«Così massacravo i bosniaci» di Luigi Grassia

«Ogni notte decine di esecuzioni, molti li conoscevo». Testimonierà al tribunale dell'Aia «Ogni notte decine di esecuzioni, molti li conoscevo». Testimonierà al tribunale dell'Aia «Così massacravo i bosniaci» La prima confessione di un boia serbo { LA TERRA DELL'ODIO F INORA le testimonianze di atrocità in Bosnia venivano solo dai musulmani, vittime forse interessate a mentire o esagerare. Certo l'esistenza dei campi di sterminio serbi è stata provata anche dalle immagini televisive trasmesse sugli schermi di tutto il mondo, però quelle immagini mostravano soltanto gente reclusa, magari anche gente maltrattata, ma non uomini e donne uccisi. Di questo come di altri massacri etnici si poteva dire che, in fondo, «non ci sono prove». Ma da ieri le cose sono cambiate. Per la prima volta il tribunale internazionale dell'Aia che indaga sui crimini di guerra dell'ex Jugoslavia ha reso nota la confessione di una guardia di lager, un serbo-bosniaco cha da poco ha disertato all'estero, un uomo in fuga da un ruolo di aguzzino divenuto ormai insopportabile. Il New York Times ha pubblicato un lungo e dettagliato resoconto delle sue dichiarazioni. La testimonianza combacia, nomi e date, con quelle rilasciate dai superstiti di un campo di sterminio. Per la prima volta carnefici e vittime parlano all'unisono. I fatti raccontati da Pero Popovic, 36 anni, si riferiscono alla cittadina di Vlasenica, un centro minerario della Bosnia orientale. L'anagrafe dice che allo scoppio della guerra interetnica ci vivevano 18 mila 699 musulmani. Adesso non ce n'è più neanche uno. Circa 15 mila sono stati deportati. Alcuni, pochi, sono morti con le armi in pugno. Più o meno tremila, uomini, donne e bambini, sono stati eliminati in un lager a pochi chilometri dalla città, nella valle di Susica. L'orrore di Susica è cominciato il 2 giugno 1992. Gli scontri fra serbi e musulmani erano ap¬ pena cominciati in tutta la Bosnia. A Vlasenica, città a maggioranza serba, i musulmani furono rapidameente battuti e si pose il problema di sistemare la massa dei prigionieri. A Susica c'era un posto ideale, fuori mano ma non troppo, un hangar abbandonato in un valloncello. Lo circondarono di filo spinato e cominciarono a riempirlo di gente. Per primi arrivarono combattenti che si orano arresi, o comunque musulmani trovati in possesso di armi. Praticamente subito all'arrivo, cominciavano a essere massacrati a colpi di bastone. «La cosa peggiore era quando picchiavo qualcuno che conoscevo. Ero cresciuto in mezzo a questi musulmani, e per le altre guardie era lo stesso, eppure ci trovavamo lì a sprangarli a morte. Chi avrebbe potuto immaginare una cosa simile prima che tutto questo iniziasse?». Pero Popovic giustifica le sue azioni nel modo consueto: «Per me si trattava di eseguire gli ordini o essere fucilato». All'inizio l'uccisione dei prigionieri era un fatto non programmato, la conseguenza per così dire involontaria dei pesanti maltrattamenti. Ma nel giro di un paio di giorni l'hangar (40 metri per 20) si riempì di centinaia di persone: giovani musulmani catturati per evitare che prendessero a loro volta le armi, e in seguito anche vecchi, donne e bambini, presi per terrorizzare il resto della popolazione nemica e indurla alla fuga. Si pose il problema di fare spazio e cominciarono le esecuzioni. «Ne ammazzavamo ogni notte. Una volta ne abbiamo fucilati cento uno dopo l'altro» racconta l'aguzzino pentito. Nella scelta delle vittime non c'era grande logica. In genere coloro che per sesso ed età non sembravano suscettibili di trasformarsi in combattenti venivano caricati su camion e spediti al campo di Batkovic, presso Bijeljina, un centinaio di km più a Nord. Qui i prigionieri venivano scambiati, tramite la Croce Rossa, con serbi catturati dai musulmani in altre zone del Paese. Ma a volte le donne e persino i bambini venivano ammazzati, e viceversa giovani in piena salute erano aggregati ai gruppi per lo scambio. Non sono stati fortunati i figli di Hiba Mehmedovic, una vedo¬ va di 50 anni i cui due ragazzi furono presi dai serbi il 31 maggio del '92. «Dove li portate?» chiese ai miliziani, che le risposero di stare tranquilla perché dopo un controllo i due sarebbero stati rilasciati. Invece la donna non li ha più visti. Sono fra i molti di cui Pero Popovic ricorda con precisione la sorte: «Li hanno uccisi qualche giorno dopo con un colpo alla nuca». Dice comunque di non essere stato lui, così come non si confessa personalmente responsabile di alcun'altra uccisione. Il tribunale dell'Aia raccomanda Pero per la concessione dell'asilo politico. Oltre ai racconti di atrocità ha fornito un importantissima informazione riguardo al diretto convolgimento dell'esercito jugoslavo nello sterminio: ad organizzare il campo di Susica, riferisce, è stata un'unità regolare di stanza a Novi Sad, e il comandante del lager era un colonnello dell'armata di Belgrado di nome Mile Jacimov. Era, perché adesso il campo di Susica è chiuso. Spariti i musulmani, a Vlasenica la pulizia etnica è completa. Luigi Grassia { Uno dei lager serbi: spesso sono diventati teatro di orrori

Persone citate: La Terra, Mile Jacimov, Pero Popovic

Luoghi citati: Belgrado, Bosnia, Jugoslavia, Susica, Vlasenica