«Non trattiamo una resa»

«Non truffiamo una resa» «Non truffiamo una resa» Isuoi legali: lo dice il codice se parla deve tornare a casa MILANO DAL NOSTRO INVIATO La missione dei legali di Paolo Berlusconi è stata dichiarata ufficialmente fallita alle 20,30, minuto più, minuto meno. «Ognuno va per la sua strada», sospirano Vittorio Virga, Oreste Dominioni e Edda Gandossi. E tirano via alla veloce, perché ormai anche l'ultimo tentativo di questa due giorni continua di trattativa con la Procura è andata a monte, e ora c'è solo da aspettare. Nemmeno 15 minuti è durato il colloquio con Di Pietro. E per arrivare a quel faccia a faccia ci hanno messo ore e ore di telefonate, di avanti e indietro nel corridoio dei passi perduti, altro che Montecitorio: quarto piano della procura della Repubblica, 250 passi avanti e altri 250 indietro, a staffetta tra l'ufficio di Di Pietro, e quello del procuratore Borrelli, che intorno alle 13 mette la testa fuori della porta, smentisce le voci «romane» di un avviso di garanzia a Silvio Berlusconi per favoreggiamento («E' il solito ballon d'essai»), e saluta tutti. Per i legali di fiducia di Paolo Berlusconi, la prima mossa della giornata di ieri è stata facile: neanche una parola con i giornalisti, e telefonini cellulari rigorosamente staccati. Dominioni? Irreperibile. Virga? Boh, qualcuno l'ha intravisto in Procura, «e poi è sparito nel nulla». Diavoli di avvocati, che conoscono tutti i passaggi segreti per arrivare all'ufficio fatale, stanza numero 74, sostituto procuratore Di Pietro. Ma forse non era Virga, perché lo danno per certo a Roma, partito e tornato in aereo per un blitz, un vertice, un summit, in chissà quale palazzo. Per poi tornare come un falco a Milano. Alle 18, comunque sia andata la sua giornata, il penalista con baffi e capelli da Asterix si materializza, prima via telefonino, poi in carne, ossa, e scandisce: «Non sono qua per trattare una resa». E forse resa non sarà, ma la trattativa, ieri, è andata avanti ad oltranza. «Non è una trattativa, si tratta di applicare il codice di procedura penale. Se una persona disposta ad essere interrogata per ammettere e spiegare le contestazioni che gli vengono sollevate, deve poi andare in carcere, questo vuol dire che aveva ragione Biondi quando ha fatto il decreto». Dieci minuti più tardi, entra nella stanza 74. Ne esce dopo cinque minuti di orologio. Tranquillo, avvisa: «Torno tra mezz'ora. Ci sarà un secondo tempo». Vabbè, avvocato, ma che sta succedendo? «Paolo Berlusconi è disponibile ad essere interrogato. Se mi danno un'ora posso rintracciarlo». Poi sparisce di nuovo. Alle 18 e trentacinque esce Di Pietro. «'Mbè, che fate qua?», chiede ai cronisti habitué di Mani pulite. Neanche il tempo di rispondregli che si sta lì a prendere il fresco, che lui afferra al volo uno della scorta, «la macchina, veloce», e se ne va. Dove? Ma da Paolo Berlusconi, naturalmente... Invece no. Diciotto e 40: questa volta Virga risponde al telefono. «Ah, se ne è andato via? Eppure abbiamo un appuntamento qui, tra poco». Vero, perché Di Pietro si è fiondato a San Vittore, per interrogare il manager D'Alessandro, dare parere favorevole alla scarcerazione, e tornare. E si arriva alle 19,40. Sale in avanscoperta al quarto piano l'avvocato Edda Gandossi, studio Dominioni, in abito bianco a spacchi, pimpante e allegra, tanto per vedere che aria tira. Alle 20 salgono Dominioni e Virga, più tirati e stropicciati della loro collega. La porta si chiude. Se stanno dentro più di mezz'ora, si può sperare in bene, per la sorte del loro assistito. Ma la porta si apre dopo neanche 10 minuti. E allora, avvocati? Dominioni: «Confidiamo che sia prossimo lo sblocco». Virga: «Non è cambiato nulla. Non c'è nulla di concordato. Quello che succederà si vedrà quando Berlusconi verrà qui a Palazzo di giustizia. Per questa sera, qui non succede nulla». Brunella Giovara Antonio Di Pietro

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