronometrati. Trenta l'ora. Per sette ore e un quarto fanno fanno 317 col resto di tre. Più le vecchiette agitate per il minibus che non passa. E i turisti con la mappa. Gli sventolo sotto il naso i titoli con l'anatema della Confesercenti: vigili urbani, vii razza corrotta. L'ha visto? Annuisce: «Nun me faccia parla. Je dico sortanto questo: li denuncio tutti, a quei fiji de... me perdoni». S'avanza un'auto che porta le insegne di tutti i permessi che un vip romano, anche se venuto di Longobardia, può innalzare in età di neoliberismo parlamentare: antenne, quadrati e rettangoli, permessi e bandiere. Il pizzardone (questo l'aulico nome che i romani danno all'agente del traffico) leva ancora più lentamente il braccio, come a dire: guardi che fatica far rispettare la legge. E all'insistente: «Non la vede la transenna?». Quello blatera. Si agita, sciorina carte di credito, mappe topografiche, indica una quantità di finestre, cita strade e forse massime sconosciute. Al pizzardone «je fanno un baffo». E' del genere inflessibile, ma bonario. Ma non c'è niente da fare: «Nun ze passa. Armenoché non ciài le ali pe' vola. Perché? Perché c'è la voraggine». Roma, come è noto, è bucata. E lui è triste. Vengono altri suoi colleghi. Tutti tristi come John Wayne quando spera di non dover ricorrere al revolver. Campionario di commenti: «Ce vengono a ffà er solito discorso delle mele marce. Ma a me che me frega delle mele marce? Che glie dico a mi' fijo quanno legge sur giornale che i vigggili tre «gi» è la pronuncia corretta so' tutti ladri?». Pausa. Consulto di sguardi. «Je famo causa». «Li mannamo tutti in galera». «Si se credono de potè diffama na categoria del lavoratori, se sbajano». Vigilessa intelligente, graziosa: «Sa qual è la questione? Che molti commercianti non hanno i titoli richiesti per iscriversi a una Camera di commercio, sono ignoranti e imbucati, non vogliono ri- spettare le leggi e non vogliono pagare le tasse. E così, mettono mano al portafoglio. E magari ci sarà anche qualcuno che gli darà retta e intasca. Ma noi che c'entràmo?». Coro: «Già. Noi che c'entràmo?». Collega anziano: «Qui noi famo 'na vita che alla fine er fegato te lo magni co' le cipolle, signore mio. E la sera, dopo sett'ore de sto turno, i piedi... Dica!! No. Ho detto de no. Deve torna indietro». E a me: «Vede com'è sto mestiere? Contatto cor pubblico. Gentilezza. Bisogna fa' vede che sei disponibbile, ma fermo... Piazza Navona? In fondo a sinistra. Per i Fori dall'altra parte». Arrivano i francesi che cercano «l'arena», forse pensando di essere a Verona. Decidiamo tutti insieme di spedirli al Circo Massimo e mi incarico della bisogna linguistica avvertendoli che piazza Venezia si distingue per il monumento a macchina da scrivere. Altro «vigggile»: «Noi siamo esposti a tutto. Spesso finiamo all'ospedale, ma er più de le volte, basta un soriso pe' risorve 'na situazzione. E penzi che ce voleveno manna tutti a scola de bonton. Noi er bontò ce l'avemo innato». Sono giovani e anziani, ma il livello di cultura, malgrado la civetteria del parlar romanesco in casa propria come ci hanno insegnato i leghisti dalle lor Padanie, è elevato: laureati, laureandi, diplomati. Fra di loro, è certo, ci sono anche fior di ladroni, malversatori e mazzettari. Lo so perché negli anni scorsi li ho visti all'opera, a decine. Ma accade oggi per loro, i vigili urbani, quel che accadde a noi giornalisti quando uscì la storia delle «penne sporche», i giornalisti a stipendio occulto. Anche a noi toccò sentirci dire dalla gente: «Giornalista? Ladrone». Ma attenti, un giorno San Di Pietro potrebbe folgorare i tappezzieri, gli elettrauto, i dentisti, spargere il sangue meticcio della società incivile, di quelli che si papperebbero Di Lorenzo trifolato con l'aglio, ma non pagano l'Iva. Oggi è il giorno dei vigili: «Starno ner l'occhio der Ciclope». Era, una volta il loro, un mestiere onorato, qui a Roma. Intanto perché è stato inventato qui: i «vigiles» facevano proprio i vigili già ai tempi di Catone. Anche del fuoco. Oggigiorno la loro è una fauna varia e talvolta avariata, signora mia. C'è quello che si fuma la cicca dietro al semaforo e scrive con la biro le targhe blasfeme, e quello che sembra uscito dall'accademia di West Point specialmente se montato su moto,. Come farne una compatta antropologia? C'è il vigile all'americana modello Sordi e quello ex capellone con una lunga gualdrappa di cri- ne grigio che gli ballonzola sulla spalla; il vigile skipper che «orza» con la barba da tonno nostromo e il padre di famiglia che tira a campare. Grande, varia e diversa è l'umanità in uniforme capitolina. E poi le vigilesse delle ultime generazioni che hanno perso l'opulenza delle sorelle maggiori e sono tutte nervetti, occhi fondi, svelte d'occhio e di blocchetto. Ma anche le vigilotte modello professoressa fuori ruolo: incattivite, implacabili, ottuse, bionde con la ricrescita marazzata, e stangone. Certo, nel grande cesto della vigile urbanità si celano mele marce e anche direttamente alcune dinastie di vermi, ma come si può, per usare la loro prevedibile espressione «butta fango su tutta 'a categoria»? In mezzo secolo di romanitudine ho conosciuto vigili con l'angoscia e altri che praticano lo zen, bigotti e volterriani, bonaccioni e nazisti. Un certo degrado c'è stato, confesso: da vent'anni invado le corsie preferenziali, sia pure per ignobili esigenze di servizio, e mai, dico mai uno di loro mi ha fermato con l'antico gesto fermo da centurione che mi terrorizzava da ragazzo. Che nostalgia, quella mano e quella voce atona e ferocemente gentile che diceva: «Accosti. Buonasera. Favorisca patente e libretto. Apra il bagagliaio. E l'assicurazione?». Altri tempi. Non tutti sono rassicuranti: ne circolano esemplari col codino o con scalpo a gallo cedrone, ma se ne intravedono di inquietanti e vespertini che entrano ed escono da esercizi commerciali e bancarelle con una busta piena di «pratiche». Parola in sé contaminata, da denuclearizzare: le pratiche talvolta scorrono sull'unto, ma questo non è un evento caratteristico della vigilanza, né di Roma. Nella calura vespertina lentamente cigolano non senza un filo d'asma vecchi vigili ciclisti. Ogni tassista romano sciorina trucibalde e scollacciate leggende sulla fantasticata libido che accomunerebbe militi dei due sessi. Io ho personalmente un debole per questa categoria romana. Sono gente saggia, che sa stare al mondo. Quando serve, c'è sempre: ed è formidabile. Ma non si scaldano per le piccole infrazioni. La vigilina che si sta per laureare ha le lacrime agli occhi: «Ma porca miseria, lavoro tutto il giorno, studio di notte, e poi mi devo anche sentirmi dare della ladra? E' la generalizzazione che mi fa impazzire. Io non mi sognerei mai di dire che i commercianti sono ladri, soltanto perché qualcuno di loro ruba». Paolo frizzanti Più di 300 «fischi» per le infrazioni durante il servizio «Macché mazzette la nostra vita è un inferno e noi siamo puliti» «E se un negoziante finisce in galera perché ha rubato vuole forse dire che son tutti ladri?» || A sinistra un vigile urbano di Roma multa un'auto in divieto di sosta A destra un mercatino rionale dove i controlli spettano ai vigili Alberto Sordi nel film che ha reso «famosa» la figura del vigile ||

Persone citate: Alberto Sordi, Catone, Di Pietro, Dica, John Wayne

Luoghi citati: Roma, Verona