Com'erano belli i vecchi congressi dc

Com'erano belli i vecchi congressi de Com'erano belli i vecchi congressi de Tra risse e manovre, il sottile gioco delle tessere . . . ■ DA ZACC AGNINI A MARTINAZZOLI PROMA REMESSA: l'anno scorso, già, eravamo in pochi. Loro, i democristiani postdc, che non sapevano che faccia fare di fronte al primo vero tentativo di rinnovamento dopo tante «finte» accumulate in decenni. E noi, i cronisti superstiti della compagnia di giro, incaricata di seguire ogni piccola piega della de. Nell'afa del tardo luglio romano, ci guardavamo, noi e loro, misurando le assenze, rilevanti, nei due campi. Sul palco, per la prima volta, non sedeva nessuno dei vecchi capi de, tranne Martinazzoli, e spiccavano tutti gli esponenti del mondo cattolico: i Cananzi, i Bianchi, i Monticone richiamati in servizio già altre volte per rilegittimare la vecchia de. Nella piccola sala del Palazzo dei Congressi - una ridotta rispetto alla tradizione dei grandi riti di massa del Palaeur, niente rispetto all'hotel Ergife che ospiterà da oggi in una sala il congresso dei popolari, e nell'altra quello dei radicali -, il morale era basso, il clima non certo allegro. E nell'aria, come un presagio, la sconfitta annunciata alla prossima prova elettorale rimbalzava di nascosto nelle chiacchiere di corridoio dei pochi veri democristiani presenti. Mentre agli altri, un migliaio, un pubblico di facce insolite, eppure familiari - quella che in altri tempi era la tribuna degli intellettuali - uno storico cattolico, il professor Balboni, impartiva una noiosissima lezione sull'ineluttabilità dell'avvento, o del ritorno, del partito popolare al posto della democrazia cristiana, e sulla necessità di dotarlo di un complicato sistema di regole, per evitare il ripetersi dei vecchi vizi de. Ma anche in tribuna stampa, non tirava un buon vento. Una volta il congresso democristiano era l'appuntamento più atteso per tutto il giornalismo politico, nazionale e non. I preparativi cominciavano mesi prima, o anni prima, seguendo l'irregolare regola dei rinvìi de. La vigilia delle assise - beninteso, non proprio gli adempimenti precongressuali, previsti nelle ultime tre settimane - era spesa in quel complicato meccanismo, di composizione e scomposizione delle correnti, che dopo le brevi vacanze d'agosto (in genere successive alle crisi di governo) animavano i grandi autunni democristiani. A Chianciano (la sinistra), a Sirmione (i forlaniani), a Padova (i gavianei), e prim'ancora a Montecatini, San Pellegrino o a Saint Vincent (dorotei, morotei e Forze nuove) ponevano le basi di alleanze che difficilmente avrebbero resistito fino al congresso. Era questa la parte più appassionante dei giochi interni de: che dopo aver promesso di ritirarsi e sciogliere le proprie truppe, i capicorrcnte al congresso tornavano a scontrarsi poggio di prima. Una sera, a Chianciano, a un tavolo di ristorante, un giovane cronista alle prime armi stupì così gli altri commensali: «Questi democristiani si combattono, si odiano, usano colpi bassi. Spiegatemi perchè non si ammazzano». Fu buon per lui che colleghi un po' più grandi e più conoscitori della de non gli prestassero attenzione. Perchè la cosa più sciocca, per un vero leader de, sarebbe stato uccidere il suo avversario. A parte alcuni casi particolari - e verrebbe da dire, a parte Moro - il veleno destinato al nemico nel codice di guerra de doveva essere inoculato a poco a poco. Lo strumento erano le cifre: numeri, percentuali, scomposizioni periferiche sommate a quozienti nazionali che al congresso - d'incanto! - si traducevano in misure del potere. E va da sè che la prima rissa pre-congressuale, o 1 ultima della vigilia, si accendeva al momento di dividere la torta delle tessere. Una divisione sulla carta, o come si diceva, a tavolino. Una vera jattura per chi doveva compilare il tabellino dei pesi interni delle diverse componenti de. Nel pomeriggio di attesa, in genere, il più lesto a telefonare nelle redazioni dei giornali era Ignazio Contu, ancora oggi portavoce di Fanfani. Cominciava solennemente: «Il Presidente mi raccomanda di farti presente che le cifre diffuse dai suoi avversari sono ben lontane dalla realtà dei fatti. 1 fanfaniani nei congressi regionali sono andati benissimo...». Per la verità, dopo gli anni d'oro della prima e della seconda primavera fanfaniana, gli uomini del Professore, di diaspora in diaspora, alla fine si erano ridotti male. I borsini più accreditati li davano sul due-tre per cento. Contu lasciava inten- dere che si sarebbero accontentati del cinque. Il guaio era che alla fine, tra arrotondamenti, sottrazioni e aggiunti la somma finale delle correnti non riusciva mai a rientrare nel cento per cento. Parliamo, ovviamente, degli ultimi anni di vita della de. Quelli del monolito demitiano, eroso a poco a poco dalle liti con Andreotti e dalla diffidenza di Gava, e dell'ultima segreteria forlaniana, una stagione di svagata deca¬ denza simile a quelle lente rovine di certe nobili famiglie meridionali. Che negli anni d'oro, l'epopea centrista del partito-Stato o del famigerato boom del centrosinistra, la composizione del pacchetto di controllo della ditta de non era tanto facile conoscerla. Dei congressi di Napoli o Firenze, della deposizione di De Gasperi o dell'avvento di Fanfani e di Moro alla segreteria de, resta infatti un'immagine oleografica, di confronto ideale, di discorsi lunghi non meno di quattro ore, di documenti emendati o infarciti di frasi e spostamenti millimetrici. Per arrivare a conoscere il vero corridoio democristiano bisogna andare a tempi più recenti. Intendiamoci: non è che la de fino a un certo punto fosse tutta politica, e da quel punto in poi, invece, solo risse e manovre. L'incredibile, anzi, era che una macchina così complessa fosse in grado insieme di svolgere la sua linea, governare producendo, sia pure a fasi alterne, un accettabile grado di stabilità, e perfino prepararsi una politica di ricambio. Come questo avvenisse, all'inizio, si poteva intuire, ricostruire, sceneggiare. E da un certo momento si potè anche guardare. La data convenzionale di partenza dell'era nuova è fissata in un articolo di Giampaolo Pansa, la cronaca di una riunione del consiglio nazionale alla fine della seconda segreteria Fanfani - un appuntamento, come sempre, pre o post-congressuale - in cui gli autisti democristiani, stanchi delle interminabili manovre dei loro capi cominciarono a protestare coi clackson delle berline. Era un segno di decadenza. E per molti cronisti, l'occasione per cominciare a raccontare la de dietro le quinte. Così, la mattina del congresso, in fila per ottenere il «passi» regolare si mettevano gli stranieri, e poi i più anziani, i più seri, quella strana razza di studiosi della de che in Italia somigliavano ai cremlinologi. Gli altri, approfittando di un portaborse di una delle tanti correnti democristiane, si procuravano i falsi distintivi della direzione, dell'organizzazione, della «stampa de» e perfino della sicurezza. Il servizio d'ordine reggeva sì e no la prima ora, poi il congresso si apriva e sul palco della nomenklatura si poteva salire, parlare e sedersi vicino ai capi del partito. La de non ha mai fatto molto caso al suo «look». Un fascione azzurro, un grande scudocrociato, la solita galleria di manifesti del '48 nel parterre. Nell'era della politica-spettacolo, quando Craxi edificava templi e piramidi per le sue apparizioni, fu costretta suo malgrado ad adattarsi alla moda dei maxi-schermi, alle luci intermittenti, ai laser da discoteca. L'ultima volta, al congresso che doveva servire a deporre De Mita, si affidarono a David Zard, un impresario di concerti rock. E il reperto di quelle assise, uno scudo crociato elettronico.multicolore, quasi psichedelico, campeggia ancora nella sala deserta della direzione a Piazza del Gesù. Ma non l'ha più acceso nessuno. Perchè il vero spettacolo dei congressi democristiani non era la tribuna, dove i leader si avvicendavano per dovere, con discorsi raramente interessanti, spesso fumosi e sempre contrari dalle loro intenzioni; l'attrazione, invece, era il popolo de. Si scoprì tutt'insieme nell'80, al congresso del «preambolo» voluto da Donat Cattin per defenestrare Zaccagnini. Per completare la manovra che doveva emarginare l'«onesto Zac», fu deciso di sottrarre al congresso l'elezione del segretario e riportarla in consiglio nazionale. Ma: «Ladri, buffoni, profittatori», si levarono in coro delegati, pubblico e occasionali frequentatori del congresso, mentre Gerardo Bianco, già capogruppo alla Camera, faceva a botte con un dirigente calabrese, altri davano del somaro a Bisaglia, a Piccoli dello «sce-mo», e alla porta due parlamentari di cui non si seppe mai il nome, ebbero sequestrate le pistole. Guido Gonella, uno dei vecchi ex segretari degli anni cinquanta, faticò non poco a sedare il tumulto: «A casa, fuori, a mangiare, andate a mangiare che vi abbiamo pagato anche il cognac!», si mise a urlare dalla tribuna. Salvo poi a spiegare candidamente che i democristiani facevano così tutte le volte: «Nel '46, mi ricordo un parapiglia tra de monarchici e de repubblicani». Di tumulti del genere si può dire che la storia congressuale de è praticamente lastricata. Fischi a Fanfani nell'82 (elezione di De Mita), sedati così dal Professore: «Se avessi avuto paura dei fischi, oggi voi non sareste qui». Insolenze a Zaccagnini, riapparso con la nostalgia del «compromesso storico», al congresso dell'84. E liquidato subito dai fedeli di Donat Cattin: «Questa non è politica, è romanticismo». «Ladri, mafiosi imbroglioni» e altri epiteti del genere, rivolti nell'86 allo stato maggiore della sinistra de che stringeva alleanza in un'unica lista interna col vecchio corpaccione doroteo. Ai ribelli, quella volta, una via d'uscita la offrì Evangelisti. Mentre De Mita, dalla tribuna, magnificava la fine delle correnti, il vecchio braccio destro di Andreotti rianimava la sua, offrendo «asilo politico» ai nemici del «listone». A quel punto, anche se nessuno se ne era ancora accorto, la de era già in avanzato declino. Al congresso dell'89, quello della deposizione di De Mita, era già stato tutto deciso da mesi. Il loro accordo, i capicorrente, lontani ormai dai conventi e dai vecchi appuntamenti termali, lo avevano siglato al mare, in Sardegna, sulla spiaggia di Liscia Ruja a) loro primo congresso balneare. De Mita e i suoi nuotavano non distanti, a Stintino. Ma nessuno li avvertì. Marcello Sorgi Quando gli autisti stanchi delle trattative interminabili protestavano a colpi di clacson Un cronista: «Questi de si odiano, si combattono a colpi bassi Mi chiedo perché non si uccidono» ■ nti ,<H Sopra: scenografia di un congresso de A sinistra: «fans» di De Mita neosegretano del partito A destra: abbraccio fra Andreotti e Forlani A sinistra: Flaminio Piccoli, Ciriaco De Mita e Amintore Fanfani che alza le mani in segno di vittoria Qui accanto: Carlo Donat-Cattin e Benigno Zaccagnini

Luoghi citati: Chianciano, Firenze, Italia, Montecatini, Napoli, Padova, Saint Vincent, Sardegna, Sirmione, Stintino