Le ultime ore continuando a lavorare di Maria Corbi
Seguiva con preoccupazione le vicende del Paese, temeva una crisi istituzionale Seguiva con preoccupazione le vicende del Paese, temeva una crisi istituzionale Le ultime ore, continuando a lavorare «Non voglio assistere alla disintegrazione dell'Italia» ROMA. Giovanni Spadolini fino alla morte, ieri alle 14,50, ha lottato per lavorare. Nonostante la malattia, un tumore allo stomaco, gli lasciasse da mesi poche forze. Il comodino accanto al letto del senatore a vita, alla clinica Quisisana immersa nel verde del quartiere Parioli, è servito da tavolo di lavoro. Sopra le idee e i progetti di Spadolini, sessantanove anni, che alla morte non pensava, o comunque non voleva farlo. La copertina del prossimo libro - 72 disordine mondiale, ultima raccolta dei blocnotes scritti per La Stampa -, le bozze dell'altro libro scritto per Le Monnier Cultura politica nel '900 italiano, pagine di appunti, la lista dei libri da portare in vacanza a Castiglioncello, l'articolo della Nazione, che lo aveva eletto il più amato dai fiorentini. Tutto questo lo ha tenuto occupato da quando il quindici di luglio un peggioramento delle condizioni lo ha costretto al ricovero. Le ultime giornate sono state piene soprattutto di politica. La passione per le grandi vicende del Paese di cui è stato uno dei protagonisti ancora accendevano le sue giornate. Avido di telegiornali, li definiva «le preghiere dei laici», Giovanni Spadolini seguiva con passione e dolore il cambiamento del Paese. «Il mio male si chiama Italia», ripeteva ai collaboratori. «E' il rischio di disintegrazione di questo Paese che mi angoscia». «Sì, era molto amareggiato conferma Claudio Lodici, nel suo staff da sette anni - ed era preoccupatissimo per la possibile crisi istituzionale». L'allontanamento dalla presidenza del Senato Spadolini lo aveva vissuto male. Ma si arrabbiava quando dicevano che era «abbattuto». «Sono solo amareggiato - replicava -, la mia è stata una battaglia di principio». A colpirlo erano state soprattutto le accuse, le offese ricevute dagli avversari. Certo lasciare palazzo Madama non è stato indolore. Quella era la sua casa. Spadolini si ritrovava nelle parole scritte su di lui da Armaroli: «Per Spadolini il Senato è stato come una tenera moglie». Con la morte Spadolini diceva di avere un «rapporto etrusco». Non ne parlava, non voleva sentirne parlare e gli unici accenni sull'argomento li aveva fatti in passato con i carabinieri della sua scorta citando da Croce: «Sono stanco e la morte mi appare spesso come una consolatrice». Ma con chi gli andava a fare visita parlava solo del presente, dell'oggi, di quello che avrebbe fatto, del domani del Paese. Discuteva gli articoli dei giornali, si infervorava quando leggeva inesattezze o imprecisioni. «Fino alla fine - dicono i suoi fedelissimi - è stato un direttore di giornale». Tanto da dedicare proprio al suo primo mestiere l'ultimo pensiero. Dal sonno dell'incoscienza ha chiesto ad un collaboratore: «Di quante righe è l'articolo di taglio centrale?». Accanto a lui, in clinica, ci sono sempre stati i fratelli Paolo, medico, e Pierluigi, architetto - insieme ai nipoti. Spesso è arrivato anche il cardinale Silvestrini che martedì è voluto restare solo accanto a Spadolini in raccoglimento. E fino a sabato, quando le condizioni del senatore a vita sono precipitate, molti politici hanno varcato la soglia della stanza di Spadolini. Due giorni prima c'era stato Libero Gualtieri, l'ex presidente della commissione stragi. Spadolini lo ha accolto in poltrona ma in lui erano ormai evidenti i segni della fine. Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e Francesco Cossiga, mercoledì,' hanno trovato Spadolini ormai incosciente. Il giorno prima, l'ultima scintilla di vita era scesa dai suoi occhi: lacrime. Come se avesse percepito gli occhi lucidi e il dolore di amici e parenti in attesa accanto al suo letto. Oggi, dopo i funerali, la salma di Giovanni Spadolini verrà portata a Pian dei Giullari, dove c'è la sua casa. Lì Spadolini voleva tornare per riposare nella sua terra e accanto ai suoi libri, oltre settantamila volumi che per lui sono stati come dei figli. Maria Corbi i commessi del Senato portano la bara nella camera ardente. A sinistra, Scognamiglio con il Presidente Scalfaro. Sopra, il senatore Agnelli e Irene Pivetti
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