Craxi condannato senza attenuanti di Susanna Marzolla
Conto Protezione, stessa sentenza per il «delfino» Martelli, ex ministro della Giustizia Conto Protezione, stessa sentenza per il «delfino» Martelli, ex ministro della Giustizia Craxi condannato senza attenuanti Otto anni e sei mesi di carcere cinque imputati, fa un risarcimento di 700 milioni a testa. La sentenza è stata pronunciata dopo sei ore di camera di consiglio ed è stata letta dal presidente Piero Gamacchio, magistrato che ben conosce l'intera storia (era giudice a latere al processo Ambrosiano). Ricalca in buona misura quelle che erano le richieste del pubblico ministero, Giuseppe d'Amico: undici anni per Craxi, dieci per Martelli, sette per gli altri tre imputati. «Le mie tesi sono state accolte - commenta il pm - la pena è stata graduata in modo diverso; dovrò esaminare la sentenza per capire se proporre l'appello». Al contrario di D'Amico, gli avvocati sono invece ben decisi: tutti ricorreranno in appello; tutti protestano per la sentenza. «E' stato un processo politico», commenta l'avvocato Michele Saponara che, benché sia stato nominato d'ufficio, ha preso ac molto a cuore le parti di Bettino Craxi. «E' un uomo malato», sostiene. E giovedì, durante l'arringa, aveva mostrato le foto di Bettino con la maschera d'ossigeno protestando, con tono accorato, contro chi aveva «insinuato» che fosse «un'immagine concordata». Il tribunale, pur restando al di sotto delle richieste del pm, non ha comunque accettato la tesi difensiva, secondo cui quei sette milioni di dollari, versati sul conto Protezione, altro non erano che «uno spontaneo contributo» di Roberto Calvi. Una «semplice» violazione della legge sul finanziamento ai partiti, avvenuta tredici anni fa e pertanto ormai prescritta. Parimenti non ha accettato la ricostruzione di Claudio Martelli, di essersi cioè «limitato a prendere un appunto, sotto dettatura di Craxi, per passarlo ad Antonio Natali» (il defunto ex presidente della Mm, nonché «Il presidente ha annunci ancor prima di essere assegnato al mio processo» Gelli: uno scempio, i miei avvocati hanno pianto stato nominato, che avrebbe presieduto il tribunale di questo processo. E, quando il processo non era ancora iniziato, che avrebbe inflitto una dura condanna. Di fronte al modo singolare e irregolare in cui si svolgeva il processo avevo provveduto perciò a testimoniare di questo episodio dispo¬ co di avvertimento» firmato da un fantomatico Ordine nero hitleriano Il giudice legge la sentenza per il «Conto protezione» Cinque anni e mezzo a Silvano Larini Sei e mezzo all'ex «venerabile» della P2 Sette a Di Donna Dovranno risarcire 700 milioni a testa L'ex segretario del psi Bettino Craxi con Claudio Martelli cassiere delle finanze occulte del psi). L'uguaglianza della pena fa ritenere che, per il tribunale, Craxi e Martelli abbiano identica responsabilità. E ha sicuramente pesato, per entrambi, l'aver nascosto per tanti anni la verità, loro che hanno avuto responsabilità di governo. Una verità emersa soltanto nel febbraio del '93 quando Larini (latitante da nove mesi per l'inchiesta sulle tangenti) torna e, tra le cose che confessa, c'è anche il conto Protezione: «E' mio, ma i soldi erano per il psi», dice. Una confessione su cui ha molto insistito, a suo favore, l'avvocato Corso Bovio. Ma era stato Florio Fiorini, ex direttore finanziario dell'Eni (e braccio destro di Di Donna) a parlare per primo da un carcere svizzero; a svelare a chiare lettere quello che si sussurrava da tempo ma non si era mai riusciti a provare. Che cioè Roberto Calvi, angosciosamente alla ricerca di liquidi per tappare le falle della sua banca in rovina, aveva chiesto un prestito (50 milioni di dollari) all'Eni; e per ottenerlo aveva versato sette milioni di dollari a Craxi, affinchè «convincesse» di Donna. E nell'ombra c'era, come sempre nelle vi¬ cende dell'Ambrosiano, la P2 di Licio Gelli. Ostacoli alla verità che si sono trascinati ancora nel processo. E Craxi ha fatto di tutto per evitare che si arrivasse alla sentenza. Ha cercato di impedire che cominciasse il processo; poi, quando ha visto che invece andava avanti in modo «eccezionalmente rapido» (la definizione è sua) ha interrotto a metà la requisitoria, ricusando gli avvocati. Ma il tribunale è andato avanti e, «in nome del popolo italiano», lo ha condannato. Susanna Marzolla
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