L'irriducibile Sogno e i due antifascismi
«Ex comunisti esempio di democrazia» polemica. Rusconi incontra il partigiano anticomunista L'irriducibile Sogno e i due antifascismi (TORINO L comunismo è finito, il post-fascismo pretende e ottiene attenzione dalla I grande stampa, anche se i suoi argomenti non sono convincenti. L'antifascismo storico riacquista in prospettiva quel contrasto di motivi e di intenti, della cui rilevanza ci si era dimenticati. L'anticomunismo non suona più, neppure a sinistra, come delitto di lesa democrazia. Eppure rimangono forti i sospetti e gli imbarazzi verso quel tipo di antifascismo «antitotalitario» che storicamente si è espresso come «anticomunismo fondamentalista» - per dirla con un tipico rappresentante di questa posizione, Edgardo Sogno. Medaglia d'oro della Guerra di Liberazione, capo dell'organizzazione Franchi, monarchico, liberale e militante anticomunista, disposto nel dopoguerra a ricorrere a mezzi estremi nel caso in cui (a suo parere) fossero in pericolo le libertà fondamentali, Sogno è stato un protagonista, ora centrale ora eccentrico, di una lunga battaglia che ama definire «antitotalitaria». A metà degli Anni Settanta ha subito anche un procedimento giudiziario per cospirazione politica contro le istituzioni democratiche, da cui è uscito prosciolto. Ma la sinistra non ha mai lasciato cadere i suoi sospetti. Oggi, dopo la fine del comunismo, Sogno si aspetta che gli si dica: «Avevi ragione». Non a caso inizia la nostra conversazione precisando: «Non rivendico semplicemente la dignità e l'onore politico per ciò che ho fatto nella Resistenza. Rivendico la dignità e l'onore politico per cinquantanni d'opposizione intransigente al comunismo totalitario». Questo motivo ritorna nel colloquio con insistenze e con toni quasi da «guerra fredda». Ma Sogno è impermeabile a ogni obiezione che gli ricordi la peculiarità storica del pei e la sua evoluzione democratica. Non si discosta di un millimetro dalla convinzione che il comunismo italiano sia (stato) sostanzialmente identico a quello stalinista o dei Paesi europei orientali. «Eresia to- talitaria, nata come ramo bastardo dal socialismo che ha dato luogo a due scissioni antidemocratiche: quella sorelìana di Mussolini e quella marxista-leninista di Gramsci e Togliatti, l'una causa ed effetto dell'altra ed entrambe fatali alla crescita civile del nostro Stato democratico». Sulla base di questo giudizio, Sogno ha sempre tenuto distinto il suo antifascismo «antitotalitario» da quello «rivoluzionario che aveva per obiettivo una trasformazione violenta dell'ordine esistente». Questa netta distinzione lo separa, tra gli altri, da un amico di gioventù che ama evocare nei suoi ricordi, Giaime Pintor - l'amico che con la sua «scelta rivoluzionaria avrebbe smarrito il senso e la coscienza sul dove passa il fronte totalitario». Su questa linea Sogno ripete imperterrito, da anni, la sua critica alla sinistra (in particolare a quella azionista) che con la sua idea di «rivoluzione democratica» ha dato «un travestimento liberal-democratico» ai comunisti, anziché smascherarli. Questo vale per i comunisti di Togliatti come per quelli di Berlinguer. Come dicevo, Sogno è insensibile a controargomenti che contestino il semplicismo di questa valutazione, che lo porta oggi a vedere in Massimo D'Alema l'ultimo nipotino di Stalin. Ci scherziamo sopra, ma non troppo: per Sogno gli unici comunisti «democratici» sono quelli che diventano anticomunisti. E, per essere chiaro, cita i Giuliano Ferrara, i Vertone, i Colletti, i Bettiza e altri ancora. Dietro a questo tipo di anticomunismo si intuiscono passioni ed esperienze che riportano agli anni duri della nascita della Repubblica. E' importante capire come, quando e perché questa posizione sia stata presa da un uomo della Resistenza che ha combattuto in piena lealtà e fraternità d'armi con comunisti, socialisti e azionisti. Confrontandosi oggi retrospettivamente con le posizioni «moderate» di altri antifascisti liberali, come Manlio Brosio, Sogno dice: «Noi durante la Resistenza avevamo creduto alla conversione democratica dei comunisti, mentre a loro (ai liberali della generazione di Brosio) il pei neppure per un momento era riuscito a far credere di essere cambiato. E non avendo mai creduto ai comunisti, non avevano come noi il senso di esserne stati ingannati, né il timore di esserlo ancora». Sogno aggiunge un'altra osservazione: mentre i vecchi liberali rimanevano chiusi nell'orizzonte dell'«antifascismo moderato favorevole all'attesa e quindi al compromesso politico», lui era per un «antifascismo attivistico», in questo (ma solo in questo) simile a quello azionista. «Nel ritenere necessaria l'azione io ero allora più vicino all'attivismo del partito d'azione. Ma proprio l'attivismo che mi ha portato prima alla resistenza armata, mi ha accompagnato poi nell'anticomunismo». La costruzione storica e ideologica del mio interlocutore è refrattaria a ogni argomento che spieghi come il contributo comunista alla creazione della Repubblica, compresa la Costituzione e i suoi compromessi, non può essere ridotta ad una semplice ipoteca antilibertaria, che esponeva la democrazia italiana al pericolo di una involuzione verso un regime marxista. Si è trattato di un equilibrio di forze che ha consentito la messa in moto di un sistema democratico che, per quanto difettoso, avrebbe costretto lo stesso pei ad abbandonare gradualmente le sue ambiguità. Sogno, invece, insiste nel vedere la Repubblica segnata dal vizio di origine di alcuni punti della Costituzione «introdotti dai costituenti marxisti non per far funzionare una democrazia occidentale, ma per favorire la trasformazione in una democrazia popolare sovietica». In realtà anche qui Sogno equivoca tra un dettato costituzionale che, a confronto con altre Costituzioni europee, non ha nulla di particolarmente «eversivo» (basta confrontarlo con gli articoli «sociali» della Costituzione tedesca) e la pratica politico-partitica con cui tale Costituzione ha trovato o meno la sua applicazione. Ma oggi, con la fine del vecchio «regime consociativo», non si è voltato pagina? Non si è riaperto anche un nuovo dibattito sui diversi antifascismi della Resistenza? L'antifascismo antitotalitario non è stato addirittura positivamente citato dal post-fascista Fini? Sogno è soddisfatto del nuovo corso? No. Non è soddisfatto. Di fronte all'emergenza del cosiddetto post-fascismo Sogno parla di «rigurgito», di «immaturità politica della democrazia italiana», incapace anche questa volta di produrre una destra democratica. Il post-fascismo non rappresenta per lui una vera minaccia ma è il sintomo del permanere dell'immaturità della democrazia italiana. La stessa cosiddetta «nuova cultura di destra» (nello stile di un Marcello Veneziani) è il raccogliticcio di vecchie cose. D'altra parte, il nuovo non è portato neppure da Forza Italia, che conserva troppi elementi di continuismo inquinante con il vecchio regime. «Il vero rischio - ripete - è la continuità». Non è chiaro quale modello o coalizione politicamente innovativa abbia in mente Sogno, che si trova a suo agio soltanto quando il discorso ricade ancora una volta sulla sinistra, sui suoi limiti storici e problemi. La sinistra - nel bene e nel male - è per lui quasi un'ossessione. Forse sta qui la chiave psicologica del mio interlocutore: come se nel panorama politico attuale non trovasse ragioni di interesse abbastanza forti da distoglierlo dall'odio-amore per la sinistra che lo ha accompagnato nella sua lunga avventura politica e ideologica. Gian Enrico Rusconi «Non mi fido dei postfascisti: sono un rigurgito. Il vero rischio è la continuità» «Ex comunisti esempio di democrazia» p14 suIntanristamscritt Qui accanto: Lucio Colletti. Con Vertone e Ferrara è, per Sogno, uno dei pochi veri anticomunisti A sinistra: Edgardo Sogno: «un conto è la Resistenza un conto il comunismo». Sotto: Palmiro Togliatti
Luoghi citati: Torino
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