Babel', brucia la memoria dell'Armata a cavallo

La vedova accusa: la Russia ignora il suo centenario La vedova accusa: la Russia ignora il suo centenario Babel', brucia la memoria dell'Armata a cavallo MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Neanche un libro, qualche articolo di giornale, una piccola mostra al museo della letteratura e un convegno mal riuscito perché non c'erano soldi per invitare gli studiosi occidentali. Nella Russia di oggi, dove la presa del potere dei bolscevichi non si chiama più «rivoluzione» ma «colpo di Stato», è difficile celebrare i cent'anni dalla nascita di Isaak Babel'. Troppo complicato maneggiare la memoria dell'autore dell'Armata a cavallo, cantore della rivoluzione, ma anche disvelatore delle sue atrocità, celebratore di Stalin («...guardate come forgia il suo discorso, come sono piene di muscoli le sue parole!») e vittima dello stalinismo, fronteggiato con l'ironia: «Sì, ero amico dello scrittore francese Malraux, dunque ero una spia...». Quando l'hanno messo dentro non ha chiesto pietà e nemmeno fatto autocritica. Ha domandato solo di poter finire il suo libro. Antonina Nikolaevna Pirozhkova, vedova di Isaak Babel', è una bella signora di 86 anni. Ci riceve nella sua piccola casa di Mosca, 110 piano di un casermone anonimo, grigio, modestissimo. Ha una camicia di seta bianca, un sorriso amaro, gli occhi luminosi, tre dalie rosse sul tavolino rotondo del salotto dove c'è appoggiato il manoscritto delle sue memorie, pubblicate in Germania. Ci mostra la lettera di un editore italiano che le chiede i diritti di pubblicazione. Nessun editore russo ha fatto altrettanto. La vecchia editrice della Pravda, «Pressa», ha il manoscritto, ma le hanno detto che non ci sono soldi, pubblicano solo due libri l'anno e il suo è il 35° della lista. Antonina Nikolaevna non sa dov'è sepolto suo marito, non ha riavuto le carte sequestrate al momento dell'arresto il cui destino è tuttora circondato da un mistero che nemmeno il Kgb «riformato» ha saputo dissipare. Tutto ciò che le resta di quel genio spigoloso di Isaak l'ha messo in mostra al piccolissimo museo letterario. Signora Babel', lei pensa che la memoria di suo marito sia ancora imbarazzante per il potere in Russia? «Non so rispondere a questa domanda, anche se è chiaro che c'è più interesse per Babel' in Germania, Canada, Francia o Stati Uniti, dove all'Università di Yale stanno preparando una nuova edizione delle sue opere, di quanta ce ne sia in Russia». Perché? «Forse perché leggendo L'Armata a cavallo, ma soprattutto il suo diario, si capiscono le fonti di tutte le disgrazie russe». Cioè? «Si vede da dove veniva la gente che ci ha governato. Non intendo dire i singoli, personalmente, ma il ceto che si è impossessato del Paese, cioè quelli che avevano combattuto e comandato nella guerra civile. E questi personaggi, come Babel' ci ha raccontato, partivano da casa per andare a combattere portandosi dietro un carro». E a cosa serviva? «A raccogliere il bottino, tutto ciò che riuscivano a rubare. La verità è questa: la maggioranza ha fatto la guerra civile per arricchirsi, non avevano alcun principio morale. Dopodiché si sono impossessati dello Stato e dell'economia, distruggendola». Cosa c'è ancora da scoprire dell'opera di suo marito? «Mancano le carte sequestrate al momento dell'arresto. La vicenda è molto strana perché nonostante la pignoleria conservativa del Kgb non s'è trovato nulla, né le carte, né un documento che certifichi la loro distruzione. Io spero ancora che si trovino, forse dall'archivio presidenziale, perché immagino che Stalin le abbia volute leggere». In quelle carte potrebbero esserci nuovi racconti? «Babel' voleva portare il numero dei racconti dell'armata a cavallo da 36 a 50. Ma sono importanti anche gli appunti. Pensi al diario che abbiamo decifrato recentemente. E' stato pubblicato tre anni fa qui in Russia e sui giornali non c'è stata nemmeno una recensione. In Germania ne hanno fatto una bellissima edizione ed è stato un caso letterario. Si tratta di appunti scritti anche durante le battaglie, al buio, a cavallo, con il quaderno appoggiato sulle gambe, si parla di saccheggi, delle violenze contro la popolazione ebrea». Possono essere state queste carte a condannarlo? «La sorte di mio marito è stata uguale a quella di tanti altri. Stalin non poteva sopportare nessuno che fosse fuori dell'ordinario. Certo Babel' era un uomo eccezionale, intelligente, ironico, moralmente indisponibile ai compromessi. Dunque pericoloso. Era buono, perdeva tanto tempo ad aiutare amici, parenti, ma anche sconosciuti». Si dice che gli piacesse molto scherzare. E' vero? «Sì, gli piaceva camuffarsi e poi osservare le reazioni della gente. Si fingeva zoppo, tirchio, geloso. Capitava che durante una passeggiata cominciava a zoppicare: la gente lo guardava e io morivo dalle risate. Quando faceva il tirchio non prendeva il biglietto del tram e mi costringeva a saltare giù appena spuntava il controllore». Di cosa è stato accusato? «Di spionaggio a favore dei francesi perché era amico di Malraux; di contatti con gli stranieri perché era transitato da un appartamento abitato da un rappresentante commerciale austriaco. E poi forse di aver frequentato il salotto letterario della moglie di Ezhov, il capo della polizia politica prima di Beria, anche lui finito nel gorgo della repressione di Stalin. Erano amici fin da prima che io lo conoscessi». Come fu arrestato Babel'? «Fu nel '39, quando ormai pensava che la tempesta fosse passata. Ebbe molta paura due anni prima quando morì Gorki, che fu il suo scopritore e il suo amico. Invece una notte, alle 5, vennero due agenti a casa, a Mosca. Babel' non c'era. Mi hanno fatta vestire e mi hanno chiesto di seguirli». E dove l'hanno portata? «A Peredelkino, in dacia, dove si trovava Babel'. Hanno fatto bussare a me. Facevano spesso così per evitare problemi al momento dell'arresto». E poi cos'è accaduto? «Ci hanno fatto salire e ci hanno portato alla Lubjanka. Nel cortile l'ho visto per l'ultima volta. Ci siamo abbracciati e lui mi ha detto: "Forse ci rivedremo". E poi: "Fai in modo che nostra figlia non faccia compassione". Io gli dissi che l'avrei aspettato e avrei fatto finta che lui fosse in vacanza, a Odessa. Poi è scomparso. Sono rimasta sola, ho chiesto all'agente che ci aveva accompagnato cosa dovevo fare. Mi ha detto: "Non abbiamo nulla da rimproverarle". E mi hanno riaccompagnata a casa». Lei lavorava? «Sì, sono ingegnere ed ero progettista della metropolitana. Tornata a casa, mentre loro perquisivano ogni cassetto, gli ho chiesto se potevo andare a lavorare. Mi hanno risposto: "Pagialsta", prego. Sono andata in ufficio. La sera, al rientro, sono crollata sul letto e ho cominciato a piangere». Non ha più visto Babel'? «Né visto, né sentito, né ho ricevuto da lui una sola riga. Per due anni, fino al '40, gli ho mandato 75 rubli al mese. Andavo in un ufficio sul Kuznetskij Most, vicino al Bolshoi, c'era uno sportellino, infilavo i soldi, non mi davano nemmeno una ricevuta. Poi mi hanno detto che il processo era finito e non c'era più bisogno di soldi. Non ho più saputo niente. Ogni tanto venivano degli sconosciuti a trovarmi: dicevano che erano appena usciti da questo o quel carcere, che avevano visto mio marito, che stava bene e aveva persino ripreso a scrivere. Una messinscena. Fino al '54, quando ho saputo che era morto. L'avevano fucilato quattordici anni prima, nel 1940». Cesare Martinetti «Ingannata per 15 anni: mifecero credere che era ancora vivo» DENTE e articoa mostra ura e un rché non e gli stuRussia di otere dei a più «riStato», è anni dal. Troppo a memota a caoluzione, delle sue i Stalin a il suo e di mutima delo con l'io scrittonque ero o dentro emmeno mandato libro. PirozhBabel', è La' ti.