FRITTO MISTO con l' Aurora

FRITTO MISTO C&l cibi d' autore. Giochi d'amore, sogliole e amicizia nella Laguna prima del disastro FRITTO MISTO C&l EA prima estate che si riuscì ad avere una barca nostra, finalmente, s'andava dappertutto in laguna e sempre si trovava buon pesce. I pesci erano soprattutto sogliole e «passarmi», cioè passeri di mare. Qualche orata, qualche raro rombo nella parte più salmastra della laguna, tra Venezia e il mare. Il cefalo si trovava dappertutto: nelle acque dolci verso terraferma, in quelle mezzodolci tra le isole, nelle acque salate oltre le dighe. Pareva che ci venisse incontro dappertutto il bellissimo cefalo, lo chiamavamo pesce-scemo. La barca l'avevamo comprata col primo stipendio Chopin ed io; a remi, usata, a rate. Però ci venivano anche Betta e l'Aurora, Marco Berch detto Bestia per via di qualche chilo in più, e Agostino guardiano del faro. Marco e l'Aurora beccavano i passeri-passarini con la fiocina. Loro entrano a frotte in laguna all'inizio d'estate, per via dei loro amori. Noi accostavamo la barca alle «brìcole», quei gruppi di pali che segnano le profondità della laguna e stranamente sono segnali anche per i pesci in transito. Passano veloci tra un palo e l'altro, come le rondini in cielo. L'ultimo del branco veniva regolarmente beccato: un guizzo, un salto disperato; ma i due amici in agguato erano più svelti dei pesci. Più svelta di tutti l'Aurora: aveva un corpo sottile e flessuoso, un occhio infallibile; rideva felice, parlava e fischiava ai passeri in arrivo. Lei riesce a battermi - protestava Marco - perché incanta i pesci coi suoi richiami, e così perdono le forze; «e anch'io». Alle sogliole invece si dedicava Chopin. Si chiamava Vittorino, ma era detto Chopin perché suonava uno strano piffero rosso. L'Aurora lo chiamava «poeta». Lui si metteva sul bordo della barca, paziente: un po' suonava e un po' canticchiava. Sistemava bene l'esca, e dopo qualche secondo, eccolo, il primo abboccava - il primo del branco, che magari si credeva più forte o più fortunato. Chopin sollevava il pesce dall'acqua, lo staccava dall'amo, lo metteva nel secchio sempre pronto all'ombra, sotto prua. Suonava un momento il suo piffero, e tornava a pescare. La sera al tramonto, nell'isola o sulla spiaggia, il pesce appena pescato si arrostiva alla griglia. Chopin ed io lasciavamo fare all'Aurora e alla Betta. Quand'erano in acqua le due ragazze nuotavano come sirene: una più bella - l'Aurora -, grande, pronta, maestosa; l'altra piccola e magra; ma tutt'e due ci parevano far parte del grande mondo dei pesci. Ora si mettono al lavoro, accendono il fuoco, regolano la brace sotto la griglia. Si alza un fumo leggero, e un profumo prima appena percettibile, poi forte, sempre più forte... Quello doveva restare per sempre, per tutti noi, il profumo del pesce che si sta arrostendo e chiama gli affamati. L'Aurora ci teneva lontani, poi improvvisamente: «Pronto il misto mare» esplodeva. E infatti era tutto un misto, tra pesci dolci e amari, una confusione di pesci diversi, nemmeno l'idea d'un menu che non fosse l'urto della nostra fame. Si mangiava distesi sull'erba, rubandoci il pesce l'un l'altro dalla griglia rovente, con le mani. Tutti i sapori del mondo, tutti i gusti: il nostro pesce alla griglia era tenero e croccante, delicato e brusco, salino e soave. Agostino tirava fuori un vinello delle isole detto di Sant'Erasmo, leggero, sapeva di stantìo e di acacia. Qualche volta aveva anche una Malvasia: Marco Bestia cercava, un po' per scherzo e un po' no, di fargliela fuori. Baruffe furiose, finché non si ributtava Marco in acqua. Ma presto risaliva e si metteva a cantare con Chopin. Tornavamo a casa sotto la luna alta, cantando e suonando con lo strano piffero rosso. Tutto questo succedeva nella laguna Sud, che era la nostra laguna, più calda della laguna Nord e più vicina al mare: più pescosa. Nello stesso modo l'estate dopo, e così via negli anni successivi. Le barche a un certo punto divennero due; ma l'idea era che si potesse andare avanti, estate dopo estate, all'infinito. Così come infinita ci pareva la laguna, ce n'era ancora tanta da traversare; con non so quante isole, da arrostirci il pesce per tutta la vita. Finora eravamo stati solo all'Isola Campana, a San Giorgio in Alga, alla Fisola. La grande e bella Fisola si chiamava così per via dei piccoli fisoli, che sono tra gli uccelli più furbi: si infilano sott'acqua per sfuggire alle poiane, e intanto, da lì, prendono al volo ragni, mosconi, pesciolini, qualunque cosa. Resta fuori dall'acqua il lungo becco, che fa fis fis. Ma già al terzo anno sbarcammo sull'isola Campana tra cerchi di nero bitume; pozze di asfalto sulla piccola spiaggia sassosa. Crescevano le industrie sulla costa: l'orizzonte si copriva di fumo, le isole non erano più quelle di prima: diventavano isole abbandonate, perdute. San Giorgio in Alga scomparve l'estate seguente: nella laguna degradata crescevano i ladri di mare, portavano via tutto dalle isole, alberi, mattoni, statue, barche, sabbia. Diminuivano i pesci in acqua, sparivano gli uccelli in cielo. L'anno dopo Agostino fu promosso al Faro Grande, appena ultimato. Ora si doveva chiamarlo «Capo», parlava solo di elettronica, trigonometria, telecomandi; però noi preparammo lo stesso la festa per la promozione. Pescammo per tutta la sera tra i pesci rarefatti, e finalmente il gran pranzo fu pronto. Sullo spiazzo del faro vecchio che già pareva in rovina, arrivò una prima grigliata di pesce «forte»: quelle triglie rosa dette barboni che vivono nei bassi fondali ma non hanno niente da invidiare alle triglie pallide dei mari profondi. Poi un misto di soglioline «zentili» e di orate. Infine il pesce dolce, «come un dessert» - diceva l'Aurora -, San Pietro e Coda di Rospo. Era la prima volta che ci accorgevamo dell'enorme varietà di gusto, e quindi della necessaria suddivisione, della «distinzione» dei pesci - diceva l'Aurora - in un pranzo che si rispetta: le portate nell'ordine stabilito da lei. E sempre, da allora, un qualunque altro ordine, anche nei ristoranti più raffinati, per noi ha qualcosa di sbagliato, non va, ci fa brontolare. L'anno dopo, in tutta la parte Sud-Ovest della laguna, verso le industrie, non si poteva più andare a pescare. Sull'isola Fisola era cresciuto un bosco di case popolari, addio fisoli e pesci. Nell'isoletta vicina, un enorme bruciatore delle immondizie impestava l'aria. Nelle sabbie poco lontane, dove un tempo vagavano i raccoglitori di cappe lunghe, uscivano dalla melma certi pesci mai visti, cattivi come ragni velenosi. E proprio in piena estate, tra San Clemente e la Campana, l'acqua che fino a ieri era azzurra, eccola diventata bianca: senza più ossigeno, asfissiata. I pesci grandi scomparsi; i piccoli, appena nati, intrappolati tra le alghe giganti. Ci spostammo nella laguna Nord, qui la pesca era ancora possibile; forse si poteva combinare qualcun'altra delle nostre cene. L'incontro avvenne in un'isoletta detta La Cura. Le nostre barche - ora erano tre - arrivarono all'ora giusta, c'era anche il Capo Agostino col suo fuoribordo nuovo. Ma la cena non si fece lì. S'andò in una celebre trattoria, «Alle Lanterne», poco lontana come distanza, ma lontanissima dalle nostre antiche mangiate sotto la luna. «Niente sgobbare stasera» - ripeteva Chopin -, «vi invito io alle Lanterne». Si capiva che c'era qualcosa in aria, oltre alla promozione di Agostino. Finora si era sempre partiti, ragazzi e ragazze, nell'una o nell'altra delle nostre barelline a remi: si tornava secondo le simpatie. Quella sera Chopin e l'Aurora arrivarono e partirono sulla stessa barca: dissero che volevano fare la grande festa in trattoria, e poi addio, sarebbero partiti e chissà se tornavano. La cena fu straordinaria. Tutti i pesci della laguna e dell'alto Adriatico nella celebre Trattoria; ma stranamente, siccome sentivamo che qualcosa finiva, tutto quel via-vai di pesci arrosto, di fritti e di bolliti, non segnò nuovi sapori o odori nella nostra memoria dei cibi. Prima di tutto erano «pesci di trattoria» - secondo l'Aurora -; e poi c'era la partenza in vista, gli addii. Uscimmo, una chiazza tremenda di gasolio s'allungava nell'acqua del canale, proprio davanti alle Lanterne. Prima di partire, Chopin suonò il suo piffero e ci lasciò un messaggio: gli uomini si spostano, ma anche i pesci: vanno di qua e di là, è tutto un movimen¬ to. Salvo i cefali; che, si sa, sono scemi. E via con la sua Aurora. Anche ora, d'estate, andiamo a mangiare il pesce in laguna: alle Dàrsene, che è un'isola poco battuta, sfugge per ora alle ondate dei turisti. L'impressione è che la laguna diventi sempre più piccola: si restringe da tutte le parti, si riduce per noi isolani e per il pesce. Le Dàrsene è una trattoria molto alla buona; le panche di legno fin sotto il bosco di acacie, lecci, ailanti, fitto come una giungla. Chopin in pensione ha «rilevato» la vecchia bettola dei marmanti e manda avanti la trattoria. In realtà fa tutto lei: l'Aurora, sua moglie, è sempre bella di faccia; ma di corpo, ora, più che una sirena ha qualcosa del bisonte marino. Però tratta sempre i pesci con la stessa mano, lo stesso misto di brutalità e d'amore, d'un tempo. I nostri figli discutono dei Swingle Singers, del Sax, di Dewey Redman. Sono quei momenti in cui è chiara una cosa: non si può dialogare tra sordi. I loro maledetti «cobra» mandano suoni infernali, ascoltare è stordire - altro che il flauto di Chopin. Però, se arriva il buon pesce, portato dall'Aurora sorridente, di colpo tutto si calma: si mangia contenti e si parla del pesce, si gode del pesce, si racconta del pesce. LAurora si siede con noi, ora viene anche Agostino con la Betta. Nessuno di noi, neanche i più giovani, può fare grandi spanzate, perché nessuno ha più fame, perché non si usa più, perché cresce l'età media, per la perdita - nei più giovani - del senso del gusto oltre che dell'udito. E anche perché ora in laguna - racconta l'Aurora - calano pesci stranieri, più feroci ma meno gustosi. Anche gli uccelli - dice - sono cambiati: non ci sono più i fisoli, ma bande di cormorani, bruttissimi, «foresti», con una voce - li imita - da far paura. Lei racconta sempre strane e belle storie, e lancia ai suoi pesci, in padella e in tavola, dolci richiami come se fossero vivi. Il pesce dell'Aurora è ancora buono, il menù raffinato. Ma da dove viene questo pesce? «Dalle valli» - sospira lei -, dalle coltivazioni nei bacini chiusi, dove gli buttano cibo continuamente e antibiotici due volte al giorno. Così sono tutti uguali - li vedi? sogliole e orate, vecchi e giovani, lo stesso peso, «consistenza», gusto, eccetera. Però sapendoci fare... Sapendoci fare, si riesce ancora a gustarlo un buon pranzo di pesce. Esige molta più scelta, più cura, cotture diverse, «graduate», dice, erbe adatte, la mano giusta. Quanto al vino, ora viene da chissà dove. Agostino sorride: ha ancora due bottiglie del vinello di Sant'Erasmo. Eccole, le facciamo fuori. E allora Chopin, preso dall'entusiasmo, assicura: Corrono i pesci, non abbiate paura, passano da un luogo inquinato all'altro, finché trovano l'acqua buona. L'ho sempre detto, e ve lo confermo: li vedo qui dalla riva, filano dalle acque morte a quelle vive. Salvo i cefali, si capisce, che si ciucciano nafta e petrolio, per loro è tutto lo stesso. LAurora sta a sentire perplessa, forse non crede tanto al suo Chopin. Lo prende in giro: «Poeta». E invece Chopin ha ragione: proprio quest'anno la laguna è migliorata. Il mare non è mai stato così bello, c'è un gran passaggio, che non si vedeva da anni. Fa un caldo tremendo; ma l'acqua non è bianca, nemmeno a San Clemente: è tornata viva, verde e azzurra. Sarà perché le industrie sulla costa sono diminuite, sono cresciuti i depuratori, si usano meno diserbanti... Soprattutto dev'essere perché il mare ha i suoi cicli, per nostra fortuna; e la laguna li segue. Certo che proprio quest'anno, che abbiamo tante preoccupazioni, è l'anno febee del mare, e quindi dei pesci e delle nostre riunioni. Non occorre più andare a contrattare e a scegliere nelle valli: si pescano i pesci qui fuori, come ai tempi della Campana, anche se non abbiamo più l'occhio per beccarli con le fiocine. Dall'Aurora, alle Dàrsene, si mangiano - li chiama Chopin - «i pesci ruspanti»: è la nuova trovata, come i polli in libertà nell'orto dietro casa. Pare che ci sia molta gente quest'anno, a provare i suoi ruspanti. Ci andiamo stasera. Paolo Barbaro A pesca con Bestia, Agostino guardiano del faro, Chopin e Betta sulla barca pagata a rate «Si mangiava con le mani, distesi sull'erba, rubando dalla griglia rovente» ^-w^sswn*- -^v»3fe>« p,,qque altro ordine, anche nei ristoranti più raffinati, per noi ha , qppossibile; forse si poteva combinare qualcun'altra delle nostre cene. L'incontro avvenne in un'isoletta detta La Cura. Le nostre Serena alba di pesca in Laguna Sotto: pesce in vetrina A centro pagina, Paolo Barbaro. In basso, una vecchia trattoria s'affaccia su un campiello veneziano

Luoghi citati: Campana, San Clemente, Venezia