la lunga notte delle nomine Iri

la lunga notte delle nomine Iri la lunga notte delle nomine Iri Dietro la girandola di candidati la mano di Capaldo IL CENCELLI DELLA SECONDA REPUBBLICA A cusa l'è l'effetto Dresda?!»: non possiamo diIre, in tutta coscienza, di aver sentito con le nostre orecchie questo disperato interrogativo uscire dalle labbra del leader leghista, ma non dubitiamo che quando qualcuno ha tentato di buttare sulle strategie la sanguinosa sagra notturna della spartizione dell'Iri, Umberto Bossi abbia manifestato qualche vertigine. A lui, in quel momento, interessava soprattutto stroncare definitivamente quel Salvatore Mancuso dell'Iritecna, in quota An, ma portato avanti dal clan del sottosegretario ai Trasporti, tale Miccicchè, e soprattutto del suo sponsor Marcello Dell'Utri. Quel Mancuso che, tra l'altro, mantenendo il ruolo di liquidatore dell'ex Italstat, avrebbe incassato professionalmente qualche miliardo. Ma come, gli uomini Fininvest, data la situazione di spappolamento politico-giudiziario, andrebbero fatti sparire anche dal governo e noi li sparpagliamo in giro dappertutto come se niente fosse? Lo stesso concetto che è costato il posto all'In a quello Spingardi, ex capo del personale del gruppo berlusconiano, persona di grandi qualità, pronta a immolarsi nell'impresa pubblica, ma stoppato senza scampo dalla crisi d'immagine. E quel Floriano d'Alessandro, esperto in fallimenti, da dov'è spuntato, se Pagliarini e Gnutti non l'hanno trovato neanche sulla Guida Monaci? Era pullulalo dall'inesauribile genialità del professor Pellegrino Capaldo. Gnutti e Pagliarini - figurarsi Bossi - ignoravano bellamente chi fosse il professor Capaldo: non sapevano dei suoi intimi rapporti Oltretevere, come si diceva una volta per intendere il Vaticano, né del suo sodalizio con Ciriaco De Mita al massimo del suo splendore. Hanno scoperto martedì notte che anche nella Seconda Repubblica su certe cose non si muove foglia che Capaldo non voglia. Erano passate le due di notte quando il ministro del Tesoro Lamberto Dini, ormai alla disperazione, si senti dire al telefono da Michele Tedeschi che due cose occorrevano perché lui accettasse di trasferirsi dalla Stet all'Iri: i pieni poteri e il viatico del professor Capaldo. Gnutti, Pagliarini e lo stesso Bossi si devono esser chiesti come mai un uomo così potente nella Prima Repubblica sia tanto ascoltato anche nell'abbozzo un po' pasticciato della Seconda. E qualcuno deve aver loro parlato dell'Opus Dei, quella prelatura cattolica che qualche maligno definisce la P2 dei cattolici. Ma, credeteci, li hanno depistati: intanto sappiamo per certo che il nuovo presidente dell'Iri Michele Tedeschi non fa parte dell'Opus Dei, ce lo ha scritto e firmato lui personalmente non più di tre anni fa e gli crediamo. Ciò non significa che egli non sia un fervente cattolico e che magari non abbia simpatia per i Legionari di Cristo; ma questo non c'entra con il rapporto con il professor Capaldo, anche lui cattolicissimo, e soprattutto presidente della Banca di Roma, l'istituto bancario che più ha creduto, nel momento della crisi, alla solidità e alla solvibilità del gruppo Fininvest. Non si sa quanti denari il gruppo bancario romano abbia anticipato alle società di proprietà del presidente del Consiglio, ma sicuramente si tratta di cifre che consentono un dialogo agevole. Se si dovesse stare all'orrido lessico romano si dovrebbe dire - ci garantisce il presidente di una società dell'Iri - «che li tengono per i c...» Riverso, dell'Alitalia, sgradito a Berlusconi in persona; Rastelli troppo ambizioso, voleva tutti i poteri, mentre si progettava un presidente «di campanello», cioè pronto agli ordini dell'autorità operativa; Micheli, l'interno dell'Iri, lì pronto a bruciare soluzioni sgradite. Diciamolo, un vero inferno. Com'è difficile - si sarà detto qualche riciclato del Ccd, come il buon Casini - fare le nomine senza l'ausilio dell'aureo manuale Cencelli. Alla fine il modulo è uscito così: 2, 1, 1, 1, due di Fini, uno di Forza Italia, uno del Ccd, uno della Lega (Zanelli, amico di Pagliarini), più Draghi senza insegne, e Tedeschi, il presidente, che le sue insegne le mostrerà nelle prossime settimane. Già incalza la seconda mandata: chi andrà alla Stet, al posto di Tede¬ schi? Forse quel Valori della Sme, estimatore antico di Gelli, che ha la fissa di insinuarsi presso i dittatori di tutto l'orbe terracqueo, ultimo Kim II Sung (di cui ha presenziato il funerale) dopo la morte di Ceausescu? Boh. Non lo sa Bossi, non lo sa Fini, lo ignora forse Berlusconi, mentre sì affannano, tra cene di famiglia e di ex compagni di scuola, i loro portaborse autentici o autoinvestiti. Chissà - scusate il dubbio che poi non fosse meglio la rigida quota dell'orrida partitocrazia, piuttosto che (ricordate Sordi?) i compagnucci della parrocchietta. Noi, purtroppo, non disponiamo di sondaggi in diretta, ma immaginiamo che agli italiani interessi sapere cosa capiterà all'Iri con la presidenza Tedeschi, cattolico, interno, con la testa sulle spalle, ma - ci perdonerà - un po' grigio. Resterà tutto come adesso, con un bel blocco di boiardi che prima di muovere un dito chiederanno il permesso a Bernabei (antico e mitico direttore generale della Rai, oltreché uomo pio, amato dalle alte gerarchie ecclesiastiche)? Si privatizzerà tutto. vendendo al miglior offerente, come vagheggiano Gnutti, Pagliarini e Bossi? O forse qualcuno rilancerà l'ipotesi di un nuovo ruolo strategico dell'Iri, quel discorso difficile archiviato nella famosa notte dei lunghi coltelli, che Bossi e Berlusconi faticavano un po' a capire? Dresda, sì Dresda richiama il fuoco, il fuoco degli investimenti concentrato su un progetto. Ma quale progetto? Sembra che l'unico in circolazione - buono o cattivo - sia attribuibile all'attuale presidente delle Ferrovie dello Stato, Lorenzo Necci, che però, se glielo chiedete, smentisce sdegnosamente. Un Iri polo dei servizi, ente delle grandi infrastrutture: ferrovie, autostrade, autostrade telematiche, impianti televisivi. Un Iri salvato dai 100 mila miliardi di patrimonio delle Ferrovie. Non la vecchia logica degli omini: questo a me quello a Bossi e l'altro a Dell'Utri. Ma il discorso non è facile, meglio forse l'Italia semplice dei boiardi e dei boiardini. Cusa l'è l'effetto Dresda? Alberto Staterà Per l'istituto grandi progetti o un'epoca di nuovi boiardi? Il presidente dell'Iri Michele Tedeschi. Sotto Pellegrino Capaldo e Bossi

Luoghi citati: Dresda, Italia