«Venga nel mio ufficio» E Totò corrompe Fabrizi

«Venga nel mio uffizio» E Totò corrompe Fabrizi «Venga nel mio uffizio» E Totò corrompe Fabrizi J LE MAZZETTE AL CINEMA LEI mi dice: devi cacciare questo. E io lo caccio...». «Maresciallo, la prego passarsi una mano sulla coscienza». «La fattura? Venga nel mio uffizio. Se non la trovo, pazienza. Vorrà dire che trovo qualche cosa che la fa contenta lo stesso...». «Ha mai provato queste supposte per il raffreddore? Prenda maresciallo, prenda pure senza complimenti...». «Ogni uomo è onesto pubblicamente. Ma in privato bisogna procedere per sondaggi...». I rapporti di ordinaria corruzione tra un imprenditore e un finanziere possono anche far ridere, a patto che il concupito abbia la facciona pasciuta di Aldo Fabrizi e il corruttore la maschera inconfondibile di Totò. La storia la raccontava 35 anni fa il regista Steno, nel film I tartassati. Un'Italia diversa: dove le diecimila lire erano grandi come lenzuola e i sogni piccoli come la Vespa, il frigorifero o il televisore. Un'Italia dove le tasse da evadere (o da pagare) avevano nomi da archeologia del fisco, parole ormai estinte come «Ige» o «ricchezza mobile». Dove, soprattutto, i finanzieri erano incorruttibili al punto da non lasciarsi offrire neppure un caffè o una telefonata a casa. Il film comincia così, con una dichiarazione che potrebbe essere portata pari pari alle cronache di oggi: «L'Italia è il Paese del sole, dei monumenti e dei palazzi, in ogni città c'è qualche palazzo famoso, che i turisti da ogni parte del mondo vengono a vedere. Ma in ogni città c'è anche un palazzo che nessuno vorrebbe vedere: il palazzo delle tasse». Anche la storia e i personaggi sono senza tempo: il cavalier Pezzella (Totò), commerciante in vestiti, cerca con la complicità del consulente fiscale Curto (Louis De Funès) di «convincere» il maresciallo Topponi (Fabrizi) a chiudere un occhio su una evasione fiscale da 15 milioni. Persino i dialoghi potrebbero essere stati scritti ieri. Ad esempio quando il negoziante e il maresciallo discutono di politica: «Lei mi ricorda i tempi della buonanima...», dice Fabrizi. «Quelli sì che erano tempi, caro maresciallo: tempi che non tornano più...». «Quali tempi, scusi?». «Maresciallo, siamo uomini o bambini? I tempi che: "Italianiii!"». «Vuole spiegarsi meglio? Non ho afferrato...». «Ha afferrato, ha afferrato. Maresciallo, lei è nostalgico. Nostalgico come me». «Guardi che lei si sbaglia. Io intendevo la buonanima di mia nonna». «Allora lei è "anti". Anti come me. Ho detto nostalgico? Mi è scappato...». «Ma lei come la pensa?». «O bella, io la penso come la pensa lei. E poi è ora di finirla: siamo o non siamo tutti italiani?». L'aspirante corruttore gioca tutte le sue carte: comincia con un invito a pranzo che si infrange contro un gelido «Mi creda, non è il caso». Poi viene a sapere che la moglie del finanziere va pazza per un nuovo elettrodomestico chiamato tv. «E allora compriamogli un televisore. Da quindici, trenta quaranta pollici. Compriamogli tutti i pollici che esistono». Si informa sui gusti della signora e le manda un buono sconto del 75 per cento sui suoi vestiti. Salvo poi essere costretto dall'inflessibile maresciallo ad estendere i saldi all'intera clientela. Le regala persino un enorme frigorifero, prima di accorgersi di aver sbagliato indirizzo e di aver foraggiato un'ignara parente del finanziere. Alla fine, prima di pentirsi, Totò ricorre perfino alla rapina, rubando al povero Fabrizi una borsa di documenti e portandolo sull'orlo del suicidio. In chiusura, dopo il lieto fine, i titoli di coda: «Fatti e personaggi del film», naturalmente, «sono immaginari». Guido Tiberga Totò e Aldo Fabrizi protagonisti del film «I tartassati» di Steno (1959)

Luoghi citati: Italia