la nobiltà della politica di Piero Gobetti

la nobiltà della politica Il ricordo di Bobbio: una vita pubblica appassionata senza venire meno agli obblighi dell'uomo di cultura la nobiltà della politica Una grande lezione per l'Italia civile SONO passati soltanto pochi mesi da quando aveva affrontato dignitosamente la battaglia per la presidenza del Senato, come candidato dell'opposizione. Era stato sconfitto per un solo voto, ma a me che gli ero stato a fianco in quei giorni disse: «Forse meglio così. Sarò più libero di continuare l'opposizione dal Centro». L'aveva detto nei giorni precedenti che l'opposizione più efficace sarebbe dovuta provenire dal Centro piuttosto che dalla Sinistra. Tenne il primo discorso della nuova legislatura durante il dibattito sulla fiducia, dichiarando la propria astensione. Nessuno di noi poteva immaginare che sarebbe stato anche l'ultimo. Era già sofferente, e tale pareva all'aspetto,, anche se mostrava o fingeva di non accorgersene. Aveva subito una prima operazione dopo un faticoso viàggio in Cina e in India, dove aveva ricevuto, rispettivamente il 21 e 25 febbraio, due lauree ad honorem, e aveva letto due discorsi, Il lungo dialogo fra Italia e Cina, in occasione della prima e Mazzini e Gandhi: una storia comune, in occasione della seconda. Aveva dovuto rinunciare al nuovo viaggio che l'avrebbe condotto in Cile, dove l'attendeva una nuova laurea conferitagli dall'Università Cattolica di Santiago. Aveva già preparato e fatto stampare un discorso su uno degli argomenti in cui era più versato: Chiesa e Stato da Porta Pia alla Repubblica. Nel discorso al Senato, di cui mi disse, inviandomene il testo, che era soddisfatto per aver potuto esprimere sinteticamente la posizione politica a cui era rimasto fedele in tutti questi anni, ammonì il presidente del Consiglio a non credere che con questo governo fosse cominciata una storia nuova e che il nuovo si contrapponesse . ^«meccanicamente e impetuosamente» al vecchio. Non esitò a denunciare il governo di non essersi «distaccato dal solco dellà^degeneraàione spartitoria»; raccomandò di affrontare il problema delle riforme costituzionali con sagacia e prudenza. La Costituzione, disse, è un bene comune dell'intero Paese: di conseguenza terreno ideale per farla maturare era quello parlamentare. Né bisognava dimenticare che era ispirata all'unità della nazione «senza distinzione tra Busto Arsizio e Battipaglia». Era arrivato tardi alla vita politica. Nato nel 1925, era stato eletto per la prima volta senatore del partito repubblicano nel marzo 1972. Studioso di storia, autore di numerose opere su personaggi ed eventi dell'Italia del Risorgimento e dell'età giolittiana, che andava ristampando in lussuosi volumi rilegati e illustrati con fotografie dell'epoca, cominciò a insegnare storia contemporanea alla facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri di Firenze, dove si era laureato nel 1950, quando aveva solo 25 anni. Scrittore di facile vena, chiaro, elegante, dotto senza pedanteria, sempre ben documentato in virtù di una memoria prodigiosa e di una straordinaria rapidità nel raccogliere informazioni e di una non meno straordinaria capacità di ritenerle, fu, ancora giovanissimo, uno dei più assidui e autorevoli collaboratori del Mondo di Mario Pannunzio. Di- resse, prima, Il Resto del Carlino per tredici anni dal 1955 al 1968, quindi il Corriere della Sera dal 1968 sino a quando fu eletto senatore. Da anni collaborava al nostro giornale, generalmente con articoli in cui ci raccontava i suoi viaggi e descriveva i personaggi incontrati: articoli che poi raccoglieva in volumi di varietà, intitolati Bloc-notes. Vi rivelava sempre la sua viva curiosità di conoscere il mondo in lungo e in largo, e vi sapeva fondere con efficacia le sue eccellenti doti di storico, di giornalista e di scrittore politico. Da anni era direttore della Nuova Antologia, la vecchia rivista arrivata alla veneranda età di 129 anni. Valendosi delle sue vastissime conoscenze di scrittori, artisti, uomini politici, l'aveva trasformata in un ricco e interessante repertorio di storia patria, letteraria, politica, filosofica, che appariva puntualmente in quattro volumi annuali di circa 500 pagine ciascuno. Se.ne occupava personalmente per diletto, la domenica, quando tornava da Roma alla sua bella casa-biblioteca in via Pian dei Giullari. Leggeva moltissimo: divorava giornali, libri vecchi e nuovi, manoscritti che capitavano ogni giorno sul suo tavolo. Non gli sfuggiva un solo discorso che io andavo tenendo qua e là. Il giorno dopo mi telefonava: «Me lo dai per la Nuova Antologia?». Ebbe sempre una concezione nobile della politica. Non fu un uomo di cultura prestato, come si suol dire oggi, alla politica. Continuò a fare politica non venendo meno agli obblighi dell'uomo di cultura. Il suo eroe fu, sin dagli anni dell'adolescenza, modello irraggiungibile, Piero Gobetti, il giovane morto a 25 anni in una strenua, anche se al¬ lora disperata, difesa della libertà. Lo incontrai la prima volta, tramite il comune amico Giovanni Sartori, molti anni fa nella sua casa di Firenze. Mi volle mostrare la collezione rarissima delle riviste gobettiane. Aveva già cominciato a raccogliere tutti i volumi, più di cento, di «Piero Gobetti editore». Era fiero di averli ormai raccolti tutti, anche il rarissimo Ossi di seppia di Montale. Nello scorso ottobre presentai a Palazzo Carignano, insieme con Alessandro Galante Garrone e il direttore di questo giornale, l'ultima sua raccolta di scritti gobettiani: Gobetti, un'idea dell'Italia. Naturalmente mi chiese di dargli il testo per la Nuova Antologia. Gli ho telefonato spesso in ospedale durante la malattia.'ln una delle ultime conversazioni mi ricordò la promessa di mandargli un articolo sul tema dell'Italia come nazione. Leggeva i giornali. Continuava a tenersi al corrente. L'ultima lunga telefonata, pochi giorni fa. Avevamo commentato i fatti del giorno. Mi era parso affaticato, ma la sua parola era, come sempre, chiara e appassionata. Era lieto di essere riuscito ancora a scrivere per il nostro giornale, cui era affezionato, alcune pagine di commento al saggio di Alessandro Galante Garrone, Il mite giacobino: testimonianza di una lunga e cara amicizia. Aveva avuto il presagio che sarebbero state le ultime? Norberto Bobbio Scrittore di facile vena, chiaro, elegante, dotto senza pedanteria, sempre ben documentato in virtù d'una memoria prodigiosa Un intellettuale presidente del Senato In nome della libertà e della Costituzione L'ultima battaglia per Palazzo Madama: affrontata con dignità, persa per un voto Spadolini alla presidenza del Senato; nella foto piccola con Norberto Bobbio. In basso Piero Gobetti